“…se i nostri nonni si risvegliassero, troverebbero un mondo che è quello di 2001 nello spazio: l’interazione continua. Invece la scuola è sempre la stessa, con gli stessi banchi in formica verde” […] “con la didattica che la scuola offre oggi, i giovani studenti apprendono con strategie tradizionali non più del 20% delle conoscenze che invece dovrebbero apprendere”. Parole amare, piene di disincanto, lo sfogo non di qualche docente sull’orlo di una crisi di nervi di fronte alla difficoltà del quotidiano rapportarsi con i suoi studenti nativi digitali, ma riflessioni pubbliche ripetute in più di un’occasione dallo stesso ministro Profumo. Ora, con la ripresa delle lezioni, è perciò lecito domandarsi quali cure si vadano predisponendo, tanto dal centro che dalla periferia, per portare soccorso a questo grande ammalato che risponde al nome di ‘Scuola italiana’.
In merito alle prime azioni da intraprendere, tutti concordano sul fatto che il livello di apprendimento degli studenti potrebbe ragionevolmente elevarsi, se la didattica si avvalesse di metodologie e strumenti più al passo con i tempi. Ecco quindi delineata la nuova strategia sulla quale scommettere: aprire le aule alle nuove tecnologie. Come? Più lavagne interattive, più tablet per gli studenti, più contenuti digitali, più comunicazione con le famiglie via internet, più larghezza di banda nella connettività, più formazione per i docenti sui nuovi media. Facile a dirsi, ma i risultati non sono affatto scontati, stante la cronica difficoltà degli insegnanti ad accettare di rimettersi in discussione in una fase avanzata della propria carriera professionale: ricordiamo che l’età media dei docenti in Italia, cinquanta anni, è tra le più alte in Europa. Ultimamente però, si sono avute alcune iniziative promosse dalla periferia (le singole scuole) o dal centro (il Miur o le Regioni) che potrebbero, come una miccia, innescare il cambiamento tanto atteso: passiamo a descriverne alcune, non senza nascondere la complessità che comporta la loro realizzazione su vasta scala.
Come tradizione insegna, le iniziative di rinnovamento nella didattica che si rivelano di maggiore presa tra docenti e studenti sono quelle che partono dalle singole scuole, in una classica modalità bottom-up. A tal proposito, come non citare il caso della pionieristica iniziativa Book in progress promossa dall’ITIS Majorana di Brindisi, un progetto che ha suscitato una vasta eco sui media e che ha ottenuto anche l’incoraggiamento personale del ministro Profumo? Partito in sordina nel 2009, il progetto si sta ora diffondendo a macchia d’olio su scala nazionale, avvalendosi di una rete che conta 36 istituzioni scolastiche e circa 300 docenti che vi partecipano attivamente. L’intuizione vincente avuta da Salvatore Giuliano, preside di questa scuola pugliese, è stata quella di convincere i suoi insegnanti a scrivere di proprio pugno i libri di testo, mettendoli poi a disposizione degli studenti a costi irrisori rispetto a quanto richiesto dall’editoria scolastica: un fatto questo, che, se ha determinato inizialmente per le famiglie un notevole risparmio, ha permesso poi, nella seconda fase, di avviare fra i banchi di quella scuola una vera e propria rivoluzione digitale. È stato infatti richiesto alle famiglie stesse di reinvestire in tecnologia quanto risparmiato, dotando i propri figli di un dispositivo tipo netbook o ultimamente iPad, quale supporto elettronico dei libri di testo in formato digitale: in pratica un piccolo portatile da portare a scuola con cui gli studenti ora seguono le lezioni in classe, avvalendosi di una connettività bluetooth e di una lavagna interattiva multimediale, in un’aula dove una postazione telematica ha preso il posto della tradizionale cattedra. Facce soddisfatte adesso tra studenti e professori in quella scuola e una maggiore motivazione allo studio che dovrebbe favorire un miglioramento dell’apprendimento.
