L’Italia è un Paese più sicuro di quanto gli italiani credano, e anzi, sotto certi aspetti, è tra i più sicuri d’Europa, anche se la crisi ha interrotto bruscamente un lungo processo positivo.

I numeri più significativi e affidabili sono quelli che riguardano gli omicidi, un reato di cui i casi di mancata denuncia o scoperta sono pressoché inesistenti. Scorrendo le serie storiche messe a disposizione dall’Istat, si scopre che dagli anni Novanta a oggi la frequenza di questo delitto è costantemente diminuita: nel 1991 il tasso di omicidi volontari consumati è stato di 3,4 ogni 100.000 abitanti – annus, è però utile specificare, horribilis, con un numero che, dal 1955 a oggi, è stato superato solo nel 1982, con 4,5 omicidi ogni 100.000 abitanti –, nel 2001 il tasso è stato di 1,2, nel 2015 di 0,8.

Come indica il Rapporto Bes 2017, l’Italia si colloca così sotto la media europea, che corrisponde a un omicidio ogni 100.000 abitanti, superata per virtuosità solo da Polonia, Spagna, Paesi Bassi e Austria (quest’ultima con 0,5 omicidi ogni 100.000 abitanti).

Nel nostro Paese sono calati in particolare gli omicidi con vittime maschili (da 4 per 100.000 maschi nel 1992 a 0,9 nel 2016), mentre rimangono sostanzialmente stabili quelli delle donne (da 0,6 a 0,5 per 100.000 femmine nello stesso periodo), che tuttavia hanno un tasso tra i più bassi in Europa, di poco superiore a quello minimo registrato in Lussemburgo e Austria (0,4 omicidi per 100.000 donne). Gli omicidi in cui le vittime sono donne si consumano soprattutto in famiglia (73,2% contro il 15,9% per gli uomini nel 2016), e avvengono soprattutto a opera del partner o dell’ex partner (51% dei casi), contro il 2,8% degli omicidi di cui le vittime sono maschi, che nell’80% dei casi vengono uccisi invece da sconosciuti o da autori non identificati: questi dati illustrano la pregnanza del termine femminicidio, tante volte messo in discussione.

Diversa è invece la situazione per quanto concerne furti e rapine, in cui l’Italia occupa posti molto meno onorevoli. È bene però notare che i dati che seguono, tratti ancora dal Rapporto Bes, sono meno oggettivi dei precedenti, perché non sempre delitti di tal genere vengono denunciati, e pertanto potrebbe essere che i cittadini di alcuni Paesi abbiano una maggiore (o minore) propensione alla denuncia rispetto ad altri, cosa che potrebbe indurre a sottostimare in alcuni contesti la quantità di reati di questo tipo realmente compiuta. In ogni caso, nel 2015 l’Italia con 393 furti ogni 100.000 abitanti si colloca al quinto posto dopo Danimarca, Belgio, Paesi Bassi e Svezia, e la stessa posizione occupa rispetto alle rapine, preceduta da Belgio, Francia, Portogallo e Spagna, che hanno tuttavia tassi molto superiori a quello italiano, mentre Slovacchia, Cipro e i Paesi dell’Est Europa, come Slovenia, Romania e Repubblica Ceca, costituiscono le realtà più virtuose.

Anche in questo caso, in Italia, assistiamo a qualche miglioramento: dopo i rilevanti passi in avanti compiuti nei primi anni 2000 (i furti, per esempio, erano passati da 3.471,1 per 100.000 abitanti nel 1991 a 2.105,0 nel 2008), vi è stata invece una drammatica inversione di tendenza nel periodo della crisi, che ci ha riavvicinati – senza però raggiungerla – alla situazione degli anni Novanta; tuttavia, a partire dal 2015, si è avuto qualche timido nuovo segnale positivo (per esempio i furti nelle abitazioni erano 17,9 per 1.000 famiglie nel 2014 e sono diventati 16,5 nel 2015), che può farci forse ben sperare. Un dato che spicca seguendo le serie storiche dell’Istat è invece l’aumento esponenziale di reati di ingiuria e diffamazione, che erano 30,5 per 100.000 abitanti nel 1991 e sono diventati 111,7 nel 2009.

Infine, l’Italia è anche uno dei Paesi europei con un maggior numero di rappresentanti delle forze dell’ordine: secondo l’Eurostat, nel 2008-2010 erano 453 per 100.000 abitanti, rispetto per esempio ai 300 della Germania, i 198 della Danimarca, i 354 della Francia (ma i 508 della Spagna e i 456 di Malta).

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