«Sull'acqua calma e nera, dove dormono le stelle, / come un gran giglio ondeggia la bianca Ofelia» recitava una celebre poesia di Arthur Rimbaud, nella quale il poeta narrava la storia della giovane eroina shakespeariana morta tragicamente per amore di Amleto. Nel 1870, quando Rimbaud scrisse la sua Ophélie, il fiume, il giglio e la veste bianca erano già elementi fondamentali dell'iconografia legata alla sventurata fanciulla, la cui storia aveva affascinato intere generazioni di pittori romantici pervasi da spirito – per dirla con le parole di John Ruskin – medievalista. Questi tre elementi, nel loro essere legati alla storia di Ofelia, evocano una precisa opera d'arte, e cioè l'Ophelia (1851 – 1852) dipinta da John Everett Millais, considerata l'opera più rappresentativa della Confraternita preraffaellita, di cui Millais fu uno dei fondatori.

La nascita della Pre-Raphaelite Brotherhood risale al 1848, quando sette giovani artisti decidono di sfidare le limitazioni creative della Royal Academy e di costituire un gruppo, un movimento, una confraternita – guardavano alle corporazioni medievali – che fosse capace di rilanciare l'arte inglese, a loro parere stagnante e obsoleta in quanto emulatrice dello stile di pittori che, come Joshua Reynolds, avevano troppo di accademico e poco di innovativo.

Del tutto singolare è il fatto che gli elementi per far la loro rivoluzione i Preraffaelliti li presero dal passato e in particolare dalla pittura medievale del Trecento e Quattrocento – prima di Raffaello, appunto - la quale ai loro occhi possedeva la purezza, la qualità cromatica e la concentrazione simbolica capaci di porre un freno alla deleteria avanzata moderna iniziata con Raffaello, avanzata che dalla sua Trasfigurazione (1516-1520) – quadro nefasto per i Preraffaelliti – aveva condotto poi al Barocco, al Rococò e infine all'arte loro contemporanea, giudicata dai membri della Brotherhood cupa e ripetitiva. In realtà non tutti i Preraffaelliti si schierarono nettamente contro l'arte moderna e alcuni, tra cui Dante Gabriel Rossetti, si ispirarono anche agli artisti italiani del Cinquecento. Nell'esaminare la vicenda della Confraternita bisogna dunque mettere in conto che le regole o i modelli che i sette membri fondatori si diedero non furono sempre così vincolanti per loro e non impedirono a ciascuno di essi di seguire un percorso individuale e di allontanarsi eventualmente dal gruppo costituito.

Sebbene i temi prediletti dai Preraffaelliti fossero per lo più tratti da opere medievali, gli artisti non si estraniarono mai dalla contemporaneità e spesso ne indagarono, invece, le istanze. Si veda ad esempio William Holman Hunt, pittore sia di Isabella and the pot of basil (1867), soggetto ispirato alla novella di Lisabetta da Messina di Boccaccio, che di The awakening conscience (1853), opera dal sapore moralista contro la prostituzione in linea con il puritanesimo vittoriano e con la rigida formazione religiosa del pittore.

Ciò che rende il movimento preraffaellita un vero spartiacque nella storia dell'arte inglese - e non solo inglese – è la capacità e l'intraprendenza mostrata dagli artisti nel guardare contemporaneamente al passato e al futuro, da un lato riproponendo temi e soggetti più o meno noti  della letteratura europea, dall'altro rielaborandoli in modo originale per permettergli di confluire nel contemporaneo, spesso rispecchiandone i modelli culturali e i meccanismi sociali.

Gli ideali a cui si votarono i fondatori della Confraternita, e in primo luogo Dante Gabriel Rossetti, William Holman Hunt e John Everett Millais, riguardavano la «fedeltà alla natura» e «l'onestà del dipingere», ritenute indispensabili per il loro cammino comune verso il rinnovamento dell'arte inglese.

Tali ideali – coltivati e difesi sotto l'egida dell'illustre critico d'arte John Ruskin - celavano sfumature varie e diversificate, e indicavano sia la resa minuziosa e realistica del dato fenomenico, sia la predilezione per temi moralmente "puri". Il concetto di purezza poteva inoltre essere inteso come fedeltà al tema o al modello (per lo più letterario) prescelto, e ciò indipendentemente dalle altre due interpretazioni sopra esposte. Ne consegue che la rappresentazione della natura non era sempre una pedissequa copia, ma poteva essere declinata secondo molteplici variazioni, in base alle particolari inclinazioni di ogni artista, sempre riscontrabili in modo manifesto, come in The finding of the Saviour in the Temple (1860) e Bocca Baciata (1859), opere rispettivamente realizzate da William Holman Hunt e da Dante Gabriel Rossetti. I due quadri, pur essendo entrambi "preraffaelliti", sono infatti molto diversi, in quanto nel primo è soprattutto l'elemento realistico ad essere accentuato e va, come spesso in Hunt, di pari passo con la ricostruzione storica, mentre in Rossetti è fortissimo l'elemento simbolico e, sebbene l'opera sia un ritratto - modella era stata Fanny Cornforth -, i tratti della donna vengono sfumati per accentuare tutta un'atmosfera pre-decadente ed eterea carica di suggestioni letterarie - "bocca baciata" è infatti incipit di una frase del Decamerone - che mescolano simboli medievali a dettagli puramente estetici.

