di Angelo Danilo De Santis

1. - L'azione di classe, regolata dall'art. 140 bis cod. consumo e introdotta dall'art. 49 della l. 23 luglio 2009, n. 99, è entrata in vigore il 1° gennaio 2010.

All'entusiasmo per la sua introduzione nel nostro ordinamento, manifestato dai movimenti e dalle associazioni dei consumatori, non sembra sia corrisposta un’ampia applicazione pratica, dato che, alla fine del 2010, le azioni di classe pendenti o già giunte a definizione davanti ai tribunali italiani, e di cui si è avuta notizia, erano soltanto tre.

La prima è stata proposta, davanti al Tribunale di Torino, contro un istituto bancario per far dichiarare la nullità e/o l'illiceità della «commissione per scoperto di conto (C.S.C.)» applicata sui conti non affidati, nonché del «tasso debitore annuo nominale sulle somme utilizzate (T.U.O.F.)» applicato sui conti affidati, chiedendo l’adozione di rimedi in forma specifica e la condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti; l’attore affermava, altresì, di essere titolare di un diritto individuale omogeneo a quello di una pluralità di consumatori, alla luce del fatto che il comportamento illecito tenuto dal convenuto nei suoi confronti era identico a quello posto in essere nei rapporti con una moltitudine di clienti e, dunque, assumeva carattere plurioffensivo.

Il tribunale, con ampia motivazione, dichiarava inammissibile l'azione, ravvisando la mancanza di una concreta e attuale lesione del diritto, in capo al proponente, con conseguente carenza di interesse ad agire, la cui eventuale sussistenza in capo ad altri consumatori, ipoteticamente titolari di un diritto omogeneo a quello dell’attore, sarebbe stata comunque irrilevante (cfr. Trib. Torino 4 giugno 2010, in Foro it., 2010, I, 2523); avverso l'ordinanza veniva proposto reclamo alla corte d'appello, la quale, oltre a precisare che con l'azione di classe sono esperibili soltanto azioni di condanna al risarcimento e/o alle restituzioni, e mai azioni di accertamento mero, confermava sostanzialmente la decisione del tribunale, specificando che non di carenza di interesse ad agire si trattava, ma di manifesta infondatezza della domanda (cfr. App. Torino 27 ottobre 2010, ibid., 3530, con osservazioni di A.D. De Santis).

La seconda azione di classe è stata proposta, davanti al Tribunale di Napoli, nei confronti di un tour operator, per ottenere il risarcimento dei danni subiti in conseguenza dei gravi disagi sofferti da un gruppo di consumatori che, giunti in Zanzibar dopo aver acquistato un «pacchetto tutto compreso», si ritrovavano inaspettatamente in un “cantiere”, a causa della mancata ultimazione dei lavori di costruzione del villaggio.

Il tour operator, con l’atto di costituzione in giudizio, chiamava in causa la compagnia di assicurazione e la società proprietaria del villaggio, con sede in Zanzibar.

Il Tribunale di Napoli, con decreto, differiva (di oltre undici mesi) la data dell’udienza per la valutazione di ammissibilità dell’azione, concedendo termine all’impresa convenuta per effettuare la chiamata in causa dei terzi, implicitamente ammettendo l'estensione soggettiva ed oggettiva della controversia di classe (cfr. Trib. Napoli 31 maggio 2010, in Corriere giur., 2010, 985, con commento di G. Costantino e C. Consolo, nonché in www.judicium.it, con commento di S. Menchini).

La terza azione di classe è stata proposta, davanti al Tribunale di Milano, contro un distributore di prodotti farmaceutici, per sentirne dichiarare la responsabilità da prodotto difettoso, in relazione alla commercializzazione del test anti-influenzale per il virus denominato H1N1, e per far accertare l'adozione di una pratica commerciale scorretta, considerando che il foglio illustrativo recava indicazioni ingannevoli per i consumatori; l'attore domandava, in conseguenza, le restituzioni delle somme pagate a titolo di prezzo d'acquisto e il risarcimento del danno in favore di quanti avessero utilizzato il presidio medico.

