Da poco passato il sesto anniversario della sua prima messa in scena al Théâtre du Rond-Point di Parigi (autunno 2013), la Lehman Trilogy di Stefano Massini (1975-) continua ad essere rappresentata nei maggiori teatri europei ed internazionali con un numero sempre variabile di adattamenti, attori, cambi di scenografia. Nessun dubbio sul fatto che si sia trattato di un clamoroso successo drammaturgico e editoriale che ha portato Massini, vincitore del Premio Pier Vittorio Tondelli nel 2005 per L’odore assordante del bianco, all’apice della popolarità presso il grande pubblico. Nonostante questo, tutt’altro che ampia si rivela la bibliografia che riguarda questo testo.

La Lehman Trilogy è stata accolta tra le pubblicazioni Einaudi nel 2014 con una prefazione dell’importante regista Luca Ronconi (1933-2015), che la definiva come un’opera letteraria ibrida a metà tra la commedia, lo sceneggiato, la cronaca. In parole povere, un’«odissea romanzata» (p. v). Una materia che si presta a numerose sollecitazioni: in primo luogo, perché l’intreccio è scomponibile in molteplici sotto-tracce “componibili” letteralmente in vari modi durante la lettura − emblematica la seconda parte, in cui la storia sia personale sia lavorativa di Bobbie, l’ultimo Lehman, si unisce a quella dei successori esterni alla sua famiglia −; in secondo luogo, perché ciascuna di questa direttrici sono ancorate a una struttura immediata ma non banale, che permette la simultaneità di più vicende su piani temporali anche molto distanti tra loro.

In scena vanno ben quattro generazioni di una famiglia azkenazita emigrata in America a metà dell’Ottocento al comando della celebre società finanziaria Lehman Brothers, costretta a scontrarsi con l’integrazione sociale e che fa la sua fortuna sfruttando le opportunità insite in ciascuna di queste situazioni di disagio. La Lehman Brothers verrà abbattuta solo nel 2008 dalla crisi cosiddetta “globale”. La crisi che per anni è rimbalzata su tutte le TV mondiali. La crisi che si è abbattuta come una cappa di piombo sulle opportunità della cosiddetta «generazione z». I Lehman non erano certo una famiglia ordinaria: abituata a manovrare i tempi e i modi di ciascun crollo finanziario, affrontò così l’esito della propria parabola ascensionale.

Ma non è l’eco della crisi in sé a interessare a Massini: «Fare teatro documentario o civile non mi interessa», confessò in un’intervista rilasciata a Massimo Marino proprio del 2014,

«Se volete informazioni sul crollo della Lehman e sulla crisi del 2008, forse è meglio vedere un documentario. [La Lehman Trilogy] non è drammaturgia classica e non è neppure riducibile all’etichetta “teatro di narrazione”. Ti porta nei fatti».

Per quanto il contenuto della Lehman Trilogy non sia stato affatto una novità − basti pensare alla Compagnia degli uomini di Edward Bond, pure messa in scena da Luca Ronconi nel 2011 −, la forma in cui è scritta lo è sicuramente: Massini progetta una mise en page senza battute,  senza divisione in atti, ritmata da degli “a capo” che non simulano né vogliono simulare un andamento rimico, ma vogliono suggerire una sorta di prosimetro; vi si alternano i pensieri dei personaggi, i loro dialoghi, il contrappunto di un ignoto narratore onnisciente:

Stoffe e abiti Lehman Brothers / scritta gialla su fondo nero / incorniciata / intagliata nel legno da Henry e da Emanuel / In orario straordinario, di notte / tutti i giorni / una volta chiusa la porta del negozio / senza togliere tempo alla clientela / che sennò, vuoi vedere, non torna / come dice Henry / e / «La clientela, ricordatevi, è sacra / − Baruch HaShem! − / come le bestie di nostro padre!» / Anche su questo / Henry ha ragione. [I, 20-1]

Espediente formale correlato è l’uso di corsivi e grassetti, font diversi e addirittura diverse dimensioni della parola o frase interessata:

E su un muro di Brooklyn / campeggia da mesi / la scritta: / Jew York [II, 176]

GRAZIE, MISTER LEHMAN! / dice lo striscione fuori dalla finestra [III, 269]

Tuttavia, l’elemento che la critica giornalistica e teatrale tende a sottolineare è la lingua. Vale la pena soffermarsi su questo punto. Luca Ronconi parlava di “lingua” in questi termini:

«Centosessant’anni di storia del capitalismo vengono squadernati in continuo saltare tra terzietà saggistiche, flussi romanzeschi, narrazioni di incubi e vaneggiamenti, il tutto punteggiato da isole realistiche […]. Fin qui l’aspetto linguistico» (p. vi).

Il giornalista Sergio Lo Gatto parlava di una lingua modernissima che si adattava perfettamente − quasi un guanto di velluto − alla «epopea sussurrata» della famiglia. Facciamo qualche precisazione in merito, partendo da un assunto di fondo: la lingua della Lehman Trilogy costruisce il testo stesso della Lehman Trilogy.

