di Alessia Vitalone

Un recente documento della Commissione teologica internazionale è stato dedicato al controverso e delicato tema della sorte dei bambini che muoiono senza battesimo.

Al fine di comprendere meglio il contenuto e la portata di questo documento si ritiene opportuno dedicare alcune preliminari osservazioni alla struttura fondamentale della Curia romana, di cui la Commissione fa parte; in quanto, sebbene tutta la organizzazione di vertice del governo della Chiesa universale sia devoluta, per mandato divino, a soggetti investiti del sacramento dell’ordine (per altro nel suo massimo grado, quello dell’episcopato),  altrettanto si può notare che, molto spesso, la Santa Sede si avvale, nei propri compiti principali di governo della Chiesa universale, anche dell’ausilio di semplici fedeli laici, non solo uomini, ma anche donne, oppure di persone consacrate.

La Commissione teologica internazionale è un organismo che fa parte della Santa Sede, (che in senso lato indica l’insieme delle strutture di vertice poste a governo della Chiesa cattolica, comprensivo tanto del Pontefice, quanto di tutti i dicasteri che sotto la sua direzione collaborano per il governo della Chiesa universale), creato da Paolo VI nel 1969, con lo scopo di coadiuvare la Santa Sede stessa, ed in particolare la Congregazione per la dottrina della fede, nell’esaminare le questioni di maggior importanza inerenti la dottrina cattolica.

Quello che si può notare, relativamente alla struttura della Commissione teologica internazionale rispetto a quella della Congregazione per la dottrina della fede è che la prima, pur essendo un organismo alle strette dipendenze della seconda, non richiede necessariamente che i suoi membri siano ordinati in sacris, difatti, risulta composta di teologi di diverse scuole e nazioni, da studiosi delle scienze teologiche che siano eminenti per scienza, prudenza e fedeltà verso il magistero della Chiesa, tutti nominati dal Pontefice per un quinquennio, su proposta del cardinale prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, dopo aver ascoltato le Conferenze episcopali nazionali, con nomina per altro rinnovabile allo scadere del mandato.

Di rilievo, per gli aspetti che qui stiamo esaminando, è la previsione, contenuta nel Motu Proprio Tredecim anni, di Giovanni Paolo II del 6 agosto 1982, atto normativo, con il quale sono stati approvati in via definitiva gli statuti della Commissione, per la quale ai fini del corretto esame delle questioni che le vengono sottoposte, la stessa può valersi anche della consultazione di esperti non cattolici.

Invece, la Congregazione per la dottrina della fede, secondo la legge che costituisce ad oggi l’ultima grande riforma della Curia romana, la Costituzione apostolica Pastor bonus, promulgata da Giovanni Paolo II il 28 giugno 1988,è un dicastero che, secondo quanto dispone l’art. 3 § 1, è composto da un cardinale prefetto (o arcivescovo presidente), più un determinato numero di altri cardinali e vescovi, coadiuvati da un segretario ed assistiti da consultori, officiali maggiori ed altri officiali.

Essa poi, ha come compito peculiare di promuovere e di tutelare la dottrina della fede e i costumi in tutto l'orbe cattolico: è pertanto di sua competenza tutto ciò che in qualunque modo tocca tale materia, per altro, la Congregazione ha la caratteristica di occuparsi della promozione e tutela della retta dottrina sulla fede ed i costumi, tanto sul piano dottrinale, quanto su quello sacramentale e quello disciplinare.

In ragione dei diversi campi nei quali svolge la propria azione la Congregazione per la dottrina della fede può vedere, in parte, mutate la propria organizzazione e modalità di funzionamento, potendo assumere, per quanto riguarda il settore disciplinare anche la veste di tribunale, tuttavia, per quanto riguarda gli organi deliberativi e decisionali questi sono sempre costituiti da fedeli investiti dell’ordine sacro.

Circa i peculiari rapporti fra Congregazione per la dottrina della fede e Commissione teologica internazionale si può notare che il cardinale prefetto posto a capo della Congregazione è anche presidente della Pontificia commissione biblica e della Commissione teologica internazionale, le quali hanno le rispettive sedi e segreterie presso il dicastero.

