Un'utopia neoplatonica

Vi sono molte espressioni, nel nostro parlato quotidiano, inerenti alla memoria e alla sua visibilità: quando si vuole, ad esempio, spingere qualcuno a ricordarsi qualcosa lo si esorta a imprimerselo bene in mente, quando dobbiamo ricordarci i molteplici contenuti di un manuale scolastico ci consigliano sempre di costruirci degli schemi mentali, quando rievochiamo costantemente un evento del nostro vissuto e lo facciamo oggetto di molteplici e disparate interpretazioni ci accusano di farci dei film mentali. Tutte queste espressioni fanno riferimento ad una sorta di materialità, ma soprattutto di visibilità del contenuto mnemonico. Quando vogliamo ritrovare una determinata esperienza è come se dovessimo ripercorrere a ritroso una catena di immagini, una precisa sequenza di ricordi, per isolare il fotogramma che andiamo ricercando, come se la nostra memoria fosse il nastro di una cinepresa. Questo modello concettuale mnemonico-visivo, nonostante l’apparente attualità e superficialità, fa riferimento a un depositato culturale che oggi è praticamente estinto, ma che fino a pochi secoli fa toccava buona parte degli aspetti della vita quotidiana; mi riferisco alla tradizione millenaria dell’arte della memoria. Molte delle metafore sulla memoria che siamo abituati a usare oggi, anche con una certa leggerezza, affondano, infatti, le proprie radici in epoche in cui la capacità mnemonica era di primaria importanza, vista anche la scarsità di supporti tecnologici, a cui oggi siamo abituati, i quali si fanno carico, al nostro posto, di molti compiti di memorizzazione. In una ristrettissima cerchia rinascimentale, essenzialmente di matrice neoplatonica ed ermetico-cabalistica, l’arte della memoria assurse inoltre ad onori ben maggiori di quelli che gli si riconoscono attualmente come mero sapere empirico e utile solo a memorizzare conoscenze inerenti ai più diversi ambiti. Uno dei più celebri esempi di questo utilizzo, quasi iniziatico, della memoria, è l’opera del retore e filosofo Giulio Camillo, detto Delminio (1480-1544), che avvicinò la memoria, come noi abbiamo fatto prima, ad una diffusa esperienza visiva, ovviamente non all’esperienza cinematografica ma, mutatis mutandis, a quella teatrale; suo progetto era quello di erigere un vero e proprio teatro della memoria.

Per capire la portata del progetto e il suo livello di innovazione dobbiamo però fare, in via preliminare, un passo indietro: lasciamo momentaneamente da parte le sontuose corti rinascimentali per rivolgerci ad un ricco banchetto della Grecia preclassica. Come era comune all’epoca, questi simposi erano accompagnati da composizioni di poeti professionisti e fra queste aveva grande importanza quella dedicata ad esaltare il padrone di casa che aveva generosamente offerto la festa. Il nostro ospite, senza badare a spese, aveva ingaggiato, per tessere le sue lodi, un poeta di immensa fama: Simonide di Ceo. Il fato avverso, però, forse proprio per punire il padrone di casa che non aveva voluto pagare a Simonide il prezzo pattuito per i suoi servigi, non risparmia il nostro banchetto: la casa crolla su se stessa uccidendo tutti i convitati, tranne il divino Simonide che, nel momento del crollo, si trovava fuori dal palazzo. In quanto unico superstite, egli fu richiamato dai parenti disperati degli invitati a riconoscere i corpi dei loro cari sfigurati dalle macerie. Il poeta allora riuscì a risalire all’identità di ogni cadavere semplicemente ricordando la disposizione al banchetto degli sventurati ospiti. Fu allora che venne inventata la cosiddetta arte della memoria.

In questo racconto leggendario emergono tutti gli elementi costitutivi di quest’arte, così come ci vengono tramandati dalle fonti latine (le uniche testimonianze giunteci sull’arte della memoria presso l’antichità): le immagini, i luoghi e l’ordine. La teoria tradizionale prevede infatti che, per ricordare delle informazioni, sia necessario assimilarle ad immagini, spesso figure umane intente a svolgere determinate azioni. Queste andranno poi collocate in specifici luoghi i quali dovranno seguire un ordine determinato, in modo tale da poter ripercorrere mentalmente le nostre informazioni secondo la loro esatta successione.