Il Tribunale di Milano, all'esito dello svolgimento della prima udienza di comparizione e trattazione, dichiarava inammissibile l'azione di classe proposta con riferimento alla responsabilità da prodotto difettoso, per essere stata proposta la domanda nei confronti del semplice distributore, e non invece nei confronti del produttore; sanciva l'ammissibilità, disponendo per il prosieguo del processo, della domanda risarcitoria fondata sulla scorrettezza della pratica commerciale e sull'inganno perpetrato in danno dei consumatori (cfr. Trib. Milano 20 dicembre 2010, in corso di pubblicazione in Foro it., 2011).

2. - In ciascuno dei tre casi appena elencati, il consumatore proponente, in conformità con la possibilità riconosciuta dall'art. 140 bis, 1° comma, c.p.c., ha conferito mandato ad una associazione di consumatori, affidandole, dunque, la rappresentanza nel processo.

Tale circostanza sembra confermare la tendenza alla gestione, per così dire, “oligopolistica” delle azioni di classe da parte delle associazioni consumeristiche, peraltro giustificabile e prevedibile alla luce della condivisa scarsa appetibilità del nuovo strumento processuale per il singolo consumatore (e per il suo avvocato).

Le principali questioni affrontate dai giudici, che per primi sono stati chiamati ad interpretare le nuove regole processuali di tutela collettiva risarcitoria, hanno riguardato:

- l'ambito soggettivo di applicazione dell'art. 140 bis cod. consumo, con riferimento alla nozione di consumatore (Trib. Torino);

- il tipo di tutela azionabile con l'azione di classe (App. Torino);

- l'ammissibilità della chiamata in causa del terzo nel processo di classe (Trib. Napoli e Trib. Milano);

- la disciplina della prima udienza di comparizione (Trib. Milano);

- la compatibilità costituzionale del giudizio di ammissibilità della domanda (App. Torino).

2.1 - Con riguardo alla prima, il Tribunale di Torino ha confermato che la qualità di consumatore deve essere riscontrabile in capo a chi propone una azione di classe, affinché possa godere della legittimazione ad agire e, quindi, superare il vaglio di ammissibilità della domanda.

Nel caso di specie, l’accertamento della qualità di consumatore, all’interno del processo di classe, è stato fondato sulla verifica della destinazione d’uso del conto corrente bancario, nonostante questa sia risultata in parte riferibile all’attività professionale svolta dall’attore; il collegio si è, dunque, conformato all’orientamento secondo cui la qualifica di consumatore spetta in ogni caso al singolo individuo, se le operazioni riconducibili alla attività professionale da questi svolta si manifestano marginali rispetto a quelle che non lo sono (cfr. Cass. 8 giugno 2007, n. 13377, in Giust. civ., 2008, I, 996; 23 febbraio 2007, n. 4208, in Foro it., 2007, I, 2439).

La scelta del legislatore di limitare l’accesso alla nuova forma di tutela collettiva risarcitoria soltanto al consumatore sembra chiara e si coglie vuoi dalla sedes materiae, rappresentata dalla collocazione dell'azione di classe all’interno del codice del consumo; vuoi dall’incipit del 1° comma dell’art. 140 bis,che si riferisce ai diritti individuali omogenei «dei consumatori e degli utenti», nonché da analoghi riferimenti alla qualificazione soggettiva dei legittimati ad agire (e ad aderire), contenuti anche ai commi 2°, 3°, 12°.

Tale limitazione, pur discutibile sul piano dell'opportunità, appare difficilmente censurabile sotto il profilo della legittimità costituzionale, anche alla luce di quanto affermato da Corte cost. 22 novembre 2002, n. 469 (in Foro it., 2003, I, 332), la quale, come è noto, restrinse la nozione di consumatore, dichiarando l'infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1469 bis, 2º comma, c.c., nella parte in cui non equiparava al consumatore le piccole imprese e quelle artigiane, in riferimento agli art. 3, 25, 1º comma, 41 Cost.

