La notizia circola da qualche giorno. Papa Francesco ha autorizzato la beatificazione come “martire in odium fidei” di Teresio Olivelli: personaggio di spicco del cattolicesimo lombardo, intellettuale organico all’Istituto nazionale di cultura fascista, dopo l’8 settembre 1943 ai vertici delle brigate Fiamme Verdi, morto il 17 gennaio 1945 a 29 anni nel lager nazista di Hersbruck per le percosse di un carceriere dopo aver tentato di difendere un compagno.

Al di là delle differenti valutazioni che si possono dare su come questo istituto è stato impiegato negli ultimi decenni dalla “fabbrica dei santi”, si tratta di una notizia rilevante perché sancisce un riconoscimento ufficiale (anche se non il primo) del contributo dei cattolici alla Resistenza in Italia. Nello stesso tempo, questa decisione avalla una certa visione della Resistenza religiosa non priva di ambiguità storicamente consolidate. Già a partire dalla fine della guerra, la Chiesa e le organizzazioni del movimento cattolico avevano identificato in Olivelli una figura simbolica non solo di “martire”, ma anche di esponente della presenza dei credenti nel movimento di liberazione: una questione evidentemente spinosa, date le contraddizioni nell’atteggiamento assunto dalla Chiesa dopo l’8 settembre, ma rilevante nella concorrenza ideologica con le sinistre dopo il 1945.

Il giovane lombardo, proveniente dagli ambienti dell’Azione cattolica, era additato come un esempio di “moralità” in linea con quel modello dell’“uccidere senza odio” rilanciato dallo stesso Olivelli sulle pagine della rivista Il Ribelle e da subito impiegato dalla pubblicistica in opposizione alla (presunta) “immoralità” delle forze di sinistra. L’avvio del processo di beatificazione risale al 1987 su iniziativa della diocesi di Vigevano, ma l’iter non si spiega appieno senza considerare l’utilizzo che fu fatto di questa brillante figura di teorico della Resistenza religiosa da parte dell’Azione cattolica e soprattutto della DC. Agli anni Ottanta, del resto, risale anche la canonizzazione di padre Kolbe, morto in circostanze che ricordavano da vicino quelle di Olivelli e dichiarato “martire della Carità”.

Tornando al presente, come ha spiegato Marco Roncalli su “Vatican Insider” (16 giugno), l’iter si è rivelato complesso: «impostato inizialmente su un duplice binario – cioè il riconoscimento delle virtù e del martirio – ha visto dapprima concludersi positivamente il percorso sulle virtù, sancito con la promulgazione del Decreto di venerabilità da parte del pontefice il 14 dicembre 2015, poi una prosecuzione sulla strada del riconoscimento del martirio (che non necessita il miracolo), a dimostrazione dell’epilogo di un esemplare ed intenso cammino di fede». Nel 2016 sono state precisate le connotazioni dell’evento martiriale e la Congregazione delle Cause dei Santi ha dato il suo via libera, al quale è seguito quello della commissione di cardinali e vescovi all’inizio giugno. Intervistato da Avvenire, monsignor Paolo Rizzi, postulatore della causa di beatificazione, ha dichiarato che sarebbe «riduttivo e scorretto rinchiudere Olivelli e la sua santità dentro due militanze: in campo fascista e in quello della resistenza. La Chiesa, proclamandolo beato, non intende approvare o dare giudizi su questi due periodi storici entrambi non privi di contraddizioni e di elementi discutibili dal punto di vista cristiano»: una dichiarazione esemplare di come, senza nulla togliere all’indubbio antifascismo di Olivelli, il mutato atteggiamento della Chiesa nei confronti della memoria della Resistenza abbia trovato nel paradigma della vittima una via d’uscita ancora insufficiente per fare i conti con il passato della guerra di liberazione. Secondo alcune fonti la beatificazione potrebbe tenersi a Vigevano il 13 gennaio 2018.

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