Ovvero, la Congregazione per la dottrina della fede, come già aveva precisato il Motu Proprio Integrae servandae di Paolo VI, del 7 dicembre 1965, all’art. 2, è presieduta dal Pontefice e la dirige il cardinale segretario, coadiuvato da un assessore, da un sostituto e dal promotore di giustizia. La Congregazione ha quindi come veri e propri membri unicamente soggetti che hanno assunto il sacramento dell’ordine, pur potendo valersi, secondo il successivo art. 10, di un gruppo di consultori che il Pontefice sceglie in tutto il mondo fra gli uomini che si distinguono per dottrina, prudenza e specializzazione, ai quali, a norma dell’articolo seguente, se la materia da trattare lo richiede, possono essere aggiunti degli esperti, scelti in particolare fra i professori universitari.

In breve, tutto ciò significa che la struttura tipica e fondamentale della Congregazione per la dottrina della fede e quella della Commissione teologica internazionale differiscono principalmente per il fatto che la prima prevede nella propria struttura organizzativa di vertice esclusivamente  soggetti investiti del sacramento dell’ordine, nella seconda invece questo requisito è solo eventuale.

Tutto questo a sua volta risulta pienamente conforme con la dottrina della Chiesa, tramandata dalla Rivelazione, per la quale, come ricorda il Concilio vaticano II, nella Costituzione dogmatica Lumen gentium, ripetendo un insegnamento da sempre tramandato fin dall’affermarsi del cristianesimo, il potere di sacramentale e di governo nella Chiesa cattolica può essere assunto solo da soggetti che hanno ricevuto il sacramento dell’ordine e quindi non dai semplici fedeli, ovvero dai battezzati laici, difatti questo documento  rammenta al n. 18 che Cristo ha edificato la Chiesa e ha mandato gli apostoli, come egli stesso era stato mandato dal Padre, ed ha voluto che i loro successori, i vescovi, fossero pastori fino alla fine dei secoli. Affinché poi lo stesso episcopato fosse uno e indiviso, prepose agli altri apostoli Pietro e in lui stabilì il principio e il fondamento perpetuo e visibile dell'unità di fede e di comunione.

Questa dottrina della istituzione, della perpetuità, del valore e della natura del primato del romano Pontefice e del suo infallibile magistero, è proposta dal Concilio Vaticano II come oggetto certo di fede. Difatti, sempre in questa parte del documento ora citato, il Concilio Vaticano II ha esplicitato la dottrina sui vescovi, successori degli apostoli, i quali col Pontefice, successore di Pietro, vicario di Cristo, al loro capo, reggono tutta la Chiesa.

In particolare il n. 22 della Lumen gentium ricorda gli elementi essenziali della dottrina cattolica relativamente al rapporto fra Pontefice e vescovi, e la rispettiva condizione teologica e giuridica circa il governo della Chiesa universale, ribadendo che come Pietro e gli altri apostoli costituirono per volontà di Cristo un unico collegio apostolico, similmente, oggi, il romano Pontefice, successore di Pietro, e i vescovi, successori degli apostoli, sono uniti tra loro, ed inoltre riafferma il principio per il quale il collegio episcopale non ha autorità, se non unito al Pontefice, successore di Pietro, quale suo capo, e senza pregiudizio per la sua potestà di primato su tutti, sia pastori che fedeli.

Infatti il Pontefice, ha su tutta la Chiesa una potestà piena, suprema e universale, che può sempre esercitare liberamente. D'altra parte, l'ordine dei vescovi, il quale succede al collegio degli apostoli nel magistero e nel governo pastorale, anzi, nel quale si perpetua il corpo apostolico, è anch'esso insieme col suo capo il romano Pontefice, e mai senza questo capo, il soggetto di una suprema e piena potestà su tutta la Chiesa, per questo  tale potestà non può mai essere esercitata se non col consenso del Pontefice, in quanto  Cristo ha concesso solo a Pietro pastore di tutto il suo gregge, l'ufficio di legare e di sciogliere, potere, certo concesso anche al collegio degli apostoli, ma solo se ed in quanto congiunto col suo capo.

