Le misure

L’emergenza epidemiologica colpisce anche il mondo delle carceri il quale, peraltro, a causa di endemici problemi strutturali (carenze di personale e strutture, sovraffollamento), si trova di per sé a vivere da tempo in una situazione di difficoltà permanente. La grande capacità di diffusione del covid-19 suscita particolare preoccupazione in un contesto, come quello italiano, nel quale le cautele straordinarie essenziali per la tutela della salute dei detenuti e del personale operante nei penitenziari non possono verosimilmente essere rispettate. Inoltre, fra i detenuti vi è un’alta percentuale di soggetti con serie patologie pregresse, circostanza che innalza il rischio di un elevato numero di casi gravi e determina conseguentemente l’aumento della mortalità (cfr. quanto evidenziato dal Presidente dell’Associazione Antigone, Patrizio Gonnella, il quale riferisce che il 67% dei reclusi ha almeno una patologia pregressa: www.antigone.it). Situazioni di difficoltà e conseguente adozione di misure urgenti vengono segnalate a livello planetario (www.prison-insider.com).

I primi interventi normativi urgenti (art. 10, co. 14, d.l. n. 9/2020 e art. 2, co. 8 e 9, d.l. n. 11/2020) si sono limitati a prevedere misure tese ad “isolare” l’ambiente carcerario al fine di evitare il rischio di contagio connesso all’ingresso di soggetti esterni ed alla temporanea uscita dei detenuti. Tali soluzioni sono consistite nella imposizione di colloqui a distanza con familiari ed altre persone legittimate, da attuarsi mediante corrispondenza telefonica o, ove possibile, apparecchiature e collegamenti a disposizione dell’amministrazione penitenziaria, nonché nell’attribuzione alla magistratura di sorveglianza del potere di sospendere la concessione di permessi premio e del regime di semilibertà in considerazione delle indicazioni provenienti dall’autorità sanitaria.

Le misure, pur volute per finalità di tutela della salute pubblica e della popolazione carceraria, hanno tuttavia innescato, insieme ai primi contagi fra detenuti, gravi proteste e rivolte in oltre venti istituti di pena, a causa di quella che è stata interpretata come un’ulteriore ed inaccettabile erosione di diritti già fortemente compromessi dalle critiche condizioni di vita dovute al sovraffollamento, alla mancanza di spazi idonei, alle condizioni igieniche carenti.

Il d.l. n. 18/2020, tenendo conto anche degli allarmi provenienti da più parti, affronta, oltre a riprodurre le precedenti disposizioni (art. 83, co. 16 e 17), l’esigenza di alleggerire la pesante situazione di sovraffollamento carcerario e le sue inevitabili ripercussioni sulla salute di operatori e detenuti mediante le previsioni contenute negli artt. 123 e 124.

Il rimedio che dovrebbe farsi carico di garantire una consistente riduzione della popolazione penitenziaria è il potenziamento della figura dell’esecuzione della pena detentiva presso il domicilio introdotta dalla l. 26.11.2010, n. 199 (cd. svuotacarceri), la quale ha consentito l’uscita dal carcere di quasi 27.000 persone nei nove anni di operatività (www.giustizia.it). Si prevede infatti che, a partire dall’entrata in vigore del provvedimento, la pena detentiva non superiore a diciotto mesi (anche se residuo di maggior pena) venga espiata, in deroga alle condizioni previste dall’art. 1, co. 1, 2 e 4, presso l’abitazione del condannato ovvero in altro luogo di cura, assistenza o accoglienza, (art. 123, co. 1). Non possono però beneficiare della misura alternativa i condannati per i reati elencati dall’art. 4 bis della l. n. 354/1975 nonché per i delitti di maltrattamenti contro familiari e conviventi e di atti persecutori (artt. 572 e 612 bis c.p.); i delinquenti abituali, professionali e per tendenza (artt. 102, 105 e 108 c.p.); i detenuti sottoposti al regime di sorveglianza particolare ex art. 14 bis l. n. 354/1975; i detenuti sanzionati nell’ultimo anno per condotte connesse a disordini, sommosse, evasioni o commissione di reati contro altri detenuti, operatori penitenziari o visitatori; i detenuti destinatari di rapporto disciplinare per i disordini e le sommosse occorse dopo il 7 marzo 2020; i detenuti privi di un domicilio effettivo ed idoneo anche a fini di tutela delle persone offese.