È bene dunque tenere a mente le diverse variabili di rappresentazione dal momento che si mescolano ripetutamente nell'opera di quasi ogni artista preraffaellita e, nello specifico, si mescolano in un equilibrio raffinato e insieme tragico nella tela che ci accingiamo a esaminare, l'Ophelia.

Tre anni dopo la fondazione della Confraternita, John Everett Millais dipinge il suo quadro più famoso, quadro che insieme a Beata Beatrix di Rossetti è oggi protagonista indiscusso del revival preraffaellita in atto da alcuni anni a questa parte.

L'opera venne dipinta in due fasi diverse tra il 1851 e il 1852, anno in cui fu esposta alla Royal Academy. In un primo momento Millais dipinse l'ambientazione, studiando e dipingendo en plein air tutti gli elementi naturali che egli non avrebbe potuto riprodurre altrettanto accuratamente nel suo studio. Il paesaggio scelto da Millais era quello che circondava le rive del fiume Hogsmill, a Ewell, dove il pittore rimase per cinque mesi fino a quando non fu totalmente soddisfatto della resa della vegetazione, ed è appunto per la lunga permanenza di Millais nella contea del Surrey (dove Ewell si trovava) che si possono individuare tipologie di fiori e piante afferenti a diverse stagioni dell'anno.

La tela (incompleta nella parte centrale) fu dunque portata a Londra nell'appartamento del pittore al numero 7 di Gower Street, dove cominciò la seconda fase del processo creativo. L'allestimento dello studio prevedeva una vasca da bagno riscaldata da alcune candele per ricreare l'effetto dello specchio d'acqua in cui la fanciulla era annegata. Posò per Ophelia la modella Elizabeth Siddal, incontrastata musa preraffaellita e moglie di Dante Gabriel Rossetti, la quale proprio per la vicenda legata al quadro di Millais divenne conosciutissima nell'ambiente artistico vittoriano e,  in seguito, fu protagonista della cosiddetta "moda preraffaellita", ammirata anche da D'Annunzio. Ormai famosa è la storia che racconta di come, durante i mesi di lavoro per Millais, Lizzie – soprannome con cui Elizabeth divenne nota – rimase immobile nella sua posa anche in seguito allo spegnimento delle candele, condizione che nel suo reiterarsi portò la modella ad ammalarsi di bronchite, dalla quale guarì grazie alle cure pagate con il denaro che il pittore fu costretto a versare alla famiglia di lei come risarcimento.

Ophelia (dettaglio), 1851 – 1852; olio su tela, 76.2 x 111.8 cm Tate Britain, London

Il soggetto dal quadro, tratto dall'Amleto di Shakespeare, fa riferimento alla scena VII dell'atto IV, nella quale la regina Gertrude racconta dell'annegamento di Ofelia. La giovane, amante riamata da Amleto, comincia a perdere il senno quando lui, per dar seguito al suo piano di vendicare il proprio padre, finge di non amarla più e la respinge con crudeltà. Quando per un fraintendimento Amleto uccide Polonio, il padre di Ofelia, la giovane impazzisce e mentre presso il fiume vaga in preda alla follia raccogliendo fiori e appendendo ghirlande agli arbusti, cade nel torrente e viene trascinata a fondo dalle sue pesanti vesti fino ad annegare, il tutto mentre canta «spunti d'antiche canzoni».

Il tema della fanciulla che muore o si uccide per amore non ricambiato - tema anch'esso di ascendenza medievale - ebbe molta fortuna presso i preraffaelliti, che spesso illustrarono le tragiche vicende di giovani belle e sventurate come Ofelia o la Signora di Shalott, la cui storia, narrata in Thomas Malory e in altri testi medievali, venne ripresa nel 1833 da Tennyson, che ne fece un poemetto, e fu in seguito una costante fonte d'ispirazione per i preraffaelliti con validissimi risultati, come The Lady of Shalott (1888) e I Am Half-Sick of Shadows, Said the Lady of Shalott (1915) di John William Waterhouse, esponente dei preraffelliti di "seconda" generazione.

Ophelia si pone al crocevia tra molteplici tendenze e istanze "preraffaellite" e forse la sua capacità di tenere così bene insieme e di mitigare tutti gli aspetti di un movimento più complesso di quanto sembri sono il motivo del suo successo e del ruolo emblematico che le è stato attribuito nel rappresentare l'arte preraffaellita.

