di Leonardo Carbone

Alla gravità della situazione in cui versa la giustizia civile il legislatore ha di solito cercato di porre rimedio con interventi normativi “a costo zero”, senza sostanziali aggravi di spesa per lo Stato. La stessa logica è alla base della recente introduzione di un generale procedimento di mediazione con finalità di conciliazione per le controversie civili e commerciali (d.lsg. n. 28/2010). Gli scopi indiretti sono costituiti evidentemente dall’incentivo alla composizione stragiudiziale delle liti e dalla deflazione delle pendenze giudiziarie che soffocano l’amministrazione della giustizia. La cd. “media-conciliazione” ha però presto dovuto affrontare aspre critiche provenienti da più parti (avvocatura in testa), ed aventi ad oggetto profili sia di carattere tecnico/giuridico sia di natura più schiettamente politica, oltre ad alcuni dubbi di legittimità costituzionale, già portati all’attenzione della Corte costituzionale. Nel contributo che segue l’Autore illustra i “punti critici” di maggiore evidenza del d.lgs. n. 28/2010 e dei successivi decreti ministeriali di attuazione (D.M. 180/2010 e 145/2011), indicando i correttivi già attuati o da attuare per il superamento della polemica e per garantire alla disciplina legislativa una maggiore razionalità.

L’introduzione nel sistema processuale italiano della disciplina della mediazione è “iniziata” con la legge 18.6.2009 n. 69 (recante delega al Governo in materia di mediazione e di conciliazione delle controversie civili e commerciali); in attuazione di tale legge delega è stato emanato il d.lgs. 5.3.2010 n. 28 (cui sono seguiti i decreti Ministero della Giustizia 18.10.2010 n.180, e 6.7.2011 n. 145), che ha dato piena e completa attuazione alla norma, introducendo (a decorrere dal 20 marzo 2011) il procedimento di mediazione obbligatoria, con l’obbligo di esperire, a pena di improcedibilità, la mediazione prima di dare corso a una azione giudiziaria, per le liti che vertono sulle materie “elencate” nell’art. 5 del d.lgs. n. 28/2010 (diritti reali, divisione, successione ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e da diffamazione o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari; dal 20 marzo 2012 anche per le controversie condominiali e per quelle relative al risarcimento del danno derivante dalla circolazione dei veicoli e natanti).

La mediazione è gestita da un organismo (pubblico o privato) in possesso di una apposita abilitazione, mediante l’iscrizione in un registro tenuto presso il Ministero della Giustizia.

La mediazione, introdotta con l’obiettivo dichiarato di deflazionare il sistema giudiziario e velocizzare i tempi della giustizia, stante la criticità del sistema della giustizia civile, è semplice nella procedura (non sono previste formalità particolari): per accedere alla mediazione per la conciliazione di una controversia civile e commerciale vertente su diritti disponibili, una delle parti deposita una istanza presso un organismo di mediazione (pubblico o privato) riconosciuto dal Ministero; l’organismo di mediazione nomina il mediatore (l’attività di mediazione – che è attività intellettuale – viene svolta dal mediatore, quale ausiliario necessario dell’organismo), contatta la controparte e fissa l’incontro tra le parti, il tutto entro termini “brevi” prefissati dal legislatore (non intercorre tra il mediatore e le parti alcun rapporto di natura contrattuale, il quale intercorre soltanto tra le parti e l’organismo di mediazione da un lato, e tra l’organismo di mediazione e il mediatore dall’altro). Se la controparte non si presenta, il mediatore svolge l’incontro con la parte istante anche in mancanza di adesione della parte chiamata in mediazione, e la segreteria dell’organismo può rilasciare attestato di conclusione del procedimento solo all’esito del verbale di mancata partecipazione della medesima parte chiamata e mancato accordo; se la controparte accetta e si presenta, inizia la procedura di mediazione (se non si presenta, nella successiva causa davanti all’autorità giudiziaria, il giudice potrà desumere da tale comportamento argomenti di prova ai sensi dell’art.116, comma 2, c.p.c.), procedura che deve completarsi entro quattro mesi dalla presentazione dell’istanza.

Le spese del procedimento e della mediazione sono corrisposte dalle parti prima dell’inizio del primo incontro di mediazione. I criteri di determinazione dell’importo dovuto sono disciplinati dall’art.16 del decreto del Ministero della giustizia 18.10.2010 n.180 e successive modifiche introdotte dal DM Giustizia 6.7.2011 n.145 (gli importi dovuti sono indicati nella tabella A allegata allo stesso decreto).