Nonostante la deroga alle condizioni previste dalla l. n. 199/2010, riferita, in particolare, alla necessità di verificare l’assenza di un concreto pericolo di fuga o di commissione di altri delitti, l’art. 123, co. 3, prevede l’obbligatoria applicazione della procedura di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici (cd. braccialetto elettronico) a coloro che, non essendo minorenni ed avendo prestato il proprio consenso, devono espiare una pena superiore a sei mesi. I sistemi di controllo vanno comunque disattivati non appena la pena residua scenda sotto il limite dei sei mesi.

Competente per l’adozione del provvedimento è il magistrato di sorveglianza, il quale, su istanza (del condannato, anche non detenuto, nonché del pubblico ministero), concede la misura salvo che «ravvisi gravi motivi ostativi», formula la quale sembra reintrodurre la valutazione sul pericolo di fuga o di recidiva che il co. 1 dell’art. 123 apparentemente esclude derogando alle disposizioni della l. n. 199/2010. Per tentare un distinguo fra i due giudizi, si può ipotizzare il favor legislativo per la concessione della misura sulla base di una sorta di presunzione di idoneità del sistema elettronico di controllo a scongiurare l’eventuale pericolo di fuga o di commissione di altri delitti. Presunzione che potrebbe essere superata nel singolo caso da una prognosi sfavorevole particolarmente intensa tale da rendere il dispositivo insufficiente. In altri termini, l’obbligatorietà del controllo elettronico dovrebbe servire a consentire l’esecuzione domiciliare anche in presenza di pericula libertatis che siano tuttavia superabili col mezzo tecnico e ad “appesantire” l’onere di motivazione del diniego.

Per non gravare le direzioni degli istituti di pena del consistente carico di lavoro derivante dal numero di richieste verosimilmente elevato e velocizzare la procedura, è prevista la possibilità di omettere la relazione sulla condotta del detenuto (art. 83, co. 6). Residua l’obbligo di attestare che la pena da eseguire è inferiore ai diciotto mesi e la non ricorrenza di un caso di esclusione della misura, nonché quello di trasmettere il verbale di idoneità del domicilio alla cui redazione deve procedere la polizia penitenziaria.

Sotto il profilo procedurale, non ci sono altre deviazioni rispetto allo schema delineato dalla l. n. 199/2010: la decisione viene adottata con ordinanza (reclamabile dinanzi al tribunale di sorveglianza e non immediatamente ricorribile per cassazione: Cass. pen., sez. I 12.12.2013, n. 7290, rv. 259607) pronunciata in camera di consiglio senza l’intervento delle parti non prima di cinque giorni dalla domanda. Sempre in applicazione della disciplina “ordinaria”, il condannato in stato di libertà usufruisce della sospensione dell’ordine di carcerazione che il pubblico ministero dispone ex art. 1, co. 3, l. n. 199/2010 con contestuale trasmissione degli atti al magistrato di sorveglianza per la decisione.

Oltre all’esecuzione presso il domicilio, il decreto prevede (art. 124) il “potenziamento” delle licenze fruibili dai soggetti che godono del regime di semilibertà, ammettendone il prolungamento fino al 30 giugno 2020 in deroga al limite massimo di durata fissato in via ordinaria in quarantacinque giorni. La misura consente di evitare per il periodo di emergenza che i detenuti semiliberi possano rappresentare, con il frequente rientro in istituto, un pericoloso veicolo di contagio.

