L’Agenzia dell’ONU che si occupa di alimentazione (World Food Programme) ha lanciato l’allarme sulle gravi conseguenze che potrebbe avere l’epidemia di Covid-19 sul problema della fame nel mondo. Il numero di persone che soffrono di malnutrizione acuta erano già, alla fine del 2019, 135 milioni, distribuite in 55 Paesi, con un aumento notevole rispetto ai 113 milioni del dicembre 2018. Le cause sono molteplici, in parte frutto della congiuntura economica complessiva, in parte legate alle conseguenze del riscaldamento globale e alla persistenza di conflitti armati. La crisi alimentare colpisce in primo luogo i bambini; 75 milioni di bambini vivono una condizione di malnutrizione cronica e 17 milioni di malnutrizione acuta. A causa della pandemia le persone che soffrono di malnutrizione acuta potrebbero arrivare a 265 milioni, prima della fine dell’anno.

La riduzione complessiva delle attività produttive e le restrizioni che sta subendo il commercio mettono in difficoltà i governi locali e riducono il reddito delle famiglie, che si troveranno ad affrontare probabilmente anche un aumento dei prezzi dei generi alimentari. Una situazione che potrebbe avere conseguenze dirompenti soprattutto su coloro che già sono poveri e spendono il loro reddito quasi esclusivamente per l’acquisto di cibo.

La maggior parte delle persone povere, che soffrono uno stato di insicurezza alimentare, vive nelle aree rurali; l’epidemia rende difficile agli agricoltori e agli allevatori la vendita dei loro prodotti e anche l’acquisto di materiali utili alla produzione, come fertilizzanti e attrezzature. Lo spettro della povertà assoluta e della fame minaccia dunque queste popolazioni che vivono soprattutto in alcune aree dell’Africa e dell’Asia. In un articolo apparso sulla rivista Science Joachim von Braun, Stefano Zamagni e Marcelo Sánchez Sorondo sottolineano come la chiusura delle frontiere che limita il commercio e il trasferimento delle risorse deve essere temporanea; se è comprensibile che le nazioni abbiano pensato a sé stesse all’inizio, il protrarsi dell’egoismo nazionale potrebbe avere conseguenze disastrose. Invitano quindi i Paesi con una economia più solida a sostenere «le organizzazioni transnazionali e quelle delle Nazioni Unite nel loro impegno mondiale per controllare la diffusione di questo contagio». Alcuni processi solidali sono stati avviati; l’IFAD (International Fund for Agricultural Development), che si occupa del sostegno agli agricoltori nelle aree più povere del mondo, sta operando a favore dei contadini in difficoltà in Tunisia, in Senegal, in India, in Bangladesh. L’impegno solidale acquista un maggior valore proprio perché l’epidemia sollecita anche forme di chiusura e di egoismo che possono avere un’influenza negativa sugli equilibri globali e sulla vita immediata di milioni di persone.

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