Può infine notarsi che il collegio episcopale secondo questa parte della Lumen gentium, in quanto composto da molti, esprime la varietà e l'universalità del popolo di Dio; tale immagine in qualche modo può rievocare quella per la quale a norma del canone 204 del vigente codice di diritto canonico, il quale pone la normativa di carattere universale che deve essere osservata da tutta la Chiesa cattolica, i fedeli sono coloro che essendo stati incorporati a Cristo mediante il battesimo sono costituiti popolo di Dio, e perciò resi partecipi, ciascuno nel modo loro proprio della funzione sacerdotale, profetica e regale di Cristo, e come tali sono chiamati ad attuare secondo la condizione propria di ciascuno, la missione che Dio ha affidato alla Chiesa, da compiere nel mondo. Il canone prosegue ricordando che la Chiesa è appunto la Chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione con lui.

Ovvero, se è sempre stato insegnamento fondamentale della dottrina della Chiesa che la stessa, pur ponendo a proprio fondamento l’uguale dignità dei fedeli, rigenerati in Cristo attraverso il battesimo, questa norma ribadisce che le funzioni di guida e di governo, possono essere attribuite solo ai titolari della potestà d’ordine.

Al tempo stesso, però può notarsi, come nel caso in esame, che talune importanti funzioni, della Curia romana, come quella fondamentale di promuovere e di tutelare la dottrina della fede e i costumi in tutto l'orbe cattolico, vede una partecipazione ampia dei fedeli, anche semplici laici ai fini dello svolgimento di questi compiti.

Tuttavia questa constatazione non deve destare eccessiva meraviglia, perché se è vero che per mandato divino solo coloro che hanno assunto il sacramento dell’ordine, ed in particolare hanno raggiunto il grado dell’episcopato, hanno la potestà di governare la Chiesa, altrettanto è vero che già da molto tempo altre importanti strutture costituenti la Curia romana vedono una collaborazione, o meglio una partecipazione, all’interno del proprio organico, piuttosto ampia, dei fedeli laici.

Quello che in proposito pare opportuno ricordare è semplicemente che se tutti i fedeli in virtù della loro uguale dignità battesimale cooperano, ciascuno secondo la propria condizione ed il proprio carisma alla edificazione della Chiesa, in realtà la titolarità delle funzioni di governo appartiene solo ai chierici (con qualche eccezione, così ad esempio, nel settore giudiziario, ove la potestà di giudicare, in un collegio di almeno tre membri può anche essere affidata anche ad un semplice fedele), mentre i laici svolgono, in via di principio, semplicemente, pur se notevoli, mere funzioni di collaborazione.

Premesso questo, è opportuno notare come, un organismo, la Commissione teologica internazionale, posto sotto la direzione della Congregazione per la dottrina della fede, la cui struttura di base, come accennato, non esclude la presenza di fedeli laici, si occupi di temi molto importanti tanto dal punto di vista teologico, quanto dal punto di vista giuridico, per la vita della Chiesa.

Va per altro considerato che molti dei dicasteri della Curia Romana, pur istituiti per coadiuvare il Pontefice nel governo della Chiesa cattolica, poi, di fatto, si occupano di materie eminentemente teologiche e spirituali, basti pensare, solo per fare qualche esempio alla Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, oppure al tribunale della Segnatura apostolica (per maggiori approfondimenti in proposito si rimanda alle voci Curia romana, congregazioni e dicasteri ecclesiastici,  e Santa Sede di questa Enciclopedia).

Tutto ciò vale in quanto è insegnamento comune nella dottrina della Chiesa che non sia possibile disgiungere la sua dimensione escatologica di Chiesa celeste e soprannaturale, con quella della Chiesa mondana e peregrinante in questo mondo (v. per es. Cost. Ap. Lumen gentium, cap. VII).

Premesse queste brevi e sommarie descrizioni relativamente alla struttura e funzionamento della Commissione teologica internazionale e della Congregazione per la dottrina della fede è interessante notare, per le ragioni fino ad ora esposte, come un tema di così grande rilevanza, ovvero quello della sorte dei bambini che muoiono senza aver ricevuto il battesimo sia stato affidato alla Commissione teologica internazionale piuttosto che alla Congregazione per la dottrina della fede.

