L’esposizione alla cultura produce stimoli e reazioni emotive che si rivelano importanti nei processi di cura, nelle terapie riabilitative, nelle lungodegenze, più in generale nei processi di raggiungimento del benessere, incidendo anche nei tempi e nei modi dell’invecchiamento; e quando la cultura riesce a entrare e a interagire nei luoghi della sofferenza funziona come una sorta di ‘scudo’ che il corpo attiva contro la malattia.

Sono i risultati di numerosi progetti, che da sperimentali sono diventati pratiche consolidate, a suggerire che le attività che comportano un coinvolgimento emozionale e intellettuale – specie se condiviso con altri – e di esperienza in prima persona sono da incentivare. L’Associazione per l’Economia della cultura ha indagato le relazioni tra cultura, salute e benessere in una conferenza tenutasi nel febbraio scorso e nel numero 2/2017 della omonima rivista che pubblica trimestralmente, analizzando, a livello nazionale e internazionale, le best practices che sfruttano il potenziale terapeutico dell’arte e della cultura.

Il MoMa di New York propone da tempo e con successo visite guidate specificamente pensate per malati di Alzheimer e per chi si prende cura di loro, esperienza ripresa dalla Galleria d’arte moderna di Roma; MediCinema organizza cineforum negli ospedali mettendo in condizione anche i degenti che non possono lasciare il letto di condividere l’esperienza della visione; l’Accademia nazionale di S. Cecilia di Roma ha realizzato progetti di musicoterapia con particolare attenzione alle applicazioni in oncologia, in collaborazione con il Policlinico Gemelli; il progetto Dance Well a Bassano del Grappa propone la danzaterapia all’interno del Museo civico per i malati di Parkinson.

Ciò che serve perché le singole esperienze diventino pratica diffusa è anche una maggiore apertura, un cambiamento nel modo di pensare, uno sforzo per andare al di là dei confini tra le discipline stabiliti dall’abitudine, e affrontare la malattia con un approccio diverso e molteplice; con la consapevolezza che le complesse relazioni tra mente e corpo sono ancora lontane dall’essere definite. Ma le esperienze realizzate mostrano benefici pratici ed è da questo che bisogna partire, anche basandosi sui percorsi virtuosi attivati da tempo in Gran Bretagna e in Francia. Non si può prescindere da investimenti economici, ma soprattutto organizzativi, che mettano a disposizione dei malati le risorse culturali che lo straordinario patrimonio del nostro Paese offre con grande varietà e abbondanza, anche attraverso l’azione coordinata di tante piccole realtà attive capillarmente nel territorio.

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