Per un Sud che una volta tanto si mette in cattedra, diffondendo in tutta la penisola le sue buone pratiche, è lecito anche chiedersi che cosa vada bollendo in pentola in tema di innovazione nel centro direzionale del sistema scolastico italiano, ovvero il Miur. Ebbene, pare proprio che là stiano preparando grosse novità. Nella conferenza stampa d’inizio anno, Francesco Profumo ha annunciato che, in tempi rapidi, a ogni classe di tutte le scuole medie e superiori del Paese verrà assegnato un computer da utilizzare nelle lezioni quotidiane. Addirittura, per le quattro regioni della cosiddetta Convergenza (Puglia, Campania, Sicilia e Calabria) l’intervento sarà ancora più capillare, visto che si prevede di dotare di tablet personale due insegnanti su tre. Sempre a proposito di finanziamenti mirati all’introduzione delle nuove tecnologie nella didattica, va ricordato che nello scorso mese di luglio, in Conferenza Stato-Regioni, è stato siglato un accordo che destina un ulteriore fondo alle Regioni, finalizzato alla costruzione di soluzioni di cloud computing, con l’intento di offrire a docenti e studenti aree riservate, aree servizi e repository di contenuti digitali. Nel contempo si finanzierà anche l’acquisto di lavagne interattive, privilegio ora solo di pochissime classi, mentre si punterà a una maggiore produzione di contenuti digitali per la didattica e a un ulteriore diffusione della connettività a banda larga nelle scuole. Insomma, un vero diluvio di dispositivi e di contenuti per quella che, nelle parole del ministro Profumo, dovrebbe rappresentare una vera e propria rivoluzione culturale: gli esiti di queste azioni dovrebbero comportare - il condizionale - è d’obbligo, una riduzione della distanza percepita dalle nuove generazioni rispetto alla scuola, rendendo quest’ultima più attuale e motivante.
Per concludere questa rassegna sulle cose che cambiano in positivo nella scuola, ricordiamo brevemente l’altro tema caldo affrontato durante l’estate dal governo Monti: quello della valutazione del sistema scolastico nazionale. L’obiettivo dichiarato è stato quello di favorire un processo di miglioramento sistematico e complessivo del servizio, mirato soprattutto a innalzare i livelli di apprendimento degli studenti e a dotarli di conoscenze e competenze essenziali per operare scelte consapevoli per il loro futuro. Come si sa, l’anno scorso era stata addirittura l’UE, a fronte dei risultati deludenti conseguiti dai nostri studenti nelle periodiche rilevazioni Invalsi, a indirizzare un’irrituale richiesta relativa alle necessarie iniziative da intraprendere per elevare il livello di apprendimento dei discenti, nonché per favorire la valorizzazione della professionalità docente. In quell’occasione fu il passato governo a impegnarsi adottando anche nel nostro Paese un sistema di valutazione esterna, accettato e condiviso da tutti coloro che operano nel mondo della scuola. Adesso, pur nelle ristrettezze finanziarie imposte dai vincoli della spending review, il governo prova a riprendere il filo del discorso sulla capacità da parte della scuola di render conto alla collettività del servizio offerto. Nel primo Consiglio dei Ministri dopo la pausa estiva, è stato infatti varato uno schema di Regolamento che dovrebbe consentire finalmente al Sistema nazionale di valutazione in materia di istruzione e formazione (Snv) di muovere i primi passi. La strategia che ha ispirato questa riforma si fonda sulla necessità che tutte le scuole effettuino preventivamente la cosiddetta ‘autovalutazione di Istituto’: non sono previsti premi o sanzioni per i risultati conseguiti dalle scuole, ma i risultati saranno resi pubblici. Dopo questa prima valutazione ‘interna’, interviene la valutazione del Servizio nazionale per misurare dall’esterno l’efficacia dell’offerta formativa: attraverso questa doppia valutazione, ‘interna’ ed ‘esterna’, si spera di rivitalizzare il ruolo della scuola come fattore di crescita per il Paese, dal momento che, come tutti sanno ma qualcuno poi dimentica, non può esserci sviluppo economico e sociale nella società senza un’adeguata preparazione culturale dei suoi cittadini - fattore, questo, che solo una scuola efficace ed efficiente può garantire.