In via di prima approssimazione, si può sostenere che l’elaborazione del documento in esame volendo essere, in linea generale, unicamente esplicativo e chiarificatore della dottrina cattolica contemporanea sull’argomento, non contenendo, quindi, enunciazioni di carattere precettivo o normativo, ben poteva essere affidata alla Commissione piuttosto che alla Congregazione, in quanto la Commissione, in certo modo, proprio per la sua composizione risultante di teologi e studiosi in scienze teologiche provenienti dalle regioni geografiche più disparate, risulta, forse, essere maggiormente espressiva di quel sensus fidelium, al quale spesso la Chiesa si è affidata allorché si è trattato, come in questo caso, di proporre valutazioni su argomenti che coinvolgono l’intera compaginecristiana, tanto che al fine di elaborare questo studio è stata precedentemente nominata una sottocommissione fra i cui membri figurano laici ed anche una donna.

I punti salienti di questo documento possono essere riassunti nelle considerazioni per le quali sebbene l’insegnamento tradizionale avesse sostanzialmente sempre ricorso alla “teoria del limbo”, espressione coniata fra il XII e il XIII secolo, volta ad indicare lo stato in cui si trovano le anime dei bambini che muoiono senza battesimo, le quali non meritano il premio della visione beatifica, a causa del peccato originale, ma non subiscono nessuna punizione, poiché non hanno commesso peccati personali, in realtà questa teoria, elaborata da diversi teologi a partire dal Medioevo, non è mai entrata nelle definizioni dogmatiche del Magistero, anche se lo stesso Magistero l’ha menzionata nel suo insegnamento fino al Concilio Vaticano II. Essa rimane quindi, ad oggi, nella teologia cattolica, un’ipotesi teologica possibile, e conseguentemente non una verità.

Il documento difatti fa presente che nel Catechismo della Chiesa Cattolica (1992) la “teoria del limbo” non viene menzionata, ed è invece insegnato che, quanto ai bambini morti senza battesimo, la Chiesa non può che affidarli alla misericordia di Dio, come appunto fa nel rito specifico dei funerali per loro. Il principio che in tal senso soccorre è quello per il quale Dio vuole la salvezza di tutti gli esseri umani, e ciò consente di sperare che vi sia una via di salvezza anche per i bambini morti senza battesimo (cfr, Catechismo cit., n. 1261).

Tuttavia, proprio questa affermazione invita la riflessione teologica a trovare una connessione logica e coerente tra i diversi enunciati della fede cattolica: la volontà salvifica universale di Dio / l’unicità della mediazione di Cristo / la necessità del battesimo per la salvezza / l’azione universale della grazia in rapporto ai sacramenti / il legame tra peccato originale e privazione della visione beatifica / la creazione dell’essere umano “in Cristo”.

Il documento prosegue sostenendo che proprio perché su questo problema non vi è ad oggi un insegnamento esplicito della Rivelazione, non sussistono reali motivi per motivare un nuovo approccio alla questione.

Ovvero, secondo la Commissione teologica internazionale, nulla può essere attualmente addotto per negare la necessità del battesimo né per ritardare il rito della sua amministrazione. Piuttosto vi sono ragioni per sperare che Dio salverà questi bambini, poiché non si è potuto fare ciò che si sarebbe desiderato fare per loro, cioè battezzarli nella fede della Chiesa e inserirli visibilmente nel Corpo di Cristo.

La Commissione riconosce per altro che la doverosa riconsiderazione di tali questioni teologiche non può giungere fino ad ignorare le tragiche conseguenze del peccato originale. Il peccato originale comporta, secondo la dottrina cattolica, uno stato di separazione da Cristo, il che esclude la possibilità della visione di Dio per coloro che muoiono in questo stato.

Conseguentemente il documento pone in luce il principale aspetto problematico di questa delicata questione, ovvero, il problema, sia per la teologia sia per la cura pastorale, consistente nella  questione di come salvaguardare e riconciliare i due gruppi principali di affermazioni bibliche sull’argomento: quelle che si riferiscono alla volontà salvifica universale di Dio (cfr 1 Tm 2,4) e quelle che identificano nel battesimo il mezzo necessario per essere liberati dal peccato ed essere resi conformi a Cristo (cfr Mc 16,16; Mt 28,18-19).