2.2 - La questione del tipo di tutela azionabile con le forme dell'azione di classe, ampiamente dibattuta dagli studiosi, sorge dall'espressione usata dall'art. 140 bis cod. consumo, secondo cui il consumatore «può agire per l'accertamento della responsabilità e per la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni».

Pur autorevolmente sostenuta (R. Caponi, Il nuovo volto della class action, id., 2009, V, 383 s.; M. Bove,Profili processuali dell’azione di classe, in www.judicium.it, § 1, 4), l'opinione secondo la quale l'oggetto dell'azione di classe possa variare e limitarsi anche al semplice accertamento della responsabilità del convenuto non pare essere stato condiviso, sinora, dalla giurisprudenza.

Infatti, la Corte d'appello di Torino, investita in sede di reclamo avverso l'ordinanza di inammissibilità emessa dal Tribunale di Torino, ha confermato l'opinione, maggiormente diffusa in dottrina, secondo la quale l'oggetto del processo di classe può essere soltanto il diritto al risarcimento del danno e/o alle restituzioni conseguenti ad un illecito.

Tale limitazione giocoforza esclude la possibilità che, con l'azione di classe, siano esperite azioni diverse, come quella di accertamento mero finalizzata alla dichiarazione della nullità di clausole contrattuali (cfr. G. Costantino, La tutela collettiva risarcitoria 2009: la tela di Penelope, in Foro it., 2009, V, 388 ss.; A.D. De Santis, L’azione di classe a tutela dei consumatori, in La nuova «class action» e la tutela collettiva dei consumatori, a cura di G. Chinè e G. Miccolis, Roma, 2010, 157 ss.).

Inoltre, in tutti i casi in cui l'illecito lamentato non sia (o non sia ancora) produttivo di un danno, cioè non sia «plurioffensivo», la semplice «situazione di pericolo» nella quale vengono posti i consumatori non è sufficiente a legittimare l'esperimento dell'azione di classe per almeno due motivi:

a) il semplice «accertamento della responsabilità» di chi commette l'illecito deve considerarsi escluso alla luce della natura condannatoria dell'azione di classe, che dunque presuppone sempre una «lite da pretesa insoddisfatta»;

b) esiste nell'ordinamento uno strumento ad hoc a tutela dei consumatori, rappresentato dall'azione inibitoria collettiva ex art. 140 cod. consumo.

Sotto il mero profilo della tecnica processuale, l'esperimento dell'azione di accertamento della responsabilità, promossa con le forme dell'azione di classe, non pare in grado di produrre alcuna utilità né per il proponente, né per gli altri consumatori potenziali aderenti; l'azione inibitoria collettiva, esercitabile soltanto dagli organismi indicati nell’art. 139 cod. consumo (mai, quindi, dal singolo consumatore), è, invece, specificamente finalizzata ad arrestare il perpetrarsi della condotta illecita e ad impedirne la continuazione o la reiterazione.

2.3 - Strettamente connessa con la questione della delimitazione dell'oggetto del processo di classe è quella relativa all'ammissibilità della chiamata in causa del terzo.

Il dato positivo è rappresentato dalla già evidenziata limitazione dell'ambito di applicazione dell’art. 140 bis cod. consumo alle sole azioni di condanna (risarcitoria e restitutoria), nonché dal disposto del 10° comma della medesima disposizione, secondo cui è espressamente vietato l'intervento volontario di terzi nel processo, ai sensi dell'art. 105 c.p.c.

La prima interpretazione fornita in giurisprudenza, dal Tribunale di Napoli, è inequivoca nel senso di ammettere che il convenuto possa chiamare in causa il terzo dal quale intende essere garantito e colui che ritiene il vero obbligato; è implicitamente ammessa anche la possibilità che nel processo di classe vengano esercitate azioni diverse da quelle di condanna al risarcimento e alle restituzioni, quale l’azione di garanzia.

