Ricorrono i 40 anni di una delle leggi più discusse del nostro ordinamento, la n. 194 del 22 maggio 1978 che, come è noto, depenalizza l’aborto entro i primi 90 giorni di gravidanza e, in caso di grave pericolo per la donna, anche oltre quel termine.

L’emanazione della legge fu preceduta da una lunga battaglia e molte discussioni. Solo non molti anni prima, nel 1971, era stato dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale l’articolo 553 del codice penale, risalente all’epoca fascista e sopravvissuto in quella repubblicana, che prevedeva il reato di propaganda di anticoncezionali. Nello stesso anno venne presentato un primo progetto di depenalizzazione, da parte dei tre senatori socialisti Arialdo Banfi, Piero Caleffi e Giorgio Fenoaltea, che però non fu neppure discusso. Nel 1973 venne presentato un altro progetto ancora a opera di un socialista, Loris Fortuna – già autore del disegno di legge sul divorzio – che aveva ottenuto l’appoggio dei radicali. Due anni più tardi la Corte costituzionale, con sentenza 18 febbraio 1975, n. 27, dichiarò illegittimo l’art. 546 del codice penale, che vietava appunto l’aborto, nella parte in cui non prevedeva che la gravidanza potesse venire interrotta quando l’ulteriore gestazione implicasse danno o pericolo grave per la donna.

In diversi Paesi occidentali erano state nel frattempo introdotte norme avanzate: in Gran Bretagna già dal 1967; negli Stati Uniti, a livello federale, nel 1973; in Francia nel 1974; in Germania nel 1975. E il dibattito in Italia in questo periodo era diventato assai pressante, preso in mano soprattutto dai movimenti femministi e dai radicali, che denunciavano il dramma della pratica clandestina, di cui molte donne rimanevano vittime.

Nel 1974 una campagna per un referendum per l’abolizione delle norme sull’aborto fu promossa dall’Espresso e dalla Lega 13 maggio, e nel novembre 1975 la Cassazione dichiarò valido il numero di firme raccolte, stabilendo tra l’aprile e il giugno 1976 la data della consultazione se non fosse subentrata una nuova legge. Nel 1975 Gianfranco Spadaccia, segretario del Partito radicale, Adele Faccio, segretaria del Centro d’informazione sulla sterilizzazione e sull’aborto (CISA) fondato a Milano due anni prima, ed Emma Bonino furono arrestati dopo essersi autodenunciati per aver praticato aborti, provocando un moto di solidarietà da più parti.

Per comprendere l’atmosfera dell’epoca si può leggere la lettera che sul tema Italo Calvino scrisse a Claudio Magris nel febbraio del 1975: «Nell’aborto chi viene massacrato, fisicamente e moralmente, è la donna; anche per un uomo cosciente ogni aborto è una prova morale che lascia il segno, ma certo qui la sorte della donna è in tali sproporzionate condizioni di disfavore in confronto a quella dell’uomo, che ogni uomo prima di parlare di queste cose deve mordersi la lingua tre volte».

Il progettò referendario fu però rinviato al 1978 a causa dello scioglimento anticipato delle Camere. In questo lasso di tempo diverse furono le proposte di legge presentate, questa volta anche da parte dei comunisti – per situazioni di pericolo di vita o serio pregiudizio per la salute fisica o psichica della donna, possibili malformazioni del nascituro, violenza carnale e incesto –, dei liberali e dei democristiani, che volevano restringerlo solo a casi particolarmente gravi. Nel 1976 venne formulato un nuovo progetto unitario elaborato dalle Commissioni permanenti Giustizia e Sanità riunite, che fu approvato dalla Camera ma bocciato al Senato; ripresentato immediatamente dopo, passò infine nel maggio del 1978, mentre il referendum popolare per la sua abolizione promosso nel 1981 dal Movimento per la vita ebbe esito negativo.

La 194 non ha mai smesso di sollevare polemiche, sia da parte cattolica, sia da quanti contestano l’abuso del ricorso all’obiezione di coscienza – uno dei punti sin dall’origine più dibattuti della legge –, che la rende in alcuni contesti quasi impraticabile. Mentre non è possibile conoscere i dati certi sugli aborti prima dell’introduzione della 194, dopo la sua emanazione, dagli anni Ottanta a oggi, l’indice di abortività si è comunque più che dimezzato.

Crediti immagini: a sinistra: pubblico dominio; a destra: da Nationaal Archief [No restrictions], attraverso Wikimedia Commons

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