Questo articolo è in verità un’intervista "con la coscienza" di uno scrittore, Nicola Gliosca, uno degli ultimi parlanti na-našu, lingua della minoranza croata di Acquaviva Collecroce (CB). Gliosca negli ultimi anni si è impegnato per lasciare una traccia della propria lingua in forma scritta. Il destino della lingua croata molisana, tuttavia, è già segnato, sicché questo dialogo si dirama tra la coscienza della morte del na-našu e la profonda e meditata accettazione di chi questa fine la vede chiaramente e di quei molti per cui la questione non è rilevante.

Entro nella casa di Nicola Gliosca, a Termoli (CB), nelle prime ore di un soleggiato pomeriggio autunnale. Ci mettiamo comodi sul divano e iniziamo a parlare. Nel mentre, il mio sguardo si posa su uno scaffale in cima a un ampio mobile alla mia destra; sopra di esso si trovano libri in tedesco, croato, inglese e italiano, tutti concernenti lo stesso argomento: la singolare lingua parlata da Gliosca. «Vuoi sapere chi siamo?», mi chiede lui, «siamo un popolo in esilio che sta morendo».

Nicola Gliosca è nato ad Acquaviva Collecroce (CB), comune che, insieme con Montemitro (CB) e San Felice del Molise (CB), è rappresentativo della minoranza croata molisana. La sua lingua materna è il na-našu (lett. “alla nostra”), glottonimo della variante linguistica croata parlata ad Acquaviva: «Ho avuto la fortuna di non fare l’asilo; ho imparato l’italiano alle elementari come L2 (seconda lingua)».

Da diversi anni Nicola Gliosca scrive romanzi e poesie nella sua lingua. Filippo Salvatore, professore alla Concordia University di Montréal, dice di lui che è lo scrittore più importante in lingua na-našu. I suoi testi sono scritti direttamente a mano in croato molisano, solo successivamente digitalizzati e tradotti in italiano in edizioni pubblicate con testo a fronte.

«Non si sono mai scritti veri testi in croato molisano. Ci fu il tentativo di Giovanni De Rubertis, ma lui si servì del croato standard per ovviare ai lessemi assenti nella nostra lingua, sicché il risultato fu un idioma pianificato incomprensibile tanto per noi quanto per gli stessi croati. Quando nella nostra lingua mancano delle parole, i termini li “rubiamo” dai dialetti molisani» dice Gliosca, e infatti la parlata croata del Molise è una forma particolare di lingua slava meridionale, detta a struttura stocavo-icava, separatasi dal territorio croato durante i primi anni del XVI secolo, seguendo un percorso evolutivo indipendente che ha portato allo sviluppo di caratteristiche linguistiche peculiari che rendono il na-našu una lingua a sé stante. La storia di questa comunità è accuratamente descritta nell’opera di Milan Rešetar, Le colonie serbocroate dell’Italia meridionale – nella traduzione italiana dal tedesco a cura di Walter Breu e Monica Gardenghi – e affonda le sue radici nell’invasione turca del sedicesimo secolo.

«Nel 2005 la regione ha attivato un master sulle minoranze linguistiche in Molise. Mi chiesero di partecipare affinché si raggiungesse il numero minimo per attivare il corso, così vi andai; lì mi venne chiesto di iniziare a mettere per iscritto qualcosa in na-našu. In un primo momento, cominciai con delle poesie e dei racconti brevi, poi mi convinsi di voler scrivere un romanzo, componendo un capitolo alla settimana; impiegai circa un anno, ma alla fine ci riuscii»

Sep aš Mena (lett. “Giuseppe e Filomena”) è il primo romanzo, scritto nel 2007, in corretto na-našu, accompagnato dalla traduzione a fronte in lingua italiana e corredato da un CD audio in cui si propone la versione orale del testo ad opera di Rino Gliosca: «Volevo dimostrare che la mia lingua poteva benissimo essere una lingua letteraria, se qualcuno avesse voluto che lo fosse. Inoltre, ho voluto lasciare una testimonianza di quello che è ed è stata la civiltà e la cultura linguistica del na-našu in Acquaviva Collecroce per cinque secoli, dal 1500 al 2007».

Dopo una prima raccolta di poesie intitolata Štice do srca (lett. “Gocce di cuore”), la produzione letteraria di Gliosca è andata proseguendo nel tempo con la pubblicazione di altri testi: Hiža do Templari (“La casa dei Templari”), scritto nel 2010; Tezor do Brihandi (lett. “Il tesoro dei briganti”), scritto nel 2011, prefato dal prof. Filippo Salvatori (Concordia University, Montreal); Ruzulin. Romandz (lett. “Rosolino. Romanzo”), scritto nel 2015; Sa naša jena fat (lett. “Ho trovato una storia”), scritto nel 2017. Nel 2018, appena un mese prima del nostro incontro, era stato edito il suo più recente testo: Si govoraš povidaš (lett. “Se dici racconti”), una raccolta di racconti scritti nell’arco di una dozzina d’anni. Nel 2009, con la collaborazione di Walter Breu (Universität Kostanz, Kostanz), è stata pubblicata la versione in na-našu de Il piccolo principe (Mali kraljič).

