L’interruzione delle attività e dei trasporti imposta dalla pandemia ha ridotto l’inquinamento del pianeta, ha diminuito le emissioni di CO2 che avevano superato i livelli di guardia, ha migliorato il benessere ambientale dell’umanità; paradossalmente, ciò è avvenuto mentre diversi milioni di persone morivano nel mondo per l’infezione polmonare. Nella tragedia dei morti, nel blocco del lavoro che ha lasciato attivi solo quelli urgenti per la sopravvivenza dei vivi, nelle prospettive di disoccupazione e di crisi economica eccezionale che ci aspettano, la pandemia è considerata dagli economisti “peggio di una guerra”, poiché la battaglia per fermarla ha bloccato tutto, dal lato della domanda nei consumi, da quello dell’offerta nella produzione e nei servizi.

Si dovrà ripartire, ancora una volta. Ma la natura richiama il mondo alla difesa dell’ambiente e la via non può essere certo percorsa attraverso il blocco delle attività o un ritorno illusorio alla vita contadina. Da economista, vedo nel disastro la premessa per richiamare lo Stato, l’amministrazione, l’industria privata, i cittadini, i giovani a partecipare alla ricostruzione; per ripartire con una nuova consapevolezza e la possibilità di scegliere, tra i molti interventi possibili, un modello di ri-crescita che persegua un maggiore equilibrio tra l’organizzazione della vita e il rispetto di ciò che la natura continua a elargire, nonostante lo scambio predatorio accumulato. Vediamo la primavera avanzare, nonostante tutto.

Ma come? Secondo quali indirizzi e quali strumenti? La breve riflessione qui è incentrata sull’economia italiana, ma è facilmente generalizzabile. L’esperienza migliore avvenne dopo la Seconda guerra mondiale, quando indirizzi sapienti dei governanti fecero sfociare la ricostruzione nello straordinario boom economico e sociale che cambiò le sorti dell’Italia. Intorno ad esso si ricostruì il Paese, che continuò a crescere nell’economia, nella società e nella cultura nei decenni successivi. I costumi della popolazione aderirono di buon grado.

Ricordo la complementarietà degli interventi su cui si fondò larga parte della ricostruzione: una scelta centrale cadde sul settore della motorizzazione, con un indirizzo di lungo periodo. L’automobile (la FIAT, impresa privata lungimirante) creò un indotto diffuso; i trasporti su strada (investimenti dello Stato nella meccanica, nell’acciaio, nelle autostrade) con soldi pubblici attraverso l’IRI crearono la rete di connessione del Paese e infine il petrolio (l’AGIP di Mattei votata alla liquidazione, fu trasformata in perno pubblico della ripresa, con l’ENI) insieme ai primi sviluppi dell’industria petrolchimica contribuirono tutti a fare sistema. Allora la rinascita di un Paese stremato, sotto le macerie della guerra ‒ non paragonabile con la situazione di oggi, almeno in questo, per fortuna ‒ trovò tre punti di forza per indirizzare l’economia in un’ottica di lungo periodo, che mi preme richiamare per l’oggi.

Puntò su un asse industriale nuovo, intorno al quale fece ruotare un indotto sostanziale e diffuso, che creò occupazione e diede fiato a imprese innovative; definì politiche pubbliche indirizzate a quegli obiettivi e una pubblica amministrazione eccelsa, di formazione per lo più scientifica per accompagnare il processo; stabilì indirizzi di politica estera intorno a quegli obiettivi (non a caso largamente influenzati dall’ENI). Le scuole prepararono giovani tecnici.

La Banca d’Italia aiutò nell’impresa, e questo fu il secondo asse: il supporto finanziario del sistema bancario all’industria nascente.

Il terzo asse fu il sostegno esterno, indispensabile per ricostruire un Paese senza risorse: il piano Marshall arrivò da un’America che condivideva gli obiettivi economici di fondo dell’Italia ‒ lanciava allora le majors del petrolio, l’automobile, la benzina, l’industria petrolchimica ai suoi albori. Di quelle risorse ingenti, più del 10% fu devoluto all’industria automobilistica del Paese e alle infrastrutture ad essa necessarie.