Per usare un esempio pseudo-ciceroniano tratto dalla Retorica ad Erennio (l’arte della memoria presso i latini era infatti coltivata dai retori che non a caso avevano grande necessità di memorizzare le proprie orazioni) potremmo fingerci oratori che, presso un tribunale, devono accusare un imputato, reo di aver ucciso un proprio parente per impadronirsi dell’eredità, ma tradito dalla presenza di alcuni testimoni. Per ricordare questo è necessario visualizzare la figura dell’accusato, presso il letto di un uomo defunto (il parente ucciso), recante in una mano una coppa di veleno (emblema dell’omicidio), nell’altra delle tavolette (rappresentanti il testamento) e dei testicoli di ariete (per affinità verbale, testiculus, richiama la presenza dei testimoni, testes). Questa è la nostra immagine agente: si è infatti propensi a ricordare più facilmente immagini in movimento. Questa potrebbe essere la prima parte del processo, in seguito alla quale noi, oratori dell’accusa, potremmo voler discutere riguardo alle prove che adduciamo, a loro volta esemplificate in immagini agenti. È dunque importante che tutte queste immagini siano collocate in luoghi separati fra di loro e dotate di un ordine tale da non confondere quanto bisogna dire prima e quanto dopo. Per rimanere sulla scia dell’esempio di sopra potremmo collocare l’immagine dell’omicida entro una stanza, la prima di un lungo corridoio, e le altre immagini della nostra orazione nelle stanze successive, rispettando il susseguirsi di informazioni così come vengono affrontate nel discorso. In questo modo, l’arte della memoria sfrutta la naturale propensione della mente umana verso il ricordo di immagini, edificando vere e proprie architetture mentali. Nel Medioevo troverà largo impiego presso i predicatori, ma sarà soprattutto il Rinascimento, nelle sue derive ermetiche e neoplatoniche, a conferirle nuove funzioni, sebbene presso il largo pubblico rimarrà essenzialmente una pratica empirica per gli oratori e gli studiosi.

Torniamo quindi presso le nostre città rinascimentali, in particolare quelle venete; lì girovagava, fra Padova e Venezia, un personaggio assai singolare, additato dai più come genio, ma anche folle, divino e ciarlatano, come asceta e, infine, puttaniere. Il nostro uomo è il già citato Giulio Camillo, oggi nome ignoto, ma all’epoca uno degli uomini più famosi del secolo; amico di Ariosto e Tiziano, acerrimo rivale di Erasmo da Rotterdam; perfino Calvino si scomodò per tenere d’occhio la sua sospetta sosta in Svizzera. L’opera di questo singolare umanista, retore di professione ma filosofo per elezione, è tutta incentrata su un unico immenso progetto, quello del Teatro della memoria. Il corpus dei suoi scritti maggiori può essere visto come un insieme di progettazioni, appendici, apologie, approfondimenti e chiarimenti sul Teatro. Egli purtroppo rifiutò fino all’ultimo momento di mettere per iscritto una trattazione monografica su questo progetto; arrivato in fin di vita decise di dettarne, a un amico fidato, un abbozzo estremamente schematico e laconico, intitolato Idea del theatro. Chiunque oggi voglia tentare di capire la portata del Teatro non può non partire da quest’opera, che ne fornisce la chiave interpretativa principale. Tuttavia, essendo estremamente povera di approfondimenti e chiarimenti esaustivi, è necessario tenere costantemente sotto osservazione anche le altre opere dell’autore, che spesso ci vengono in soccorso.

Una delle prime grandi distanze, che separa Camillo dall’arte della memoria tradizionale, è il fatto che egli volesse portare l’architettura mentale fuori dalla sua testa per darle materia: questo Teatro era stato pensato per essere costruito davvero. Per quanto ne sappiamo, Camillo era riuscito ad ammaliare diversi finanziatori importanti, fra cui il re di Francia, ed era riuscito addirittura a farne costruire una versione in piccolo che poteva contenere fino a due persone insieme. Oggi purtroppo giace sepolta dalle intemperie del tempo e degli uomini; fu infatti impietosamente abbattuta. Per noi rimane comunque davvero suggestivo pensare come, all’epoca, pochi eletti abbiano davvero potuto varcare le soglie di quel luogo e proprio da una di queste visite eccezionali ebbe occasione una preziosa testimonianza sull’effettiva esistenza fisica di questo luogo. Camillo mostrò il suo prototipo proprio ad un fidato amico del suo rivale Erasmo, Viglio van Aytta. Così egli descrive il suo tour proprio a Erasmo:

«L’opera è in legno, segnata con molte immagini e gremita, in ogni parte, di piccole cassette; e vi sono diversi ordini e gradi. […] Egli [Camillo] chiama questo suo teatro con molti nomi, dicendo ora che è una mente e un’anima artificiale, ora che è un’anima provvista di finestre. Pretende che tutte le cose che la mente umana può concepire e che non si possono veder con l’occhio corporeo possano tuttavia […] essere espresse mediante certi simboli corporei in modo tale che l’osservatore può, all’istante, percepire con l’occhio tutto ciò che altrimenti è celato nelle profondità della mente umana. E appunto a causa di questa percezione corporea lo chiama un teatro».

Tentare di visualizzare quanto ci dice Viglio potrebbe risultare piuttosto complicato ma in nostro soccorso viene questa utile animazione.