Scrivere il primo romanzo, ammette Gliosca, è stato difficile, «mia nonna mi ha fornito il modello per importare l’oralità in forma scritta. Come incomincerebbe lei una storia? Come la finirebbe? Non ho voluto creare alcuna lingua che non esistesse già: il na-našu che si legge nei miei libri è quello che la gente parla». A questo punto gli chiedo quante persone parlino ancora croato molisano e quale sia la situazione linguistica tra i giovani del suo paese; lui mi guarda un istante e dice: «In due anni ad Acquaviva è nato un solo bambino. I vecchi non hanno interesse in queste cose, parlano tra loro in na-našu e intanto i giovani vanno via, in cerca di nuove opportunità, di nuove prospettive. So che adesso nella nostra scuola insegnano il croato standard, ma è comunque cosa ben diversa dal croato molisano. La storia dei croati molisani è la storia di una morte annunciata; non mi reputo pessimista, penso di star vedendo la cosa in maniera oggettiva. Anche il latino, parlato in un vastissimo impero, alla fine ha lasciato il posto ad altre lingue. Se paragoniamo il tempo che ci è stato concesso, direi che abbiamo vissuto fin troppo. È giusto che moriamo, e con noi la nostra bella lingua».

Nicola Gliosca è un epigono che osserva con lucidità la storia della sua gente, senza vittimismo o prometeici impeti di rivalsa. Egli accetta la fine come una condizione naturale, ne prende atto, come si evince in questa poesia intitolata Renule (lett. “Rondini”):

Na primaveru,
di moj grad,
saki gošta,
letu
veča mala
renule.
Kana
moje
čeljade.

A primavera,
nel mio paese,
ogni anno,
volano
sempre meno
rondini.
Come
la mia
gente.
(trad. di Nicola Gliosca)

Ciò che emerge dal dialogo con Gliosca è dunque la sua profonda consapevolezza della fine imminente. Non c’è futuro per il na-našu; da ciò lo sforzo dello scrittore per lasciarne una testimonianza. «E le grammatiche di croato molisano», gli chiedo, «hai collaborato nella loro stesura così come in quella dei vocabolari?». «A me non importa nulla di come funziona il motore», afferma incalzandomi, «ciò che importa è che so guidare la macchina. Non sono interessato alla grammatica o alla linguistica: mi piace raccontare storie e l’ho fatto. Nei miei romanzi si trova una lingua orale. Non so cosa ci sia dietro o come funzioni, ma so usarla e ne ho dato una prova».

È interessante anche la consapevolezza che Gliosca ha dei prestiti linguistici:

«Una volta andai a Pescara ad assistere ad un convegno sulle lingue zingariche. Ci venne consegnato un paper contenente una lista di parole in lingua. Ve ne trovai una che mi colpì particolarmente: maslina. Anche in na-našu abbiamo questa parola, e ha lo stesso significato: “ulivo”. Per me i prestiti non sono elementi estranei; la mia lingua ha molti elementi “rubati” dai dialetti molisani, a partire dall’onomastica. Considero questi fenomeni di contatto linguistico parimenti alla terra che gli stivali del contadino trattengono alla fine del giorno. Essa sostanzia e definisce l’attività stessa di chi lavora nei campi. Più o meno allo stesso modo, i prestiti linguistici danno forma alla nostra lingua»

In base alla ricerca condotta da Ethnologue, pubblicata nel 2013, lo slavo molisano comprenderebbe circa un migliaio di parlanti. Sono passati 5 anni da quell’indagine e le parole di Gliosca a riguardo mostrano ancora una volta l’impassibile consapevolezza alla quale ormai mi sto abituando: «Dagli anni ’80 i giovani non parlano più na-našu; e gli anziani stanno morendo».

Dopo diverse ore trascorse a parlare, gli stringo la mano, lo ringrazio per il tempo che mi ha dedicato e mi rimetto in viaggio per tornare a casa. Nel mentre ripenso ai croati molisani e mi convinco che forse è giusto così: non resta, dunque, che prendere atto di questa inevitabile fine. Come la terra trattenuta dagli stivali fungerà da garanzia dell’onesto lavoro del contadino, allo stesso modo Nicola Gliosca continuerà a lasciare tracce della lingua della sua gente. Egli continuerà a scrivere, per conservare un ricordo – talvolta amaro – della sua cultura, che trova la sua espressione in liriche come questa, intitolata Još na-našu (lett. “Ancora na-našu”), dove la lingua, seppure in forma scritta, continuerà a esistere per coloro che, per studio o piacere, si imbatteranno in essa:

Je proša vrima
do jene vote,
kada sa ustavahu
jistru rana
za pokj po gradu.
Di škrila tuna
sidahu one do
portuna velkoga.
Do Rišt ma pitaša:
«glava tvrda di maš po?»
«mam pokj sa šalit».
Sa nikor več
ta pita na-našu.
Ti gorivaju sama:
«dove vai?»
Mi greda gulija
za mučat,
za ne rispunit.

È passato il tempo
di una volta,
quando mi alzavo
la mattina presto
per andare in giro per il paese.
Alla škrila tuna
stavano seduti quelli
del portone grande.
Do Rišt mi chiedeva:
«testa dura dove devi andare?»
«devo andare a giocare».
Ora nessuno più
ti chiede in na-našu.
Ti dicono soltanto:
«dove vai?»
Mi viene voglia
di tacere,
di non rispondere.
(trad. di Nicola Gliosca)

Per saperne di più:

Oltre alle opere citate di Nicola Gliosca, è fondamentale la raccolta di testi condotta da Walter e Giovanni Piccoli in W. Breu; G. Piccoli, Südslavischen unter romanischen Dach. Teil I. Texte aus Acquaviva Collecroce, O. Sagner, München-Berlin 2011, corredata di traduzione italiana dei brani in croato molisano. Utile è anche il dizionario W. Breu; G. Piccoli, Dizionario croato molisano di Acquaviva Collecroce. Dizionario plurilingue della lingua slava della minoranza di provenienza dalmata di Acquaviva Collecroce in Provincia di Campobasso. Dizionario, registri, grammatica, testi, Provincia di Campobasso, Campobasso 2000. Si consiglia anche la lettura in traduzione italiana di M. Rešetar, Le colonie serbocroate nell’Italia Meridionale, Provincia di Campobasso, Campobasso 1997.

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