Nella parte settentrionale del Caucaso si trova un focolaio di etnie e di popoli, ognuno di loro con una propria complicatissima lingua. Una di queste etnie, di cui parleremo in questo articolo, è quella degli adighè. Gli adighè (o circassi), sono una popolazione indigena che ha abitato per migliaia di anni il Caucaso nord-occidentale. Quello di adighè è invero un iperonimo che comprende numerose popolazioni e tribù, dunque diverse varianti linguistiche (un resoconto completo della preistoria del popolo circasso fino al sedicesimo secolo può essere consultato, dal lettore che conosce il russo, in Руслан Ж. Бетрозов, Этническая история адыгов: С древнейших времен до XVI в., Нальчик, 1996). Al giorno d’oggi, la maggior parte dei circassi vive in una diaspora mondiale, conseguenza dell’esportazione russa iniziata dopo la prima metà del diciannovesimo secolo. A seguito della conquista del Caucaso settentrionale, infatti, la Russa Zarista deportò gran parte delle popolazioni autoctone, tra cui circassi, abcasi e ubykh. Attualmente, la presenza degli adighè nel mondo conta questi numeri (contenuti in Amjad Jaimoukha, The Circassians: A Handbook, New York, 2001): 1.100.000 in Turchia, 40.000 in Giordania, 30.000 in Siria, 2.000 in Israele. In Russia, nelle repubbliche autonome di Adygeja, Kabardino-Balkarija e Karačaevo-Čerkesija, si contano circa 560.000 parlanti adighè. L’emigrazione forzata, scoppiata di colpo al termine della sanguinosa guerra con l’impero zarista nel 1864, durò a lungo e costrinse oltre due milioni di circassi ad abbandonare la propria terra. Ežen Pitar (in Narodi koje su Turci doveli na Balkan, Београд, 1936) descrisse quella circassa come «una delle più tristi e violente emigrazioni mai registrate». La popolazione caucasica, costretta ad abbandonare le rive della Circassia in cerca di ausilio presso l’impero ottomano, iniziò subito a decimarsi e a disperdersi:

«Ebbero problemi ad adattarsi al nuovo ambiente che, unendosi alle precarie condizioni affrontate dai rifugiati, li avrebbe condizionati negativamente. L’eccessiva sofferenza avrebbe poi portato alcuni di loro alla morte, e i porti turchi conservano ancora oggi molti cimiteri circassi»
(Danko Taboroši, Circassians in Serbia and the Balkans from Mass Immigration to Last Remaining Community, Београд, 2011)

Il già citato Pitar sostiene che circa 30.000 circassi morirono durante la traversata del Ponto Eusino e Biljana Sikimić (in Metafora praznog prostora. Čerkezi na Kosovu, in “Slavia Meridionalis”, 5) riporta che molti adighè furono colpiti da un’epidemia che i serbi chiamarono Čerkeska bolest, ossia morbo circasso. Alcuni fortunati riuscirono a rimanere in Circassia, ma vennero confinati dai russi in delle riserve che sarebbero poi divenute alcune delle attuali repubbliche autonome del Caucaso settentrionale.

Le sofferenze dei deportati, tuttavia, non si conclusero con l’arrivo nella penisola anatolica, poiché anche lì furono oggetto di numerose discriminazioni. Finanche nel 1934 il governo turco, impegnato nella stesura di dettagliati registri anagrafici, impedì ai circassi di utilizzare i loro cognomi, costringendoli ad adattare i propri suoni alla fonologia turca o a tradurli dall’adighè, mentre altre famiglie cambiarono completamente il cognome per mistificare le proprie origini caucasiche. Fu fatta pressione affinché abbandonassero, peraltro, la loro lingua madre. Vi furono campagne dagli slogan “Parlate in turco!”, e nei villaggi a maggioranza circassa vennero affissi dei cartelli con scritto “Parlare circasso è proibito!”. Ai nuovi nati fu impedito di utilizzare nomi di etimologia circassa, e le denominazioni dei villaggi che presentavano elementi caucasici furono modificate o riadattate alla lingua turca. Ad ogni modo, molti dei circassi in Turchia, e le minoranze in Siria e in Giordania, ricoprono oggi un certo status sociale; in particolar modo, diversi adighè sono in buoni rapporti con la famiglia reale giordana, e alcuni sono addirittura entrati nella Guardia Reale hashemita (cfr. Taboroši 2011). È questa, tuttavia, una conquista che i circassi hanno pagato a caro prezzo; Walter Richmond, che ha studiato nel dettaglio la questione del genocidio adighè, riporta:

«Circa il 95% o il 97% dei circassi furono o uccisi, o morirono durante la deportazione, o furono deportati con successo. La restante parte venne ufficiosamente piazzata in una categoria di individui che non erano né cittadini comuni, né liberi membri di tribù indigene»
(Walter Richmond, The Circassian Genocide, New Jersey-London, 2013)

E con spiacevoli modi di dire ancora oggi si ricorda la strage circassa in Turchia: «Lì, dove i circassi si insediavano, i cimiteri crescevano più velocemente degli alberi» (Suleiman Pazif, in W. Richmond 2013). Nel 1876, circa 600.000 adighè raggiunsero i Balcani, stabilendosi nell’attuale Macedonia del Nord, nel Cossovo e nella parte meridionale della Serbia. Secondo le testimonianze, i circassi nei Balcani non ebbero buona reputazione: terrorizzavano la popolazione locale, derubavano i villaggi adiacenti e compievano assassinii e atrocità di ogni tipo. Riuscirono in poco tempo a plasmare un pregiudizio duro a morire nei loro confronti:

«I circassi hanno una reputazione così sporca, che prendere le loro difese risulta essere un compito spiacevole, anche per un turco»
(Lawrence Oliphant, The Land of Gilead, Edinburgh, 1880)

Tuttavia, sostiene in loro difesa Taboroši, quello circasso fu più che altro il risultato del risentimento nei confronti di popolazioni come i macedoni, i bulgari o i serbi, dunque slavi, che ricordavano loro costantemente i soprusi e le torture subite in Circassia dai russi: «“Non abbiamo mai visto i russi”, dicono, “che con armi in mano”» (in Édouard T. de Marigny, in W. Richmond 2013). Inoltre, continua Taboroši, «la brutalità dei Circassi nei Balcani è stata certamente molto minore di quella da loro subita da parte degli invasori russi che li hanno privati della loro terra» (Paul H. Henze, in Circassian Resistence to Russia, London, 1992, descrive nel dettaglio le atrocità commesse dalle truppe imperiali russe contro le popolazioni indigene del Caucaso). Nell’immaginario delle popolazioni interne ai Balcani, i circassi sono ancora oggi ricordati come crudeli, sporchi, spaventosi e malvagi.

Nel 1902, Branislav Nušić (in Kosovo, opis zemlje i naroda, Novi Sad, 1902) stimava che delle 6000 famiglie adighè stanziatesi nel Cossovo non ne rimanevano più di 400. Questo calo demografico fu dovuto allo scoppio della guerra russo-turca del 1877. Circa 100.000 circassi scapparono attraverso la Bulgaria e la maggior parte delle quasi 12.000 persone che si erano stanziate in Serbia riuscì a raggiungere l’Asia Minore. Nel 1929, all’interno del Cossovo rimanevano circa 250 adighè e i villaggi costruiti (Velika Reka, Malo Ribare e Požaranje) risultavano disabitati. Biljana Sikimić (in Etnolingvistička istra__ž__ivanja skrivenih manjina – mogućnosti i ograničenja: Čerkezi na Kosovu, Београд, 2004) offre un sommario dettagliato di tutti i luoghi, borghi e villaggi, anche disabitati, dove un tempo vivevano i circassi del Cossovo.

