In una memorabile lettera d'amore alla moglie, pubblicata dalla Stampa nel '43 e intitolata 'Il silenzio nel matrimonio', Alberto Savinio dice che gli 'uomini non sanno guardare' e 'più grave del daltonismo dei colori è quello delle forme': 'Altrimenti i coniugi apparirebbero per quello che sono, mostri forniti di quattro gambe e di quattro braccia, con due nasi e due bocche, che camminano come ragni enormi'.
La moglie era Maria Morino, attrice della compagnia di Eleonora Duse. Diplomato a pieni voti al conservatorio di Atene, Savinio era pittore e scrittore – unico italiano a essere insierito da André Breton nell'Antologia dello humor nero con De Sade, Kafka, Poe, Carrol e così via -, e collaboratore di riviste letterarie, dalla Ronda a Omnibus che ha fatto chiudere sotto il Fascismo per un articolo dissacrante su Leopardi e Napoli. Come tutti i geni, non soffriva del daltonismo di cui sopra, vedeva le apparenze per come erano nella sostanza che le persone comuni non sapevano cogliere e le dipingeva e le narrava. Sempre in bilico tra 'onirico e ironico' vedeva la vitrea copertura della Galleria di piazza Duomo a Milano come un bruco, le nere uova di storione esposte da Biffi in mezzo a un trionfo di cacciagione come i pallini da fucile che l'avevano sterminata e il crollo della statua di Manzoni in piazza San Fedele, sotto le bombe inglesi, come quel passo in avanti che è mancato all'autore dei Promessi sposi per superare reticenze e inibizioni che lo rendevano un artista mancato.
Sono immagini 'milanesi' che compaiono in uno dei libri più famosi di Savinio, Ascolto il tuo cuore, città, ristampato da Adelphi nell'84. Un libro le cui pagine, tra le più belle mai scritte su Milano, assumono fin troppo presto il carattere di un ritratto che sopravvive all'originale. Savinio, queste pagine, le sta per dare alle stampe durante la guerra quando – nell'agosto del '43 – Milano viene colpita da una serie di bombardamenti devastanti che purtroppo non uccideranno solo la statua di Manzoni. Il libro uscirà così nel febbraio del '44 'aggiornato' all'ultimo momento: un ritratto con cicatrici e la morte già all'opera... Gli aerei della Raf partivano all'ora di cena dall'Inghilterra, sorvolavano Francia o Germania quand'era già buio per sfuggire la contraerea nazista, arrivavano oltre le Alpi intorno a mezzanotte, preceduti da velivoli che lanciavano bombe al fosforo per illuminare gli obiettivi. In seguito decolleranno dalle basi della Puglia volando alla luce del giorno e tornando per il tea time. Verranno subito dopo gli anni dello sviluppo economico e edilizio frenetico che sfigurerà ulteriormente Milano, questa città così votata all'autodemolizione, ma Savinio non farà in tempo a vederli perché sarà colpito da infarto proprio mentre andava a Roma per il matrimonio della figlia Angelica, nella primavera del '52, prima di poter compiere 61 anni. Savinio ha ascoltato il cuore di Milano ma chi ha ascoltato il cuore di Savinio?
La morte è un elemento presente nello sguardo surreale e metafisico di questo artista, cresciuto in Grecia, vissuto a Monaco e Parigi, tornato in Italia con quell'amore per la patria che si può nutrire solo a distanza, che si moltiplica per divisione forzata. In Galleria passa davanti al negozio di un fotografo che realizza 'fotografie per tessere a consegna immediata'. Indubbiamente una novità rispetto alle foto che richiedevano lunghe preparazioni, messe in posa, sviluppi con ritocchi degni di un ritratto pittorico, insomma le tipiche foto degli anni '20 e '30. Siamo piuttosto dalle parti delle apparecchiature per foto-tessere che si trovano ancora nelle stazioni ferroviarie e della metropolitana. Come appaiono a chi le vede per la prima volta? Le persone sembrano colte di sorpresa, non sono più in posture lungamente studiate, presentano facce colpite dall'obiettivo come da una raffica di proiettili: 'vita raggelata, spettrale e istantanea; occhi che fissano la morte, stupore da clienti della sedia elettrica'. Troppo realismo? La capacità della fotografia moderna di congelare freddamente la vita in un istante ricorda a Savinio la morte. Mentre le fotografie 'posate', i ritratti fatti per 'bellezza' fanno pensare al desiderio di vedere il proprio 'simulacro mortale' perpetuarsi tra i discendenti.
