In questo terribile inizio di 2020 l’Italia, insieme con l’Europa e con il mondo, si è trovata a fare i conti con un virus sconosciuto e terribile, che ha seminato morte e determinato misure di restrizione della libertà senza precedenti negli ultimi 70 anni.

In Europa le donne sono responsabili delle decisioni relative all’emergenza e alla ripresa. La Commissione europea, guidata dalla presidente Ursula von der Leyen, ha da subito istituito una commissione per affrontare la pandemia. La commissaria alla Salute, Stella Kyriakides, ha chiamato esperti dai vari Paesi, inclusa una virologa dall’Italia. La Banca centrale europea, guidata da Christine Lagarde, sta valutando misure finanziarie fino ad ora mai ipotizzate per far fronte alla crisi economica che la pandemia ha determinato.

In Italia, invece, i ministri responsabili della gestione della crisi si sono rivolti ad un comitato scientifico formato da soli uomini. I commissari straordinari nominati? Ancora una volta uomini. Come da uomini sono costituti i comitati di esperti (qualcuno ha contato che gli esperti nominati sono circa 400). Il comitato da ultimo nominato, quello diretto da Vittorio Colao, è anch’esso formato per la stragrande maggioranza da uomini.

Mentre le dottoresse, le infermiere, le lavoratrici erano impegnate nelle loro mansioni quotidiane, in prima linea negli ospedali, nelle aziende e nelle case, le donne non avevano ruoli nella gestione della crisi. E sono state praticamente escluse dai luoghi nei quali si ragionava dei nuovi modelli organizzativi, della nuova educazione, delle risorse finanziarie e dei settori nei quali investirle per affrontare il “dopo Covid”.

Questa sproporzionata (mancanza di) rappresentanza era sotto gli occhi di tutti. Ciò nonostante essa è stata quasi “accettata” nei tragici momenti iniziali: si è preferito tacere per focalizzare le energie nel salvare vite umane, finché la domanda “come può succedere tutto questo” è diventata troppo pressante. Si sono allora succedute lettere aperte, manifesti, inviti, appelli e persino un flash mob, per sottolineare come questa disuguaglianza di rappresentanza non fosse più tollerabile.

Gli ordinamenti europeo e italiano, in realtà, tutelano le uguaglianze e le pari opportunità. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea vieta ogni forma di discriminazione, e i principi della nostra Costituzion****e sanciscono in più di un’occasione l’uguaglianza di tutti i cittadini. Il Codice delle pari opportunità si occupa di eliminare le discriminazioni che possano compromettere i diritti di uomini e donne.

Spetta alla Presidenza del Consiglio promuovere le azioni di governo volte ad assicurare le pari opportunità. Eppure, i comitati e i commissari nominati dal governo non hanno certo rappresentato adeguatamente la popolazione femminile. Nonostante il merito e i curricula di scienziate, economiste e sociologhe metta in evidenza le loro innegabili capacità, nessuna di loro è stata chiamata a partecipare.

E dunque? Questi comitati di esperti, e i comitati scientifici, e i commissari, rispondono, nelle loro composizioni, ai principi e alle leggi italiane? La risposta non può che essere negativa.

Evidentemente, le leggi non bastano. C’è davvero bisogno di una modifica di paradigma e un nuovo apprezzamento dei ruoli. Occorre finalmente elaborare culturalmente l’importanza della rappresentanza corretta degli individui tutti che formano la società. La presenza di donne nei comitati è prima di tutto una questione di giustizia e di civiltà, impone uno sguardo e punti di vista differenti; con una maggiore varietà di visione i progetti si ampliano e le soluzioni migliorano.

Ancorché in teoria non strettamente necessarie, nuove proposte di legge sono state comunque sottoposte al Parlamento al fine di scongiurare che situazioni incresciose come quelle che sono accadute possano ripresentarsi.  Ma sarà impossibile “rincorrere” ogni ipotesi con nuove leggi: le proposte sottoposte al Parlamento tendono a definire nuove regole di composizione dei comitati di nomina governativa, ma in futuro il problema di mancanza di rappresentanza si potrebbe presentare in contesti diversi. E allora torniamo alla necessità del cambiamento di paradigma mentale e culturale.

Nel frattempo, le richieste di “dare voce” alla rappresentanza femminile del nostro Paese promosse da decine di associazioni femminili hanno infine indotto il presidente del Consiglio ad integrare il comitato degli esperti guidato da Colao con l’ingresso di cinque donne, mentre il comitato tecnico-scientifico è stato invece integrato da altre sei personalità femminili. E così il 12 maggio, dopo quasi tre mesi dal primo caso di Covid-19 in Italia e dopo più di due mesi dall’inizio del lockdown, quando ormai l’emergenza è stata affrontata e le linee guida ed operative delle fasi 2 e 3 sono già delineate, si è compreso che esistono scienziate di valore, esperte biologhe, sociologhe, filosofe, economiste, imprenditrici, a pieno titolo portavoce di valori e di professionalità.

Il ripensamento, se pur estremamente opportuno, è purtroppo anche assai tardivo.

Immagine: Il viso stanco di una donna impegnata a curare i malati in tempo di Coronavirus. Crediti: eldar nurkovic / Shutterstock.com

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