Dopo aver tracciato un dettagliato excursus storico e teologico circa l’insegnamento cattolico in questa materia, ricordando che nel Nuovo Testamento non vi è un insegnamento esplicito sulla sorte dei bambini morti senza battesimo, il documento prosegue citando le principali dottrine bibliche in questa materia, fra le quali, quella per cui predominanza va data alla volontà di Dio di salvare ogni persona (cfr Gn 3,15; 22,18; 1 Tm 2,3-6) attraverso la vittoria di Gesù Cristo sul peccato e sulla morte (cfr Ef 1,20-22; Fil 2,7-11; Rm 14,9; 1 Cor 15,20-28); quella che fa leva sulla peccaminosità universale degli esseri umani (cfr Gn 6,5-6; 8,21; 1 Re 8,46; Sal 130,3), e per la quale tutti gli uomini a partire da Adamo sono nati nel peccato (cfr Sal 51,7; Sir 25,24) e sono quindi destinati alla morte (cfr Rm 5,12; 1 Cor 15,22); la teoria che pone quale necessità, ai fini della salvezza, da un lato la fede del credente (cfr Rm 1,16) e dall’altro il battesimo (cfr Mc 16,16; Mt 28,19; At 2,40-41; 16,30-33) e dell’eucaristia (cfr Gv 6,53), amministrati dalla Chiesa; inoltre la teoria per la quale la speranza cristiana supera completamente la speranza umana, in quanto la speranza cristiana è che il Dio vivente, il Salvatore dell’intera umanità (cfr 1 Tm 4,10), il quale farà partecipare tutti alla sua gloria (cfr 1 Ts 5,9-11; Rm 8,2-5.23-25); infine, la teoria secondo cui la Chiesa deve fare “suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini” (1 Tm 2,1-8), avendo fede che alla potenza creatrice di Dio “nulla è impossibile” (Gb 42,2; Mc 10,27; 12,24.27; Lc 1,37), e nella speranza che l’intera creazione parteciperà infine alla gloria di Dio (cfr Rm 8,22-27).

Dopo aver ricordato queste teorie fondamentali il documento giustamente rileva che sembra esserci una tensione tra due delle dottrine bibliche appena citate: da un lato, quella  della volontà salvifica universale di Dio, dall’altro quella della necessità del battesimo sacramentale; quest’ultima, in particolare, sembrerebbe limitare l’estensione della volontà salvifica universale di Dio.

Per questo motivo la Commissione ritiene necessario chiarire il concetto di necessità del battesimo sacramentale, la quale, a detta della stessa Commissione, riveste comunque un ruolo di secondo ordine rispetto alla necessità assoluta dell’azione salvifica di Dio attraverso Cristo, pur configurandosi, il battesimo sacramentale, quale mezzo ordinario attraverso il quale una persona partecipa agli effetti benefici della morte e risurrezione di Gesù.

Dopo aver dettagliatamente descritto le teorie che si sono succedute sull’argomento, fra le quali quella pronunciata dal Concilio di Trento, che nella sua V Sessione, ha dichiarato: “Se qualcuno afferma che la prevaricazione di Adamo nocque a lui solo, e non anche alla sua discendenza; che perse soltanto per sé, e non anche per noi, la santità e la giustizia ricevute da Dio; o che egli, corrotto dal peccato di disobbedienza, trasmise a tutto il genere umano ‘solo la morte’ e le pene del corpo, e non anche il peccato, che è la morte dell’anima: sia anatema”.

Approfonditamente esaminata è stata anche la teoria propugnata da Pio VI che nel 1794 condannò come “falsa, temeraria, offensiva per le scuole cattoliche” la dottrina “che rigetta come favola pelagiana (fabula pelagiana) quel luogo degli inferi (che i fedeli ovunque chiamano con il nome di limbo dei bambini) nel quale le anime di coloro che sono morti con il solo peccato originale sono punite con la pena della privazione senza la pena del fuoco; come se, in questo modo, coloro che escludono la pena del fuoco introducessero quel luogo e stato intermedio privo di colpa e di pena, fra il regno di Dio e la dannazione eterna, di cui favoleggiavano i pelagiani”.