Oggi si ripresenta con analogo favore e difficoltà diverse un asse fiorente per il lungo periodo. La scelta disponibile, questa volta, per una crescita necessaria che contribuisca al rispetto dell’ambiente, è nel nuovo modello energetico composto dal digitale in sinergia con fonti rinnovabili e gas. Richiede una politica economica orientata al sistema, per essere attuata: indirizzi mantenuti nel tempo, norme semplici e certe, liberate da eccessivi passaggi burocratici; e l’impegno dell’industria a fare sistema intorno a queste scelte. Non è un orizzonte facile per la classe dirigente. È solido invece il sostegno della popolazione, favorevole alla decarbonizzazione e in grado di applicarsi alle nuove soluzioni digitali che limitano gli spostamenti se disporrà delle connessioni necessarie, come l’esperienza della pandemia sta mostrando. Anche oggi la ricrescita si può fondare su tre assi portanti:

1. La filiera della generazione energetica da fonti rinnovabili, possibili in un Paese dove il sole e il vento sono di casa, può essere l’asse centrale. Grandi e medie imprese, in parte pubbliche e in parte private, sono già avviate su questo percorso: il trasporto elettrico richiede l’impegno dell’industria automobilistica e del suo indotto; esige infrastrutture diffuse ‒ dalle colonnine di ricarica rapida e standardizzata, alle batterie per conservare l’elettricità. Le imprese dovranno fare sistema con un’amministrazione che certo non necessita di ulteriori nuove riforme, ma esige l’assunzione di personale specializzato che possa interloquire con l’industria (ingegneri e tecnici in primo luogo). L’innovazione di nicchia in questo settore è ben presente nel Paese, chiede di essere valorizzata per partecipare all’indirizzo comune e dare occupazione a giovani tecnici, già disponibili sul mercato del lavoro, ma spesso accolti e valorizzati dal mercato estero. L’innovazione digitale offre il supporto per le reti intelligenti, le città sono predisposte per accogliere piattaforme alimentate da fonti rinnovabili. Le infrastrutture pubbliche richiedono nuovi investimenti, con la promessa di ridurre inquinamento ed emissioni di biossido di carbonio nelle città. La popolazione è matura per trarne vantaggio, Milano presiede la lega delle “città sostenibili” nel mondo.

2. Quanto al secondo asse, le “banche”, oggi la finanza verde e attiva nell’economia reale mostra una crescita stabile. Le obbligazioni verdi, a supporto di imprese impegnate in attività di crescita sostenibile, offrono un’alternativa gradita alla volatilità dei Fondi nel quadro di incertezza che il mondo finanziario attraversa oggi. Banca d’Italia ha dato l’esempio, re-indirizzando il portafoglio in attività di crescita sostenibile.

3. Per il terzo asse, certo, servono un supporto esterno e risorse ingenti per guardare al futuro partendo dal debito che grava sul Paese. La nostra America oggi è l’Europa: è un aspetto cruciale di questo indirizzo. La crescita fondata sul nuovo modello energetico è sinergica agli obiettivi di decarbonizzazione che l’Europa si è data con il Green Deal, intorno al quale ha raccolto il consenso maggioritario dei Paesi membri. Il progetto di ricrescita fondato su fonti rinnovabili, gas e digitale è perfettamente in asse con il progetto europeo, lo rafforza con il contributo della grande economia di un Paese membro, qual è l’Italia. Come fu per il piano Marshall e l’America di allora, i cui finanziamenti intendevano tra gli altri obiettivi valorizzare il petrolio, oggi i fondi messi a disposizione dall’Europa servono anche per contribuire alla crescita europea attraverso il nuovo modello di crescita ambientale. Per l’Italia è un punto di forza, per attrarre capitali e sostegno politico.

Tutti i tasselli per ripartire in questa direzione sono disponibili; perché la ri-crescita sia costruita, un orientamento che sappia fare sistema e indirizzi unitari di lungo periodo dovranno prevalere. Infine, per concludere, un elemento da non trascurare è la partecipazione attiva della popolazione a un indirizzo così impostato, per valorizzare la pienezza solidale del Paese che si è potuta registrare nel terribile trauma del Covid-19.

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