A uno spoglio linguistico elementare, si noterà che il testo è scritto in italiano neo-standard, o, per intenderci, in un italiano caratterizzato dall’emersione di tratti della lingua parlata; dal punto di vista morfologico, vistoso è l’impiego del «che» polivalente (ben 122 occorrenze su 525 totali); ridotto, ma comunque significativo, l’uso di «che» introduttore invariabile di frase relativa (ad esempio: «La piccola stanza/ sul viale di Montgomery/ con la porta che s’inceppa la maniglia», I, 30); all’interno del sistema pronominale, si tende a usare la forma «gli» in funzione di oggetto indiretto («Basta presentarsi dai padroni del cotone/ e spiegargli che il gioco conviene anche a loro», I, 43) e la forma «te» in funzione di soggetto in luogo del «tu».

Dal punto di vista sintattico, si osservano ben 28 dislocazioni a sinistra (ad esempio: «Anche il Qaddish l’hanno recitato/ tutti i giorni/ mattina e sera», I, 38) e 26 a destra («Gli piace disegnare, a Robert», II, 170); 10 frasi scisse («Ora è lui a tenere a battesimo musei e gallerie», III, 231) e 5 pseudo-scisse («La verità è che tu ti ostini a voler contare/ gli zero virgola», II, 182).

Ma cosa s’intende per “costruzione del testo” tramite la lingua? Uno stratagemma che definiremmo formale-linguistico è l’uso della ripetizione di una parola o di più frasi per comunicarne il significante. Un esempio è il seguente:

Emanuel Lehman / che di anni ne ha sessanta / non sa se la sapienza abbia a che fare con i sogni / ma sta di fatto / che la notte sogna. / E sogna sempre la stessa cosa. / Inizia come un gioco. / C’è una stalla, col bestiame. / Perché siamo di certo laggiù in Germania / - a Rimpar, Baviera - / Due bambini, lui e Mayer. / Fanno il loro gioco preferito: / l’appoggia-moneta. / Semplicissimo. Basta mettere una moneta a terra. / E poi se ne appoggia sopra un’altra / poi un’altra - tocca a Emanuel - / poi un’altra - tocca a Mayer - / poi un’altra - tocca a Emanuel - / poi un’altra - tocca a Mayer - / poi un’altra - tocca a Emanuel - / poi un’altra - tocca a Mayer - / poi un’altra - tocca a Emanuel - / poi un’altra - tocca a Mayer - / e la colonna delle monete / in equilibrio / cresce / cresce / cresce / cresce / cresce / cresce [II, 110-2]

La colonna di monete che s’innalza sempre più alta è descritta dalla ripetizione della terza persona singolare, così come la ripetitività dell’azione dei due fratelli nel giocare è data due semplici frasi che non variano mai nel contenuto: è nella loro giustapposizione, che sta un “di più” di significato.

Abbiamo detto che la comunicazione è affidata principalmente all’italiano neo-standard. Questo però non significa che sia l’unica lingua impiegata. Inglese, spagnolo, francese, tedesco, ebraico, yiddish, arabo, greco moderno, ungherese, russo, cinese, giapponese, tagalog: tutte queste lingue hanno un posto ben preciso nella Lehman Trilogy, e puntano sul fatto che difficilmente una singola persona le possa padroneggiare tutte. Lo yiddish del “lessico familiare” dei Lehman appena sbarcati in America, l’ebraico dei riti e delle preghiere, l’inglese stentoreo che ancora non padroneggiano al loro arrivo; e ancora, il greco moderno e l’ungherese dei futuri padroni della società. L’effetto è straniante: una vera Babele linguistica si abbatte come un fulmine divino su Wall Street:

“Metti la valigia qui!” / “¿Aquì donde?” / “Über meine! S’il vous plaît”. / الحقيبة هنا ضع / هنا أين؟ / فضلك على حقيبتي من / “Pon la maleta aquì!” / “Por encima de mi!” / “ここに私のスーツケースを入れて” / “ここどこ” / “私のオーバー” / “Положи сумку сюда!” / “Сюда куда?” / “На мою!” / “把我的手提箱在__这__里” / “在__这__里呢” / “在我的

[«Metti la valigia qui!» / «Qui dove?» / «Sopra la mia, per favore»]

Straniante, ma voluto. Alla lettura, è solo un silenzio incuriosito, ma alla recitazione è un vero e proprio caos acustico, oltre che linguistico. Lo stile di quest’opera possiede dunque una fitta tramatura (tematica, strutturale, linguistica, formale), in cui ogni ingranaggio deve essere rodiato alla perfezione per innescare una narrazione efficace. In fondo, tutto il teatro è civile, e la Lehman Trilogy vi si allinea splendidamente senza obliterare la complessità delle cose: questi appunti ne hanno voluto dare conferma.

Per saperne di più:

Sul testo della Lehman Trilogy (Stefano Massini, Lehman Trilogy, Torino, Einaudi, 2014) si vedano i brevi articoli reperibili online di Massimo Marino, «Lehman Trilogy»: Conversazione con Stefano Massini, in «Doppiozero.it», 26 novembre 2014; Sergio Lo Gatto, La storia siamo noi. La drammaturgia di Stefano Massini, in «Teatro e Critica», 4 gennaio 2014; Anna Benedettini, Stefano Massini: «Io scrittore di teatro, felice di esserlo», in «La Repubblica», 21 gennaio 2015; Leonetta Bentivoglio, Stefano Massini: «Il teatro? È solo un gioco. Me l'ha insegnato Ronconi», in «La Repubblica», 4 agosto 2016; Sul teatro contemporaneo il più recente manuale è quello di Dario Tomasello, La drammaturgia italiana contemporanea. Da Pirandello al futuro, Roma, Carocci, 2016, pp. 185-208.

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