Inoltre, è stata analizzata la teoria, discussa in modo ufficioso, e quindi non affrontata pubblicamente dal Concilio Vaticano I, che presentava la sorte dei bambini morti senza battesimo come uno stato a metà strada tra quello dei dannati da un lato, e quello delle anime del purgatorio e dei beati dall’altro.

Infine sono stati esaminati una serie di pronunciamenti, non direttamente volti a rispondere all’interrogativo sulla sorte dei bambini non battezzati, contenuti in diversi documenti del Concilio Vaticano II, il quale ha indicato numerosi percorsi che potevano guidare la riflessione teologica. Il Concilio ha richiamato più volte l’universalità della volontà salvifica di Dio che si estende a tutte le persone (1 Tm 2,4) 61. Tutti “hanno un solo fine ultimo, Dio, del quale la provvidenza, la testimonianza di bontà e il disegno di salvezza si estendono a tutti” (Nostra aetate 1; cfr Lumen gentium 16). Seguendo un’impostazione più particolare, in cui si presenta una concezione della vita umana fondata sulla dignità dell’essere umano creato a immagine di Dio, la Costituzione Gaudium et spes ricorda che “la ragione più alta della dignità dell’essere umano consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio”, precisando che “fin dal suo nascere l’essere umano è invitato al dialogo con Dio” (Gaudium et spes 19). La medesima Costituzione proclama con forza che solamente nel mistero del Verbo Incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo.

La Commissione inoltre ricorda la celebre affermazione di questo Concilio: “Cristo, infatti, è morto per tutti, e la vocazione ultima dell’essere umano è effettivamente una sola, quella divina: perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire associati, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale” (Gaudium et spes 22). Nonostante che il Concilio non abbia espressamente applicato tale insegnamento ai bambini che muoiono senza battesimo, questi testi, secondo la Commissione teologica internazionale aprono una strada per dare ragione della speranza in loro favore .

Da una lettura teologica della storia del magistero cattolico sull’argomento la Commissione trae la conclusione che tre sono le principali affermazioni appartenenti alla fede della Chiesa che sembrano essere al cuore del problema della sorte dei bambini non battezzati. I) Dio vuole che tutti gli esseri umani siano salvati. II) Questa salvezza viene data soltanto per mezzo della partecipazione al mistero pasquale di Cristo, ossia per mezzo del battesimo per la remissione dei peccati, o sacramentale o avente altra forma. Gli esseri umani, inclusi i bambini, non possono essere salvati separatamente dalla grazia di Dio riversata dallo Spirito Santo. III) I bambini non entreranno nel regno di Dio se non sono stati liberati dal peccato originale attraverso la grazia redentrice.

Ma proprio per gli studi esegetici e teologici effettuati sulle fonti che hanno contribuito ad approfondire, pur se in modo talora molto variegato e diverso, la condizione dei bambini che muoiono senza battesimo, la Commissione ha chiarito che l’affermazione per la quale “i bambini che muoiono senza battesimo subiscono la privazione della visione beatifica” è stata per molto tempo dottrina comune della Chiesa, che è cosa distinta dalla fede della Chiesa. Quanto alla teoria che la privazione della visione beatifica è l’unica pena di questi bambini, a esclusione di qualsiasi altro patimento, questa è un’opinione teologica, nonostante la sua lunga diffusione in Occidente. Per quanto riguarda infine la particolare tesi teologica concernente una sorta di “felicità naturale”,  talora attribuita a questi bambini, anche questa deve essere considerata meramente una opinione teologica.

Difatti, come precisato nel n. 56 del documento in esame, come si legge nel Catechismo della Chiesa Cattolica, “La dottrina del peccato originale è, per così dire, il ‘rovescio’ della Buona Novella che Gesù è il Salvatore di tutti gli uomini, che tutti hanno bisogno della salvezza e che la salvezza è offerta a tutti grazie a Cristo. La Chiesa, che ha il senso di Cristo, ben sa che non si può intaccare la rivelazione del peccato originale senza attentare al mistero di Cristo”.