I due poli essenziali dell'opera, il realismo e il simbolismo, sono perfettamente integrati e vanno ben oltre un bisogno di ricostruzione storica, o meglio, letteraria. Nel quadro ogni elemento è rappresentato con rigore scientifico, ogni dettaglio è valorizzato in una ricerca di fedeltà alla natura che dialoga con la fotografia – della quale, peraltro, i Preraffelliti si servivano - ma che ancora non acconsente ad affidarvisi completamente, ed è per questo che, in Ophelia, Millais sente ancora il bisogno di lavorare en plein air per riprodurre al meglio la natura. L'artista terrà lo stesso modus operandi anche l'anno seguente, quando inizierà a lavorare al ritratto di John Ruskin, forse il più valido esempio dell'abilità di Millais di restituire fedelmente il dato naturale.

John Ruskin, 1853 – 1854; olio su tela, 78.7 x 68 cm Ashmolean Musem, Oxford

Durante i mesi di permanenza nel Surrey per dipingere il paesaggio di Ophelia, Millais studia non solo i ruscelli, le radure e la vegetazione in mutamento, ma anche la fauna che popola le verdi rive del fiume Hogsmill: ecco che spuntano un pettirosso e un topo d'acqua, dipinti con una precisione che rivela la volontà di stabilire uno stretto rapporto con la natura e con le sue creature. Anche Ofelia si inserisce nella scena come creatura, quasi fosse parte del paesaggio, o quasi il paesaggio perdesse il suo ruolo di "sfondo" per diventare protagonista dell'opera insieme alla fanciulla. La presenza e la vicenda di lei svelano e motivano i simboli disseminati nell'opera, tanto più che Ofelia stessa è insieme natura, creatura realisticamente raffigurata e simbolo.

Ophelia (dettaglio rose), 1851 – 1852; olio su tela, 76.2 x 111.8 cm Tate Britain, London Ophelia (dettaglio margherite), 1851 – 1852; olio su tela, 76.2 x 111.8 cm Tate Britain, London

Ophelia (dettaglio viola del pensiero), 1851 – 1852; olio su tela, 76.2 x 111.8 cm Tate Britain, London

Volendo esaminare più accuratamente le corrispondenze tra dato naturale-realistico e simbolismo, si vedano le varietà di fiori scelte da Millais e il valore da loro assunto. Innanzitutto le rose:  vicinissime alle guance della ragazza, esse sono simbolo di amore, giovinezza e bellezza e ricordano l'atto IV scena V dell'Amleto, in cui Laerte, fratello di Ofelia, la chiama «rosa di maggio». I fiori bianchi nella parte inferiore del dipinto, identificati come ranuncoli, simboleggiano l'ingratitudine e la superficialità che potrebbero essere attribuite ad Amleto per il proprio rifiuto di condividere con l'amata i dettagli del suo piano di vendetta, mentre il salice piangente, di cui un ramo si tende verso il capo di Ofelia, rappresenta l'amore non ricambiato. Accanto al salice crescono, inoltre, delle forme di ortica simbolo di dolore così come l'adonide, pianta simile al papavero, e la fritillaria.

Molti sono i fiori che circondano la veste della fanciulla e che come lei vengono trascinati dalla corrente, sfuggendole dalle mani: tra questi le margherite, simbolo di innocenza e fiore già citato dalla stessa Ofelia in Amleto, atto IV scena V, dove la giovane enumera diversi fiori da lei raccolti, spesso spiegando il loro valore nascosto, come per le viole dette "del pensiero", non a caso simbolo di riflessione. Le viole, e più precisamente le violette, ritornano nella ghirlanda che cinge il collo di Ofelia e, se da un lato alludono a fedeltà e castità, dall'altro fanno riferimento alla prematura morte della fanciulla, legandosi alla simbologia del papavero e dell'olmaria, che indica la futilità della morte. Si vedano infine i nontiscordardimé in basso a sinistra, i quali racchiudono il loro valore simbolico nel nome stesso.

Alla luce di Ophelia – ma non solo di tale opera, come si è visto - si rivela quanto mai corretta l'affermazione di Maria Teresa Benedetti, la quale nel suo celebre saggio Preraffaelliti afferma che «Il mondo preraffaellita è mondo nutrito di matrici poetiche», non solo medievali ma anche contemporanee, tanto che gli artisti del movimento sono in grado di spaziare da DanteChaucer e Shakespeare a Tennyson, Swinburne e Browning.

Offrendo un ultimo sguardo a Ophelia si potrà dunque notare quanto il testo di riferimento sia stato importante per la creazione dell'opera e per la scelta degli elementi da disporre entro lo spazio pittorico, ma ciò non sarebbe bastato a conferire la sua forza e la sua drammaticità alla tela se Millais non avesse posto tanta dedizione nella rappresentazione realistica della natura, operando una sintesi volta da un lato a vivificare il soggetto letterario e a calarlo in uno scenario realmente esistente, dall'altro a circondare l'opera di mistero e fascino enigmatico disseminando simboli e corrispondenze.

Per saperne di più:

Robert de la Sizeranne, Pre-Raphaelites, New York, Parkstone International, 2014;

Maria Teresa Benedetti, Preraffaelliti, Roma, De Luca Editori d'Arte, 2012;

Heather Birchall, I preraffaelliti, a cura di Norbert Wolf, Köln, Taschen, 2010

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