Che l’unione faccia la forza, in tema di candidature olimpiche, è tutto da dimostrare. E del resto, considerando le tempistiche di quanto accaduto per la sfumata candidatura di Roma per i Giochi del 2024, non si può essere ancora certi di nulla, dal momento che il termine ultimo per la consegna dei dossier è fissato per l’11 gennaio 2019 e in più di quattro mesi possono cambiare diverse situazioni. Intanto però, tra luglio e agosto, il Consiglio nazionale del CONI prima ha deliberato l’invio al CIO di una candidatura italiana per le Olimpiadi e le Paralimpiadi invernali del 2026 – avevano presentato uno studio di fattibilità tre sedi interessate: Cortina d’Ampezzo, Milano e Torino – quindi ha deciso che si sarebbe trattato di una candidatura congiunta fra le tre città, per una scelta che si porta appresso un nome suggestivo (“Alpi 2026”) ma anche una serie di criticità la cui soluzione, nel percorso che dovrà portare alla costituzione del dossier unico, non appare così semplice.

La candidatura congiunta rappresenterebbe già di per sé un inedito: mai, nelle ventitré edizioni sin qui organizzate, i Giochi sono stati assegnati ad un consorzio, e non accadrà nemmeno alle prossime Olimpiadi invernali, che si terranno a Pechino nel febbraio del 2022. In questo senso è peraltro significativo notare che, mentre sotto l’aspetto geografico la distanza fra Sestriere e Cortina è di oltre 600 km (vale a dire circa sette ore di viaggio), dal punto di vista burocratico e amministrativo, i “Giochi delle Alpi” si svolgerebbero non solo in tre città diverse, ma anche in altrettante regioni (Piemonte, Lombardia e Veneto), con tutte le difficoltà organizzative e logistiche del caso, per non parlare dei potenziali distinguo della politica locale che, per quanto al momento appaiano neutralizzati dal lavoro di convincimento del Comitato olimpico e del presidente Malagò, non possono essere esclusi neppure nel breve periodo. Milano, ad esempio, attraverso il sindaco Giuseppe Sala ha già scritto al numero uno del CONI di non ritenere praticabile «una sua partecipazione alla governance del 2026», confermando tuttavia la disponibilità dei propri impianti. Questo perché Milano aveva già un progetto proprio – così come lo avrebbero avuto le altre città – e si trova costretta a rimetterlo in discussione. La chiave è qui, nelle garanzie che ogni città chiede per non rischiare – e il pericolo è concreto, in termini di prestigio – di essere vassalla delle altre: dopo tutto, è evidente che chi non avrà le cerimonie di apertura e chiusura (a maggior ragione se la candidatura porterà davvero nel nome la dicitura “Alpi”, e non quella delle città) rischierebbe di finire nell’ombra, a prescindere dalla distribuzione delle discipline fra i vari impianti, ed è improbabile inoltre che non venga designata una capofila di fatto.

Cortina ha già ospitato i Giochi invernali nel 1956, Torino nel 2006 e Milano mai, ma dopo avere ospitato Expo 2015 il capoluogo lombardo avrebbe avuto verosimilmente chance anche da solo, tanto più che l’11 settembre 2019 la 134a sessione del CIO, quella che deciderà l’assegnazione delle Olimpiadi 2026, si terrà proprio a Milano. Sarà il momento decisivo, ma il lavoro di lobby da parte delle candidate dovrà essere fatto prima: se l’11 gennaio sarà la deadline per la presentazione delle candidature e delle relative garanzie governative, tra febbraio e aprile prima gli esperti del CIO visiteranno le città, quindi toccherà alla commissione di valutazione analizzare i dossier per poi pubblicare a luglio il rapporto finale che rappresenterà il documento in base al quale i membri del Comitato olimpico internazionale voteranno la città destinata ad ospitare i Giochi.

Ma quali saranno le avversarie della probabile candidatura congiunta italiana? Dalla fase di dialogo iniziale ad oggi, hanno abbandonato l’intento la svizzera Sion e l’austriaca Graz, la prima a seguito del mancato sostegno popolare (nel referendum del 10 giugno il 53,96% degli elettori aveva votato contro), la seconda a causa dell’assenza del supporto del governo provinciale. Pertanto, oltre all’ipotesi italiana, in questa fase restano in ballo Calgary (Canada), Erzurum (Turchia), Sapporo (Giappone) e Stoccolma (Svezia). Quest’ultima – sede dei Giochi estivi del 1912 – appare frenata da posizioni vagamente contrarie da parte del governo nazionale, ma si avvale di un comitato promotore decisamente attivo e che ha già ottenuto la collaborazione del Comitato olimpico lettone per l’utilizzo di alcune piste a Sigulda, mentre l’ipotesi turca sembra avere poche chance per questioni di sostenibilità – gran parte delle infrastrutture necessarie mancano al momento – che a ben guardare nascondono anche più di un dubbio sulle politiche del presidente Erdoğan. Sapporo al contrario ha diverse carte in mano, ma potrebbe dirottare gli sforzi sul 2030, anche perché appare improbabile l’assegnazione all’Asia della terza edizione consecutiva dopo Pyeongchang 2018 e Pechino 2022.

Motivi che oggi fanno apparire Calgary come favorita. Già sede delle Olimpiadi invernali del 1988 (quelle che consacrarono Alberto Tomba), la città canadese si è già dotata di un sito internet, presenterà ufficialmente il progetto il prossimo 10 settembre e ha già annunciato i costi di presentazione della candidatura (30 milioni di dollari) e la relativa suddivisione (9,5 a carico della municipalità di Calgary, 10 dalla provincia dell’Alberta e 10,5 del governo canadese), un’operazione trasparenza che serve anche a convincere la popolazione: il 13 novembre, infatti, si terrà un referendum che, sebbene non vincolante, in caso di voto contrario potrebbe portare al ritiro della candidatura. Un recente sondaggio commissionato dalla città di Calgary vede il supporto alla candidatura in vantaggio (53%, contro il 33% di contrari e il 13% di indecisi) e con un trend in crescita. La stima minima per i costi dei Giochi canadesi sarebbe di 3,5 miliardi di dollari, ma paradossalmente potrebbe pesare l’ultimo precedente olimpico canadese: Vancouver 2010 fu un’edizione funestata da numerosi contrattempi, dalla morte in gara dello slittinista georgiano Nodar Kumaritashvili e dal pessimo conto economico lasciato in eredità alla città, dovuto al significativo aumento dei costi rispetto appunto alle stime.

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