In altre parole, attraverso il battesimo sacramentale l’essere umano è conformato a Cristo, riceve lo Spirito Santo, è liberato dal peccato e diviene membro della Chiesa.

Pur tuttavia, la Commissione riconosce che pur considerando il battesimo sacramentale necessario in quanto mezzo ordinario stabilito da Gesù Cristo per configurare a se stesso gli esseri umani, la Chiesa non ha mai insegnato la “necessità assoluta” del battesimo per la salvezza; esistono altre strade per cui può essere realizzata la configurazione a Cristo. Già nella prima comunità cristiana, ad esempio, era accettato che il martirio, “battesimo di sangue”, fosse un sostituto del battesimo sacramentale. In quei tempi, inoltre era già riconosciuto il “battesimo di desiderio”, il quale in sostanza indica l’incorporazione in Cristo attraverso il desiderio o l’anelito al battesimo sacramentale. Entrambi, per altro, anche in tempi recenti, sono stati invocati da diversi teologi per giustificare una via di salvezza per i bambini morti senza aver ricevuto il battesimo sacramentale. In particolare il battesimo di desiderio è stato utilizzato per ipotizzare una sorta di “desiderio inconscio” di questi bambini verso il battesimo sacramentale.

Al tempo stesso però, l’affermazione della fede cristiana circa la necessità del battesimo sacramentale per la salvezza non può essere svuotata della sua significatività esistenziale, riducendola a un’affermazione meramente teorica. Deve, secondo il documento in esame, essere parimenti rispettata la libertà di Dio riguardo ai mezzi di salvezza dallo stesso dati. Occorre quindi, secondo la Commissione, evitare qualsiasi tentativo di opporre tra di loro il battesimo sacramentale, il battesimo di desiderio e il battesimo di sangue come se fossero antitetici.

La stessa difatti ritiene che questi non siano altro che espressioni delle polarità creative nell’ambito della realizzazione della volontà salvifica di Dio a favore dell’umanità, che comprende sia una reale possibilità di salvezza, sia un dialogo salvifico nella libertà con la persona umana.

Proprio questo dinamismo spinge la Chiesa, sacramento universale di salvezza, a chiamare tutti al pentimento, alla fede e al battesimo sacramentale. Questo dialogo nella grazia ha inizio soltanto quando la persona umana è esistenzialmente capace di una risposta nel concreto; cosa che non può dirsi dei bambini. Da qui la necessità che genitori e padrini parlino a nome del bambino che viene battezzato.

Queste importanti riflessioni si chiudono con l’interrogativo finale, che costituisce il punto centrale di tutto il documento in esame, ovvero, cosa dire dei bambini che muoiono senza battesimo?

Poiché indubbiamente questo interrogativo propone un “caso limite” dove facilmente potrebbe sembrare che esista una tensione tra alcuni principi vitali della fede, in particolar modo la necessità del battesimo per la salvezza, e la volontà salvifica universale di Dio, la Commissione riconosce che il magistero della Chiesa ha optato, specificatamente e forse provvidenzialmente, per non dare per definito che questi bambini sono privati della visione beatifica, ma di lasciare aperta la questione. Proprio per questo la Commissione ritiene che vi sia motivo di sperare per la loro salvezza.

Suffragano in tal senso talune considerazioni fra le quali quella per cui secondo la dottrina cattolica la potenza di Dio non è limitata ai sacramenti, ovvero, Dio può quindi dare la grazia del battesimo senza che venga amministrato il sacramento. Ovvero, la necessità del sacramento non è assoluta.

Va inoltre considerata la possibilità, in alcuni casi dell’analogia con il battesimo di sangue, per tutti quei bambini che in vario modo muoiono in quanto vittime della violenza, della paura e dell’egoismo, e che quindi si trovano in una posizione analoga a quella dei santi innocenti, che hanno sofferto e sono morti per Cristo. Infine, la Commissione non ripudia nemmeno l’ipotesi per cui è possibile che Dio semplicemente agisca per dare il dono della salvezza ai bambini non battezzati in analogia al dono della salvezza dato sacramentalmente ai bambini battezzati.