Nonostante i riferiti “nobili” obiettivi, sulla attuale disciplina della mediazione, vengono espresse perplessità dalla Magistratura e dall’Avvocatura, ma in particolare dall’Avvocatura, la cui collaborazione è necessaria per il decollo della mediazione.

Le perplessità sono su alcuni “punti critici” dell’attuale disciplina (il nuovo istituto presenta profili di incostituzionalità, già “riconosciuti” fondati dalla ordinanza del TAR Lazio n. 3202 del 12.4.2011, e dal Giudice di Pace di Parma con ordinanza 1°.8.2011), sia in relazione alla prevista obbligatorietà di accesso alla procedura, che non ha precedenti in nessuno degli altri paesi europei (che pure hanno recepito la direttiva 2008/52/CE), sia in relazione alla mancata previsione della obbligatorietà dell’assistenza legale alle parti, oltre che su ulteriori “punti critici” emersi nella prima fase di applicazione della disciplina della mediazione.

La vigente disciplina, infatti, non prevede criteri per l’attribuzione della competenza degli organismi di conciliazione in base alla dislocazione delle parti sul territorio, con la conseguenza che la “scelta” del “foro” dipende dal mero arbitrio di una delle parti; tale disciplina si presta a facili strumentalizzazioni, favorendo la individuazione di organismi aventi sede lontana dal luogo dell’evento, costringendo la controparte – di norma quella più debole – anche a notevoli disagi sotto l’aspetto economico. Per attenuare le riferite strumentalizzazioni, occorre l’attribuzione della competenza degli organismi di mediazione in base alla dislocazione delle parti sul territorio, con la presentazione della domanda di mediazione ad un organismo di conciliazione avente sede nella circoscrizione dell’ufficio giudiziario competente a conoscere della controversia secondo i principi generali del giudice naturale, ovvero, in mancanza di esso, ad organismo avente sede nella circoscrizione finitima, ovvero, in mancanza, ad un organismo avente sede nello stesso distretto (in tale senso due disegni di legge: n. 2329 e n. 2434). Ciò facilita la partecipazione al procedimento di mediazione delle parti e verrebbero evitate (alle parti) onerose spese di trasferta che colpirebbero soprattutto i soggetti finanziariamente più deboli; la parte, peraltro, per non sopportare onerose spese di “trasferta”, potrebbe optare di non partecipare alla mediazione…ed aspettare la controparte nella sede giudiziaria naturale.

Altro “punto critico” della vigente disciplina sulla mediazione è che non è previsto per la parte (e per l’organismo) che “inizia” la mediazione, l’obbligo di riportare nella richiesta di mediazione una dettagliata specifica delle ragioni della pretesa azionata. Ora, se è pur vero che, in base alla vigente normativa, la genericità della domanda di mediazione non preclude l’inizio della procedura di mediazione, è altrettanto vero, però, che una domanda (di mediazione) non correttamente identificata, o formulata in modo impreciso o vago, potrebbe arrecare pregiudizio agli interessi della parte per addivenire ad una proposta conciliativa; peraltro l’indeterminatezza della domanda, potrebbe vanificare gli effetti interruttivi o sospensivi della prescrizione ed impeditivi della decadenza previsti dal 6 comma dell’art.5 del d.lgs. n. 28/2010. E’ opportuno, quindi, che l’istanza di mediazione contenga anche le dettagliate ragioni della pretesa. Senza considerare, poi, che la genericità della domanda, o l’indeterminatezza della stessa, induce certamente la parte “convenuta” a non partecipare alla mediazione, atteso che dovrebbe partecipare alla prima seduta al “buio”, non conoscendo il petitum e la causa petendi della controversia, e senza alcuna possibilità di difesa (nella lettera di convocazione, di norma, l’organismo di conciliazione “scrive ed avverte” che “ogni ulteriore elemento utile per esperire il tentativo di mediazione verrà esposto dalla parte istante in occasione dell’incontro del……come previsto dalla vigente normativa”).

