C’è un aspetto della violenza domestica che viene spesso sottovalutato e che ha trovato un esplicito riconoscimento sociale solo a partire dalla fine degli anni Novanta: si tratta della cosiddetta violenza assistita, quella che il rapporto di Save the Children Abbattiamo il muro del silenzio definisce come l’esposizione di un minore «alla violenza, di tipo fisico e/o psicologico, compiuta da un membro della famiglia su una o più figure di riferimento per lui significative (generalmente la madre o i fratelli)».

Spesso i bambini assistono direttamente ai maltrattamenti, o comunque questi entrano nel loro campo uditivo; in altri casi ne vedono i segni sul corpo della madre, o sulla sua psiche, subendone l’instabilità emotiva, vedono il porto sicuro normalmente rappresentato dalla casa trasformarsi in un luogo dove tutto può succedere, segnato da porte e sedie rotte, vetri infranti. In ogni caso sono situazioni in cui si spezza il patto di solidarietà, protezione, cura e sostegno che tiene insieme la famiglia, e le conseguenze sono gravi nel breve e nel lungo termine. Il figlio si trova nella situazione, per lui ingestibile, di doversi proteggere da un genitore invece di trovare in lui protezione, e di fronte al dilemma di ‘scegliere’ su quale dei due genitori fare affidamento, con quale dei due mantenere la relazione, e tentare di tenere insieme i pezzi è uno sforzo decisamente fuori dalla sua portata.

I bambini sottoposti a questo tipo di stress possono avere ritardi nello sviluppo sia fisico sia cognitivo; manifestano più facilmente disturbi del linguaggio e dell’apprendimento, deficit di attenzione, scarsa autostima, senso di colpa, ansia, tendenza ad avere reazioni sproporzionate, difficoltà di socializzazione, depressione.

Secondo il rapporto di Save the Children le madri vittime di violenza domestica in Italia sono più di 1,4 milioni, ma solo una piccola parte – il 7% di coloro che hanno subito violenze ripetute in casa – è consapevole dei soprusi subiti, e tra queste più di una su tre è stata vittima dei maltrattamenti anche durante la gravidanza. Più di 446.000 di loro vivono ancora con il partner violento, perché non riescono a vedere una via d’uscita e, spesso, non sono autonome economicamente, e sono 427.000 i minori in Italia che, in soli cinque anni, tra il 2009 e il 2014, hanno vissuto la violenza tra le mura domestiche nei confronti delle loro madri. In questo campo però è sempre difficile quantificare e le cifre sono certamente in difetto: uno degli aspetti più gravi della violenza domestica è proprio il ‘sommerso’, la difficoltà a denunciare e in molti casi a prendere coscienza del sopruso. Ma molto si può fare su questo fronte, attivando istituzioni, enti locali, associazioni in modo da creare una rete di protezione che fornisca interventi concreti e soprattutto in tempo reale: fondamentale è il ruolo che possono assumere le scuole, sia per riconoscere tempestivamente le situazioni a rischio, sia per intervenire sul piano educativo e formativo.

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