Critiche e prospettive di modifica

Da più parti sono state segnalate le inadeguatezze dei rimedi emergenziali apprestati dal decreto per ridurre le presenze nei penitenziari (per l’avvocatura, v. www.camerepenali.it; per la magistratura, v. www.csm.it; per il mondo accademico, v. www.aipdp.it). L’aspetto maggiormente criticato è l’aver imposto nell’esecuzione domiciliare gli strumenti tecnici di sorveglianza rispetto ai quali, notoriamente, vi è grave carenza in tutte le realtà penitenziarie del Paese. I sistemi di controllo necessitano inoltre di operazioni di installazione che richiedono tempo e personale tecnico, con ritardi incompatibili con la situazione di urgenza. Di fatto, quindi, aspetti pratici ben noti al legislatore finiscono per vanificare la finalità primaria della limitazione del contagio. A fronte della ipotizzata fruibilità della misura alternativa da parte di circa seimila detenuti, quelli che nell’immediato ne hanno effettivamente beneficiato sarebbero circa cinquanta (dati riferiti il 25 marzo dal Ministro della giustizia in sede di risposte alle interrogazioni parlamentari: webtv.camera.it, dove si parla altresì di circa 150 soggetti fruitori della misura prevista dall’art. 124). Il numero dovrebbe tuttavia crescere in breve tempo anche grazie al provvedimento del Capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e del Capo del Dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell’interno con il quale sarebbero stati messi a disposizione 5000 dispositivi di controllo che verranno installati con cadenza di 300 ogni settimana. Sull’impatto reale del provvedimento sono state avanzate perplessità. Il Garante nazionale delle persone private della libertà personale riferisce di un‘effettiva disponibilità di soli 920 apparati (www.metropolisweb.it), quantità insufficiente secondo il Presidente dell’Unione delle Camere Penali (media.mimesi.com). Da ultimo, è stato annunciato il reperimento di 4700 unità (www.lastampa.it).

Sul piano interpretativo, alle difficoltà pratiche si potrebbe in parte ovviare ove si ritenga, come sembra consentito dall’assenza di contrarie indicazioni testuali, che l’esecuzione domiciliare anti-pandemica conviva con quella “normo-emergenziale”. Quindi, in mancanza del dispositivo, sarebbe possibile ricorrere alla figura “base” della misura alternativa ricorrendo, naturalmente, gli specifici presupposti di cui alla l. n. 199/2010 fra i quali tuttavia manca il controllo da remoto (in tale direzione, Passione, M., ‘Cura Italia’ e carcere: prime osservazioni sulle (poche) risposte all’emergenza, in Questione Giustizia, 19 marzo 2020; Dolcini, E.-Gatta, G., A proposito del d.l. 17 marzo 2020, n. 18 (artt. 123-124), in Sistema penale, 20 marzo 2020; Nota del Procuratore generale presso la Corte di cassazione indirizzata ai Procuratori generali presso le Corti di appello, 1/4/2020, avente ad oggetto «Pubblico ministero e riduzione della presenza carceraria durante l'emergenza coronavirus», 15, dove si evoca l'applicazione analogica dell'art. 275 bis c.p.p.).

Oltre che per i predetti risvolti pratici, il d.l. n. 18/2020 è stato criticato per la limitazione a diciotto mesi della pena detentiva espiabile in regime domiciliare, sbarramento che sembra pregiudicare la possibilità di una consistente riduzione degli oltre 10.000 “esuberi” rispetto ai 50.931 posti disponibili (al 29 febbraio 2020 si contavano 61.000 detenuti). Al fine di dare più spazio alla misura e determinare una consistente riduzione delle presenze, si propone che in sede di conversione, oltre all’eliminazione dell’obbligo del “braccialetto”, venga innalzato a due anni il limite di pena (anche residua) previsto per l’ammissione (cfr. Osservazioni e proposte del Consiglio direttivo AIPDP sull’emergenza carceraria da coronavirus, cit., e le Delibera della Giunta delle Camere Penali del 27 marzo 2020, cit., consultabili ai link indicati supra; Dolcini, E.-Gatta, G., A proposito del d.l. 17 marzo 2020, n. 18 (artt. 123-124), cit.)