Sennonché, la recente pronuncia del Tribunale di Milano lascerebbe intuire una diversa lettura; il consumatore proponente aveva infatti agito nei confronti del solo «distributore» del prodotto farmaceutico, affermando la sua responsabilità da prodotto difettoso; i giudici milanesi hanno dichiarato l'inammissibilità della domanda, per non essere questa stata proposta nei confronti del «produttore», il quale, a quanto risulta, non era nemmeno stato evocato in giudizio dal convenuto, né tanto meno chiamato dal giudice.

Occorre considerare inoltre che, vuoi la disciplina positiva della responsabilità da prodotto difettoso, contenuta negli art. 114 e ss. cod. consumo (spec. art. 116), vuoi la giurisprudenza (Cass. 1° giugno 2010, n. 13432, in Foro it., Rep. 2010, voce Responsabilità civile, n. 244; v., anche, Cass. 20 giugno 2009, n. 11710, id., 2009, I, 2662) impongono al distributore un onere di indicazione del produttore responsabile ed effettivo obbligato e ammettono la possibilità che questo sia chiamato dalle parti, ovvero convenuto per ordine del giudice.

La mancata estensione soggettiva della controversia di classe nei confronti del produttore, che ha condotto alla dichiarazione di inammissibilità, non è in alcun modo giustificata nella motivazione del provvedimento, ma non parrebbe altrimenti spiegabile, se non alla luce della impossibilità, ravvisata dal tribunale, di estendere soggettivamente la controversia nei confronti del terzo produttore.

Sul punto, si confrontano in dottrina due opposte opinioni.

Una prima (G. Costantino e C. Consolo, Prime pronunce e qualche punto fermo sull'azione risarcitoria di classe, in Corriere giur., 2010, 985 ss.) propende per l'esclusione dell'ammissibilità dell'ingresso nel processo di terze parti, sulla base di due argomentazioni:

a) l'art. 105 c.p.c. è espressamente considerato inapplicabile dall'art. 140 bis, sicché deve escludersi ogni tipo di intervento volontario nel processo, incluso quello cosiddetto adesivo dipendente, quale sarebbe quello di titolari di situazioni giuridiche dipendenti, cioè di creditori, di aventi causa dell’attore e di creditori, di aventi causa (o dell’assicuratore) del convenuto, i quali non possono intervenire volontariamente per sostenere le ragioni del proprio debitore, del proprio dante causa o del proprio assicurato; sarebbe dunque irragionevole ammettere che tali categorie di soggetti possano entrare nel processo se chiamati in causa ex art. 106 e 107 c.p.c.;

b) l'azione di classe è tipica (o speciale) in quanto ha un oggetto limitato che si aggiunge ad altre forme di tutela; allargarlo significherebbe snaturarne gli obiettivi.

Una seconda opinione (S. Menchini, I primi provvedimenti relativi all’azione di classe dell’art. 140-bis cod.consumo, in www.judicium.it), invece, pur escludendo la possibilità che siano chiamati in causa altri consumatori, il che costituirebbe un'evidente anomalia nel sistema delineato dal legislatore, basato sulla partecipazione dei consumatori soltanto mediante l'adesione, propende per l'ammissibilità della chiamata in giudizio dei terzi garanti ovvero dei terzi che siano, in via alternativa o solidale, gli effettivi responsabili dell'illecito.

Anche questa interpretazione sembra fondata su due argomentazioni:

a.1) la causa del consumatore proponente verso il convenuto e quella di quest'ultimo verso il terzo chiamato hanno oggetti diversi e quest'ultimo gestisce la propria causa contro il convenuto o contro entrambe le parti originarie; dunque, non vi è pericolo di un processo nel quale, a causa della pluralità delle parti dal lato attivo, le attività dei titolari dei diritti risarcitori o restitutori omogenei siano duplicate o reiterate;

b.1) le due controversie possono essere trattate e decise congiuntamente e il giudice, compiendo un accertamento unitario, evita il pericolo di giudicati disomogenei: la difformità (eventuale ma possibile) degli accertamenti infatti può pregiudicare gli interessi del convenuto originario che ritiene di dovere essere garantito dal terzo o di essere, in tutto o in parte, esonerato dalla responsabilità ad opera di questo.