Fermato sulla soglia di un edificio in Galleria da una portinaia – tipica e tuttora esistente istituzione milanese che ha assunto sembianze filippine soprattutto... -, Savinio viene indirizzato verso l'ingresso del negozio di fotografia ma non è lì che vuole andare: 'No, sciura portinaia: fotografia io non voglio, né lasciare quaggiù l'immagine della mia spoglia mortale, io che spero di lasciarvi traccia della parte immortale di me'. Questa affermazione potrebbe sembrare non meno vanitosa della 'moda' della fotografia ma richiama un passaggio precedente nel quale Savinio racconta le pratiche di mummificazione dell'antico Egitto. Il cervello, insieme alle viscere, veniva estratto solo nelle mummificazioni di prima classe mentre nelle altre si praticava un trattamento esterno. Da questo Savinio deduceva che i faraoni e i più alti dignitari del Regno - diversamente da chi si trovava più in basso nella scala sociale - sarebbero risuscitati senza cervello, ma con un corpo meno corrotto, mummificato meglio. Per resuscitare era infatti necessario che il corpo si conservasse in attesa del ritorno dell'anima. E dovendo scegliere che cosa conservare in modo più smagliante... A Savinio interessava invece solo 'l'anima' da tramandare ai posteri e non il corpo: quella che si trova nei suoi quadri, nei suoi scritti, nelle sue composizioni musicali – campo artistico dove ha avuto decisamente meno fortuna – che hanno titoli come Les Chants de la Mi-Mort, suite per pianoforte del 1914.
Non era troppo affezionato alla propria immagine fisica ma a quella metafisica. Al contrario della maggior parte della gente che tiene alla faccia: 'La vanità dell'individuo si misura alla resistenza che egli pone all'obiettivo. Ne ho visti che non solo non resistono all'obiettivo, ma lo invocano come il fiore invoca la rugiada'. Savinio si riferisce a una coppia con cui ha compiuto un viaggio in automobile: 'A ogni tappa, pianoro d'Abruzzo o tempio di Nettuno a Pesto, la signora si metteva in posa, buttava fuori il petto, tirava la bocca a un sorriso da Sidonia (dicevansi Sidonie le teste di cartapesta sulle quali i parrucchieri confezionavano le parrucche) e diceva al marito: Gaspare, la fografia! Così le prime volte. Poi la parola fu di troppo'. Il silenzio nel matrimonio...
Certo doveva fare un certo effetto questa duplicazione istantanea e dilagante dell'immagine umana per chi era nato in un secolo, l'Ottocento, dove la pittura ne aveva ancora l'esclusiva pressoché totale. Così come a noi oggi il dilagare degli scatti col cellulare. A poche persone, nell'era pre-moderna, era data la possibilità di tramandare la propria faccia, di perpetuarla. Dopo la guerra inizierà una fase di ulteriore espansione di questa possibilità. Fino ad arrivare all'era della macchina fotografica digitale, presto incorporata nel telefonino e sempre pronta a cogliere istanti di vita da consegnare all'eternità provvisoria della Rete. Ulteriore sviluppo o degenerazione i selfie - gli autoscatti si sarebbe detto con terminologia da giornaletto porno – e gli ambulanti extracomunitari a Milano che vendono o noleggiano le bacchette per fotografarsi da maggiore distanza includendo porzioni di paesaggio più panoramiche rispetto a quelle che si possono cogliere con la lunghezza del braccio. Non è piu, forse – al netto della possibilità di una gestione postuma dei profili Facebook trasformati in lapidi – una fotografia destinata alla discendenza, ammesso che ce ne sia una. È una fotografia destinata ai contemporanei, a essere condivisa per lo spazio di qualche istante, a sostituire la vicinanza reale con quella virtuale. Non per questo meno succube 'dell'affetto che l'uomo – e la donna - nutre per la propria faccia'. Anche se si tratta di una faccia davvero poco degna di affetto in fondo è l'unica cosa che ci distingue dal resto dell'umanità a parte il codice fiscale. Naturalmente non esisteva, ai tempi di Savinio, la fotografia di animali: cani e gatti... Non nella dimensione attuale. Mancava la materia prima. Questo mare digitale di ritratti e autoritratti, umani e animali, ha in compenso preso il posto della fotografia su pellicola che per definizione veniva stampata e era tramandata – nel tempo – ai posteri, finché magari non erano nemmeno più in grado di riconoscere i soggetti, la loro identità, il loro nome. La vanità dei soggetti, a dispetto dell'apparente ironia dell'autoscatto, non verrà meno, ma tutt'al più si verrà tramandati su una chiavetta o un cd rigato dai nipoti o si persisterà virtualmente in Rete per un po'. A bassa risoluzione. Chissà come sarà l'aldilà digitale. Esiste una vita dopo la morte ma è su Facebook a tempo determinato. E l'oblio, direbbe Savinio, prima che un diritto è un dovere.