Strano, difficile paese il nostro, da poco uscito dalle felici celebrazioni dei suoi primi centocinquant’anni e costantemente però in bilico, sempre pronto a lacerarsi in nome di localismi da tempo immemorabile accentuati. I recenti scandali che hanno toccato il partito del Nord sarebbero stati causati, a dir di molti nella Lega, dalla contaminazione del movimento con elementi provenienti dal Meridione. Era da tempo che tale determinismo geografico non veniva esposto con tanta forza e accolto da tale indifferenza.
Il male è tuttavia antico e una scrittura manoscritta di metà Seicento, conservata in un codice della Biblioteca Vaticana forse ascrivibile a un anonimo veneto attivo nella Corte papale, mostra da un lato come la competizione tra diverse aree della penisola sia stata da sempre feroce (e questo era ben noto), ma anche come tutto sia relativo e come tutto dipenda dai punti di vista.
Si parla di un testo che titola “Il chiaro cristallo degl’homini italiani, nel quale si rimira e si scorge la qualità, inclinatione, natura e genio delle principali Nationi d’Italia”. Lo scritto viene anche citato come “Discorso della qualità degli italiani”. Anzitutto in esso si dice che le nazioni (potremmo semplificare le piccole patrie) italiane sono 22, un numero dunque che sembrerebbe quasi equivalente a quello delle attuali regioni italiane. E però il criterio con cui queste piccole patrie vengono identificate resta difficile da comprendere: alcune aree d’Italia come si vedrà mancano, forse perché senza dirlo assemblate con altre. Ma quali sono queste patrie e come vi sono definite le qualità di chi ne fa parte? Vediamolo nell’ordine con cui sono elencate nel manoscritto, presentando le impressioni dell’anonimo scrivente.

  1. Roma. I romani sono inclini alla lascivia e alle cose profane. La città conosce da sempre il lusso, dice chi scrive, e questo l’ha condizionata. E però i romani sono pochi e minoritari rispetto alla grande quantità di forestieri che vi approdano per le attività curiali. Lascivia e cedimenti profani sono dunque forse ascrivibili ai visitatori e non agli indigeni.

  2. Siena. Gli uomini della nazione senese vengono descritti quali lunatici e di cervello instabile.

  3. Firenze. Qui l’autore è durissimo. I fiorentini sono crudeli, assai aspri di carattere, straordinariamente avari.

  4. Pisa. Di questa città si ricordano i vecchi fasti e se ne descrive la sopraggiunta marginalità entro il dominio granducale. Simili ai fiorentini, i pisani non sono tuttavia così aspri come i potenti vicini.

  5. Piemonte. Un giudizio positivo. Chi vive lì è cortese, amorevole, addirittura di splendida natura.

  6. Genova. Gli abitanti del territorio genovese vengono descritti quali avidi, ingegnosi e capaci.

  7. Milano. I milanesi sono quieti, ricchi di umanità e interessati al prossimo, di carattere aperto.

  8. Parma. Anche i parmigiani sono giudicati positivamente. Si tratta di gente buona, semplice, generosa.

  9. Modena. Più articolato il giudizio sui modenesi, definiti umoristi e bizzarri, da tutti a quanto pare reputati come gente un po’ pazza, animata da una speciale vocazione per le carriere militari.

  10. Bologna. I bolognesi sono buoni uomini e timorati di Dio.

  11. Ferrara. Qui non c’è speranza. I ferraresi sono perfidi, maligni, nemici aperti dell’umanità.

  12. Ancona. Nella Marca anconetana si muove gente che non è né buona né cattiva. Gli anconetani vengono descritti quali rustici e crudeli, tenaci, non sinceri e perciò doppi e imbroglioni.

  13. Macerata. L’autore della memoria non ha affatto simpatia per chi veniva di qui. Individui crudeli, e ignari di ogni gentilezza, incapaci di generosità. Per questo a Roma tutti gli sbirri e i guardiani delle carceri erano originari di quella regione (una evoluzione questa rispetto alla più consolidata tradizione che voleva i marchigiani detestati perché collettori di imposte).

  14. Perugia. I perugini sono definiti alteri, superbi, temerari, sfacciati, appassionati della carriera militare.

  15. Lucca. Gli abitanti della piccola Repubblica di Lucca sono per l’anonimo tra gli italiani peggiori: crudeli, avari, bramosi di ingannare i compagni, addirittura anche solo capaci di fingere devozione religiosa.

  16. Ravenna. Anche qui non si va per il sottile. I ravennati vengono descritti come rustici, aspri, avari e avidi d’oro, crudi e rozzi.

  17. Romagna (Rimini). I riminesi sono brava gente: incline alle lettere e studi, modesta, ovvero non avara né splendida, dal carattere umano e servizievole.

  18. Mantova. Governati da un duca mite e equilibrato, i mantovani sono buoni, d’animo elevato e magnanimo.

  19. Venezia. I veneziani hanno ogni virtù. Uomini retti, amanti delle cose ben fatte, saggi e ricchi.

  20. Napoli. Ovvero l’inferno. I napoletani vengono descritti quali vili e pusillanimi, bugiardi e per questo – ma il legame è poco chiaro – simpatizzanti con la Spagna (la recente rivolta di Masaniello viene definita uno scherzo amoroso dovuta ad un occasionale quanto transitorio sdegno d’amore, appunto).

  21. Calabria. La nazione calabrese è simile alla napoletana: quegli abitanti sono vilissimi, senza civiltà, rustici, villani.

  22. Sicilia. Qui l’autore è ancora più drastico. Se san Paolo aveva detto bene dei siciliani era solo perché pensava a Malta. Sarebbe stato impossibile poter dir bene di gente crudele, disumana, incapace di ragione e bestiale. Uomini turpi, esosi, aspri, fieri.
    L’Italia sembra un gran serraglio, insomma, abitato in gran parte da gente dura e malfida. Pochi si salvano per l’anonimo e le differenze tra popolazioni anche assai contigue vengono descritte quali abissali: si veda quel che si dice degli abitanti delle città emiliane e romagnole.
    Tuttavia questa è Italia, ben prima del 1861, una comunità umana di uomini e donne che preesiste alla unità politica, e già in questa scrittura le caratterizzazioni antropologiche e culturali sono sostanzialmente immuni da una caratterizzazione “nazionale” in senso proprio: le nazioni descritte non corrispondono a stati. Né vale la contrapposizione nord-sud: i ferraresi e ravennati, sudditi pontifici, tanto per fare un esempio, sono equiparati di fatto nel giudizio negativo ai napoletani.
    Anche da questa descrizione dei diversi caratteri “nazionali” degli italiani si coglie l’antichità di pregiudizi su cui ancora ci si dibatte nel nostro tempo e che, proprio perché legati ad un così lontano passato, sarebbe ormai il caso di superare. Sorridere delle caratterizzazioni presentate in quell’antico documento equivale a farlo sulle grottesche caratterizzazioni che taluni cercano di riproporre oggi, addirittura come parte di un programma politico. Al di là dell’inconsistenza culturale del pregiudizio l’arma è tuttavia pericolosa. S’inizia col contrapporre l’immaginaria Padania al resto della penisola, si passa poi, per riprendere il testo, a confrontarsi con le differenze tra bolognesi e ferraresi o ravennati (per passare poi a distinguere tra quanti in queste città vivono al di là o al di qua della ferrovia, del fiume o della strada principale) e si arriva infine a considerare un rischio che un veneto possa prendere il posto di un “lumbard” quale segretario del democratico movimento nordista mettendo a rischio la sua unità. Chi di pregiudizio colpisce di pregiudizio perisce.