Già da questa scarna descrizione possiamo farci un’idea delle molteplici implicazioni del Teatro. Esso porta nel mondo materiale l’architettura mentale nascosta della memoria con tutto il suo apparato di immagini, poste nei luoghi destinati agli spettatori, secondo l’ordine delle gradinate teatrali. Camillo non fu certo modesto; concepì questo Teatro non come semplice dispositivo mnemonico, ma come vero e proprio ricettacolo di tutto il sapere umano. Ciò che pone definitivamente il progetto al di là dell’arte della memoria tradizionale è proprio la volontà che c’è dietro: il Delminio non voleva semplicemente dare ai suoi discepoli un metodo per memorizzare le varie conoscenze che essi incontravano nelle loro attività quotidiane. La sua intenzione era quella di edificare un sistema mnemonico che ricalcasse perfettamente il funzionamento della mente umana, in cui racchiudere tutto il sapere dell’uomo, da lui selezionato e organizzato. Più che un metodo mnemotecnico, ricorda una vera e propria enciclopedia.

Senza addentrarci nelle complesse istruzioni che guidano l’utilizzo del Teatro, basti sapere che esso si basa su un sistema di quarantanove luoghi. Vi sono infatti sette ordini o gradi (sistema orizzontale) che si intersecano con sette corridoi (sistema verticale). In ogni luogo, vi è una porta su cui sono impresse diverse immagini, dietro le quali sono contenuti degli scritti ad esse relazionati. Facciamo un esempio: prendiamo il luogo posto nell’ultimo grado (il settimo) del corridoio centrale. Nei luoghi del settimo grado vi sono gli scritti dedicati a tutte le attività umane, in particolare nel settimo grado del corridoio, dedicato al Sole, vi sono le attività umane che rispecchiano l’influsso astrale del suddetto pianeta. Fra le immagini che dunque decorano questo luogo non può mancare la poesia, la più nobile delle attività umane ispirate dal più nobile degli influssi astrali; essa sarà infatti indicata da un’immagine, quasi topica, di Apollo fra le muse. Ovviamente delle incantevoli immagini non ci si sono rimaste che le descrizioni fatte da Camillo.

Ma quali scritti sono conservati dietro le innumerevoli immagini dei quarantanove luoghi? Ovviamente scritti di Cicerone! Camillo, grande classicista, spende moltissime delle sue energie per selezionare i passi più importanti delle opere ciceroniane e di pochi altri eletti autori che, divise per argomento secondo il sistema classificatorio del teatro, possono essere facilmente consultate, così archiviate, da chi si prende la briga di imparare il funzionamento della grande macchina mnemonica.

Come detto prima, però, non si deve assolutamente pensare che questo dispositivo si limitasse ad essere una raccolta di passi letterari retoricamente efficaci ad uso degli oratori, che potevano usarli per le proprie orazioni. Come si può facilmente evincere da alcuni passi dell’Idea del Theatro e soprattutto grazie a un altro scritto, il De transmutatione, chi compie il suo percorso all’interno di questa architettura si forma non solo da un punto di vista elocutorio ma anche da un punto di vista specificamente iniziatico. Il sistema del Teatro, infatti, rispecchia sia il funzionamento della mente umana, sia l’ordine del cosmo secondo la visione neoplatonica. Si passa non a caso dal grado più alto, in cui tradizionalmente risiedevano gli spettatori meno nobili, fino a quello più in basso e più vicino al palco, in cui trovavano posto gli spettatori di rilievo. Analogamente, l’uomo può risalire dal mondo materiale, rappresentato appunto dal grado più alto e meno nobile (quello delle attività umane), fino ad arrivare ai gradi ontologicamente più alti della realtà, fino alla mente di Dio. L’uomo che si libera della prigione corporea, trasfigurandosi in puro spirito, esemplifica il processo alchemico tramite cui la materia vile si spoglia delle scorie basse e ignobili, trasfigurandosi in metallo prezioso. Analogo è anche il processo retorico, tramite il quale la parola umana si libera dai vincoli del limitato, facendosi parola divina e universale.

La memoria, intesa come deposito di tutte le verità, si unisce così all’elevazione mistica della tradizione neoplatonica tramite un singolare percorso iniziatico, nel quale l’eloquenza, con tutta la dimensione di sacralità che investe il linguaggio umano, si sposa alla dimensione visiva. Ricordo e conoscenza, immagine e parola, vista e udito, vanno così perdendo le loro differenze specifiche in un indissolubile connubio, presso una civiltà, quella del Rinascimento, in cui conservare la memoria del passato significa edificare il presente.

Per saperne di più:

Per approfondire le implicazioni legate al Teatro il rimando è all’edizione più recente dell’opera, curata da Lina Bolzoni, G. Camillo, L’idea del theatro (1550), in L’idea del theatro, con «L’idea dell’eloquenza», il «De transmutatione» e altri testi inediti, Adelphi, Milano 2015. Chiara e maneggevole, sia per quanto riguarda Camillo, sia per quanto riguarda la storia dell’arte della memoria, è inoltre la monografia di F. Yates, L’arte della memoria, Einaudi, Torino 2007, sebbene superata per quanto riguarda i capitoli su Giordano Bruno.

Immagine di Caba2011. Pubblicata su wikimedia con licenza CC BY-SA 4.0

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