Svolte tutte queste considerazioni tese in vario modo a cercare di elaborare una via di salvezza per i bambini morti senza battesimo, la Commissione, per altro, ricorda uno degli aspetti fondamentali della questione, ovvero, quello per il quale di fronte alle soluzioni ora proposte contrasta la considerazione per la quale la situazione dei bambini non battezzati è problematica proprio perché si presume che manchi in loro il libero arbitrio. Si pone quindi l’interrogativo della relazione tra la salvezza oggettiva ottenuta da Cristo e il peccato originale, ciò in quanto la posizione tradizionale è che soltanto per mezzo del battesimo sacramentale i bambini possono essere in una condizione di solidarietà con Cristo e quindi accedere alla visione di Dio; in assenza del battesimo prevarrebbe la solidarietà con Adamo, e quindi con il peccato originale.

Al fine di ovviare a questa conclusione la Commissione dichiara che nonostante alcuni teologi medioevali abbiano sostenuto la possibilità di un destino intermedio e naturale, guadagnatoci dalla grazia di Cristo (gratia sanans), ossia il limbo, la stessa considera problematica una tale teoria e desidera quindi indicare come siano possibili altre soluzioni, fondate sulla speranza di una grazia redentrice data ai bambini che muoiono senza il battesimo e che apre loro la strada al cielo.

La Commissione ritiene, in definitiva, che con lo sviluppo della dottrina, la soluzione del limbo possa considerarsi superata alla luce di una maggiore speranza teologica.

A tal fine il documento propone una interessante analogia fra il sacramento del battesimo e quello della eucarestia, ricordando che Gesù ha insegnato: “Se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio” (Gv 3,5); da ciò si capisce la necessità del battesimo sacramentale. Similmente ha detto: “se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita” (Gv 6,53); dal che si comprende la necessità (strettamente correlata) dell’eucaristia.

Tuttavia il documento rileva che come questo secondo testo non ci conduce ad affermare che non può essere salvato chi non ha ricevuto il sacramento dell’eucaristia, così non si dovrebbe dedurre dal primo testo che non può essere salvato chi non ha ricevuto il sacramento del battesimo. Dovremmo invece arrivare alla conclusione che nessuno è salvato senza una qualche relazione al battesimo e all’eucaristia, e quindi alla Chiesa, che da questi sacramenti è definita.

Ogni salvezza ha una qualche relazione con il battesimo, l’eucaristia e la Chiesa. Il principio per cui “fuori dalla Chiesa non c’è salvezza” significa che non c’è salvezza che non provenga da Cristo e che non sia ecclesiale per sua stessa natura. Analogamente, l’insegnamento della Scrittura che “senza la fede è impossibile essere graditi (a Dio)” (Eb 11,6),  indica il ruolo intrinseco della Chiesa, della comunione di fede, nell’opera di salvezza. Soprattutto nella liturgia della Chiesa appare manifesto questo ruolo, in quanto la Chiesa prega e intercede per tutti, inclusi i bambini che muoiono senza battesimo.

In definitiva, la Commissione conclude affermando che i molti fattori esaminati offrono seri motivi teologici e liturgici per sperare che i bambini che muoiono senza battesimo saranno salvati e potranno godere della visione beatifica. Al tempo stesso si sottolinea che si tratta di motivi di speranza nella preghiera, e non di elementi di certezza, in quanto vi sono molte cose che semplicemente non sono state rivelate all’uomo (cfr Gv 16,12).

Ovvero, la Commissione ricorda e ribadisce che la via di salvezza ordinaria passa attraverso il sacramento del battesimo. Per questo nessuna delle considerazioni sopra esposte può essere addotta per minimizzare la necessità di questo sacramento, piuttosto, esistono forti ragioni per sperare che Dio salverà questi bambini, poiché non si è potuto fare ciò che si sarebbe desiderato di fare per loro, cioè battezzarli nella fede e nella vita della Chiesa.

Pubblicato il  20/01/2010