Ulteriore “correzione” sollecitata è la previsione dell’assistenza legale obbligatoria nella mediazione. Il procedimento di mediazione deve svolgersi in un contesto capace di garantire la necessaria tutela dei diritti delle parti ed una reale consapevolezza degli accordi raggiunti: l’avvocato, con la sua preparazione e competenza, è il solo professionista in grado di garantire non solo gli interessi della parte assistita, ma anche il corretto svolgimento della procedura e il raggiungimento dell’accordo. La presenza dell’avvocato è necessaria ed indispensabile in tutte le fasi della mediazione, sia nella fase che precede la mediazione (predisponendo adeguata domanda di mediazione), sia durante la mediazione (assistendo il cliente nelle varie sessione, redigendo ove necessario memorie, e consigliando il cliente sulle strategie di negoziazione, vigilando anche sulla correttezza della procedura), sia successivamente alla mediazione (ponendo in essere gli adempimenti per la omologazione del verbale di accordo, ed espletando l’attività necessaria per ottenere l’esecuzione degli accordi). L’assistenza obbligatoria dell’avvocato nella mediazione consente, peraltro, al cittadino di comprendere la consistenza delle posizioni giuridiche di cui è titolare (in tale senso è anche il disegno di legge n. 2329 d’iniziativa del senatore Valentini).

Perplessità sono manifestate alla attuale disciplina della mediazione in ordine alla obbligatorietà della mediazione. Sarebbe opportuno facoltizzare il ricorso alla procedura di mediazione eliminando la obbligatorietà, evitando che l’istituto della mediazione possa diventare un intralcio al cittadino, impedendogli l’accesso alla giurisdizione. Peraltro l’obbligatorietà della mediazione introdotta dal d.lgs. n.28/2010 “appare” in contrasto con gli artt. 76 e 77 Cost. per contrasto tra legge delega e decreto legislativo.

Altro punto critico dell’attuale disciplina è stata l’assenza di precisi criteri di verifica della qualificazione per gli organismi ed i mediatori: nella prima “fase” sono “entrati” nella mediazione i soggetti più disparati, del tutto privi di esperienza e conoscenza in ambito giuridico, di adeguata professionalità, competenza, indipendenza e imparzialità (mediatori non dotati di adeguata professionalità, difficilmente potranno risolvere in modo agevole ed adeguato i problemi). Di tale “carenza” si è reso conto lo stesso Ministero, che è intervenuto prevedendo norme più stringenti per evitare le speculazioni e garantire la terzietà, indipendenza e imparzialità dei mediatori e degli organismi di mediazione. In particolare è intervenuto: con la circolare del 13.6.2011, stabilendo che per diventare mediatore è necessario possedere un titolo di studio non inferiore alla laurea triennale, o in alternativa essere iscritti ad un ordine o collegio professionale; con il DM Giustizia 6.7.2011 n. 145 (su cui vi era stato il parere favorevole del Consiglio di Stato n. 2229 del 9.6.2011), in cui è previsto: a) il possesso da parte dei mediatori, di una specifica formazione e di uno specifico aggiornamento almeno biennale, acquisiti presso gli enti di formazione, nonché la partecipazione, da parte dei mediatori, nel biennio di aggiornamento e in forma di tirocinio assistito, ad almeno venti casi di mediazione svolti presso organismi iscritti; b) l’incremento del supporto amministrativo dell’autorità di vigilanza sugli organismi di mediazione e sugli enti di formazione, “consentendo” al direttore generale della giustizia civile, al fine di esercitare la vigilanza, di avvalersi dell’ispettorato generale del Ministero della giustizia.

Quanto alla “correttezza” degli avvocati mediatori, è intervenuto il Consiglio Nazionale Forense (circolare 1.6.2011, n. 13-C-2011), che nella seduta amministrativa del 27.5.2011, ha formulato una proposta di integrazione del codice deontologico forense per disciplinare l’impegno degli avvocati che dovessero fare i mediatori: non solo non potranno assumere la funzione di mediatore senza una adeguata competenza nella materia oggetto del procedimento (sarebbe opportuno un mediatore con una formazione giuridica specifica, laddove deve trattare materie tecniche), ma dovranno guardarsi da ogni conflitto di interesse o incompatibilità (non potrà assumere la funzione di mediatore l’avvocato che abbia in corso o abbia avuto negli ultimi due anni rapporti professionali con una delle parti; l’avvocato che ha svolto l’incarico di mediatore non potrà intrattenere rapporti professionali con una delle parti se non siano decorsi almeno due anni dalla definizione del procedimento).

E’ auspicabile che con l’introduzione dei riferiti “correttivi”, che non stravolgerebbero la mediazione, unitamente ad altri necessari provvedimenti, si attenui la “contrarietà” alla mediazione soprattutto da parte dell’Avvocatura, la cui collaborazione è indispensabile per il “decollo” della mediazione, con evidenti benefici per la giustizia civile.

Pubblicato il 15/09/2011

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