Nel periodo tra le due Grandi Guerre e durante gli anni ’60, vi furono nuove ondate di circassi nei Balcani, provenienti dall’Asia Centrale. Negli anni ’80 fu notata una discreta presenza circassa in due villaggi a nord-est di Priština (Donje Stanovce e Miloševo). L’insediamento adighè di Donje Stanovce fu abbandonato nel luglio del 1998, in seguito ai primi conflitti nel Cossovo. Queste famiglie (in totale 76 persone, secondo quanto riportato dalla BBC), attraverso la mediazione dell’International Circassian Association e del governo dell’Adighezia, furono rimpatriate nella loro terra d’origine, ponendo fine ad un esilio che durava da quasi 150 anni. Furono ospitati in un nuovo villaggio, costruito apposta per il loro arrivo, lasciandosi indietro Donje Stanovce, che intanto venne occupato dagli albanesi. Gli abitanti di Miloševo invece (circa un centinaio), decisero di rimanere nei Balcani, fuggendo temporaneamente in Macedonia durante l’intervento della NATO nel 1999. Terminati i bombardamenti, fecero ritorno nel villaggio di Miloševo, dove ancora oggi vivono rappresentando l’ultima minoranza circassa nei Balcani.

Nel 2005 vi furono forti disordini nel Caucaso settentrionale, a seguito della dichiarazione del Cremlino di attuare un progetto per revocare l’autonomia dell’Adighezia e fonderla al kraj circostante. Un gruppo di attivisti circassi si mobilitò chiedendo il ritorno di tutti gli adighè della diaspora nel Caucaso, nonché la rifondazione della Circassia storica. La situazione non si calmò di certo quando, nel 2007, il presidente Putin, presentando la candidatura di Soči, situata nel kraj di Krasnodar’, per i XXII Giochi Olimpici Invernali, citò «numerose nazioni e culture che avevano plasmato la costa caucasica del Mar Nero sin dall’antichità classica, ma non i circassi. La prima volta che accennò agli abitanti originari della regione fu poco dopo l’apertura, solo per lamentarsi che le forze ostili alla Russia stavano sfruttando la “carta circassa”» (U. Halbach, Il genocidio dei circassi, Milano, 2015). Per un caso beffardo, il 2014, anno in cui quelle Olimpiadi si tennero, fu anche il 150° anniversario dell’espulsione dei circassi dalla loro terra.

D’altro canto, la popolazione adighè di Miloševo ha di recente accolto cinquanta nuovi circassi, vecchi abitanti di Donje Stanovce, incapaci di adattarsi allo stile di vita “russo” dell’Adighezia, riconoscendo il Cossovo come un nuovo luogo a cui appartenere, a discapito dell’antica Circassia. Attualmente, molti bambini che nascono da questa minoranza nei Balcani acquisiscono una buona padronanza di serbo e di albanese, ma non sono più in grado di parlare bene la loro antica lingua. Ancora una volta, nella tragica storia delle loro persecuzioni, i circassi stanno lottando per adattarsi in un ambiente che gli è ostile.

Per saperne di più

Gran parte della monografia sul tema è in lingua russa, turca o serbocroata. Testi utili in inglese e in tedesco sono A. Jaimoukha, The Circassians: A Handbook, New York, 2001; D. Shenfield, The Circassians: A Forgotten Genocide?, New York, 1999; B. Özbek, Erzahlüngen der letzen Tscherkessen auf dem Amselfeld, in “Ethnographie der Tscherkessen”, 4; W. Richmond, The Circassian Genocide, New Jersey-London, 2013.

In lingua italiana consigliamo F.L. Grassi, Una nuova patria. L’esodo dei Circassi verso l’Impero Ottomano, Edizioni ISIS, Istanbul.

L'immagine è una riproduzione bidimensionale di pubblico dominio dell'opera "The abandonment of the village by the mountaineers as the Russian troops approached" di Pyotr Nikolayevich Gruzinsky, resa disponibile da Dmitry Rozhkov su Wikimedia Commons.

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