In ogni caso, varie proposte suggeriscono di ampliare la prospettiva di intervento, affiancando a quelle già adottate ulteriori soluzioni idonee a favorire un’effettività “decrescita” delle presenze. Si segnalano, in particolare, le richieste di ritardare l’ingresso in carcere attraverso una “moratoria” per l’emissione dell’ordine di carcerazione; di “riattivare” il meccanismo della liberazione anticipata speciale previsto dall’art. 4 d.l. 23.12.2013, n. 146, che aveva elevato a 75 giorni a semestre la detrazione di pena prevista dall’art. 54 l. n. 354/1975; di potenziare ulteriormente le licenze in favore degli ammessi al regime di semilibertà; di procedere ad una dimissione “selettiva” in base, fra l’altro, ad età e presenza di condizioni patologiche (sulle varie proposte, v. i documenti critici segnalati in precedenza, cui adde Giostra, G., L’emergenza carceraria non è un incendio al di là del fiume, in Diritto di difesa, 28 marzo 2020, nonché la Nota del Procuratore generale presso la Corte di cassazione indirizzata ai Procuratori generali presso le Corti di appello, 1/4/2020, cit., 11, dove, con particolare riguardo alla fase di impulso dell'esecuzione, si indica la soluzione pratica del «differimento “ragionato”» degli ordini relativi a condanne per le quali non opera la sospensione ex art. 656, co. 5, c.p.p., differimento che dovrebbe però essere escluso per reati di particolare allarme sociale e nei casi di concreto ed attuale pericolo per la vita, l'incolumità e la sicurezza delle persone).

Va poi sottolineato che le misure espresse dal decreto ignorano i detenuti in attesa di giudizio, soggetti rispetto ai quali non si vede come non possano estendersi le eccezionali ragioni di emergenza connesse alla calamità epidemiologica, anche in ragione della rilevante presenza nei penitenziari (un terzo dei ristretti). In proposito, sarebbe opportuna una correzione del provvedimento mediante l’introduzione di una specifica previsione che integri il giudizio di bilanciamento fra libertà dell’imputato ed esigenze cautelari, con l’obbligo per il giudice di tenere conto dell’emergenza sanitaria al fine di preferire l’adozione degli arresti domiciliari, da disporre, se necessario, in combinazione con la previsione del controllo elettronico (art. 275 bis c.p.p.); correzione che, per evidenti ragioni di uguaglianza, dovrebbe operare sia ai fini dei provvedimenti coercitivi da emettere, sia ai fini della rivalutazione delle misure custodiali già adottate (su questo aspetto, v. Osservazioni e proposte del Consiglio direttivo AIPDP sull’emergenza carceraria da coronavirus, cit.; Delibera della Giunta delle Camere Penali del 27 marzo 2020, cit.; Dolcini, E.-Gatta, G., A proposito del d.l. 17 marzo 2020, n. 18 (artt. 123-124), cit.; Giostra, G., L’emergenza carceraria non è un incendio al di l__à del fiume, cit.; Documento del Direttivo dell’Associazione tra gli Studiosi del processo penale - 30 marzo 2020, www.studiosiprocessopenale.it; secondo Insolera, G.-Insolera, P., Presunzioni ostative agli arresti domiciliari, pandemia e situazione delle carceri, in Diritto di difesa, 6 aprile 2010, l'interpretazione convenzionalmente conforme degli artt. 277 e 275, co. 3 e 4 bis c.p.p. rispetto alle norme interposte di cui agli artt. 2 e 3 CEDU – diritto alla vita e divieto di pene o trattamenti inumani o degradanti –, consentirebbe di ritenere che, nell'attuale situazione emergenziale, vada sempre privilegiata una soluzione cautelare meno afflittiva rispetto alla misura carceraria; ove non si reputasse possibile pervenire a tale soluzione in via interpretativa, dette disposizioni codicistiche si esporrebbero ad una questione di legittimità costituzionale per contrasto con l’art. 117, co. 1, Cost., in relazione agli artt. 2 e 3 CEDU).

Anche le raccomandazioni provenienti dalle autorità europee (European Committee for the Prevention of Torture and Inhuman or Degrading Treatment or Punishment - CPT) esortano con estrema fermezza gli Stati membri del Consiglio d’Europa, nell’attuale contesto di emergenza sanitaria, a privilegiare misure alternative al carcere, specialmente ed imperativamente in situazioni, come quella italiana, di sovraffollamento, facendo altresì espresso riferimento anche alla coercizione cautelare (al paragrafo 5 dello Statement of principles  relating to the treatment of persons deprived of their liberty  in the context of the coronavirus disease (COVID-19) pandemic, adottato dal European Committee for the Prevention of Torture and Inhuman or Degrading Treatment or Punishment (CPT) il 20 marzo 2020 – rm.coe.int – si legge: «As close personal contact encourages the spread of the virus, concerted efforts should be made by all relevant authorities to resort to alternatives to deprivation of liberty. Such an approach is imperative, in particular, in situations of overcrowding. Further, authorities should make greater use of alternatives to pre-trial detention; »). Non seguirle scrupolosamente significherebbe aumentare il rischio, già concreto, di ulteriori condanne in sede europea come quelle subìte dall’Italia nel 2009 e nel 2013 con le sentenze Sulejmanovic e Torreggiani (Corte Edu, 16.7.2009, Sulejmanovic c. Italia, ric. n. 22635/03; Corte Edu, 8.1.2013, Torreggiani e altri c. Italia, ricc. nn. 43517/09, 46882/09, 55400/09, 57875/09, 61535/09, 35315/10 e 37818/10).

Al riguardo, già si registrano interventi della Corte di Strasburgo sollecitati da iniziative connesse alla carenza nelle carceri delle condizioni igieniche e di distanziamento fra detenuti. La Corte in un caso ha disposto la liberazione urgente ed il trasferimento in comunità di un soggetto internato in una REMS (Residenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza) e, in relazione ad un ulteriore ricorso presentato in favore di un detenuto del carcere di Vicenza che si è visto rigettare dal magistrato di sorveglianza la richiesta di detenzione domiciliare, ha invitato il governo italiano ad indicare «le misure preventive specifiche adottate per proteggere il richiedente e gli altri detenuti dell’istituto di Vicenza, volte a ridurre il pericolo di contagio all’interno del carcere» (www.lastampa.it).

Sempre sul versante delle azioni volte a perseguire la concreta osservanza, anche in ambito carcerario, delle prescrizioni generali sulla distanza interpersonale, sui divieti di assembramento e sulle misure igienico-sanitarie per la tutela della salute, è stata avviata una class action in relazione alle condizioni detentive di sovraffollamento presso il carcere di Bari che rappresentano un grave fattore di rischio di diffusione del contagio fra operatori penitenziari e detenuti (www.nessunotocchicaino.it).

Peraltro, gli stimoli ad un’organica (e rapida) rimeditazione dell’architettura del decreto che si occupa del sistema penitenziario, oltre a provenire dalle preoccupazioni espresse anche dalle più alte autorità istituzionali e morali (il Presidente della Repubblica e il Papa), vengono drammaticamente forniti, com’era facilmente prevedibile, dalla rapida evoluzione dei contagi fra operatori di polizia penitenziaria e detenuti e dal verificarsi dei primi eventi letali riconducibili all’infezione che sta sconvolgendo il pianeta.

Pubblicato il 17-04-2020
Immagine: Il 3 maggio 1808 di Francisco Goya (pubblico dominio)