Per quanto la seconda opinione possa apparire più armonica sotto il profilo sistematico, la prima sembra maggiormente aderente al dato positivo, dal quale non è agevole prescindere.

2.4 - L'art. 140 bis cod. consumo detta pochissime norme con riferimento alle regole applicabili al processo: il 5° comma dell’art. 140 bis dispone che la domanda si propone con citazioneche deve essere notificata anche all’ufficio del pubblico ministero; l’ultimo periodo del 4° comma stabilisce che il tribunale tratta la causa in composizione collegiale; il 6° comma regola la fase relativa alla decisione sull’ammissibilità; l’11° comma dispone che, una volta ammessa l’azione, il tribunale stabilisce le modalità per la prosecuzione del processo, garantendone la sveltezza e la sollecitudine, nel rispetto del contraddittorio e del diritto alla prova delle parti.

Se pare chiaro che nell'atto introduttivo l'attore cita il convenuto ad un'udienza e che all'esito di questa il collegio decide sull'ammissibilità della domanda, non si ravvisa alcuna indicazione circa la disciplina che deve regolare tale udienza.

Secondo il Tribunale di Milano, non si applica l'art. 183 c.p.c., ma la prima udienza del processo di classe ha la medesima funzione di quella di prima comparizione e trattazione del processo ordinario.

Dunque, le parti, all'udienza, devono poter precisare e modificare le domande e le eccezioni formulate, se del caso previa assegnazione di un termine per il deposito di memorie autorizzate; pur in assenza di un espressa indicazione in tal senso, sembrerebbe ragionevole garantire all'attore la possibilità di proporre le domande riconvenzionali e le eccezioni che siano conseguenza delle domande e delle eccezioni formulate dal convenuto.

Quanto alle richieste istruttorie, i giudici milanesi hanno ritenuto di assegnare un termine per la loro formulazione soltanto dopo aver provveduto sull'ammissibilità della domanda; non sembrano ostare particolari motivi in ordine alla loro proposizione anche in un momento precedente, se del caso, alla stessa udienza di comparizione.

Una tale interpretazione, che esclude l'applicazione degli art. 163 e ss. c.p.c. al processo di classe, si traduce nella sua completa deformalizzazione, con conseguente totale affidamento ai poteri di direzione e controllo del giudice dell'attuazione del contraddittorio tra le parti, della definizione del thema decidendum e del thema probandum e della formazione del suo convincimento.

2.5 - Un'ultima breve notazione riguarda il giudizio di ammissibilità.

Esso rappresenta un passaggio obbligato del processo di classe ed è stato oggetto di critiche, nonché di dubbi di legittimità costituzionale, perché considerato un ostacolo al libero e pieno esercizio del diritto di azione.

La Corte d'appello di Torino ha disatteso questo dubbio, proponendo una analogia con il meccanismo non dissimile previsto dalla l. 13 aprile 1988, n. 117, in tema di responsabilità civile dei magistrati, nei confronti del quale è stato escluso, a più riprese, il dubbio di legittimità costituzionale sulla base della comparazione tra i valori in gioco (cfr., e multis, Cass. 20 ottobre 2006, n. 22540, Foro it., Rep. 2006, voce Astensione e ricusazione, n. 53), ed escludendo, invece, qualsiasi similitudine con il giudizio camerale di ammissibilità dell'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale _ex_art. 274 c.c. (dichiarato incostituzionale da Corte cost. 10 febbraio 2006, n. 50, id., 2006, I, 966).

Tale lettura sembra condivisibile perché nell’azione ex art. 140 bis cod. consumo, il bilanciamento tra i valori in gioco, che giustifica la predisposizione di un meccanismo di filtro all’esercizio della tutela giurisdizionale, sembra riguardare, da un lato, l’esigenza del convenuto di liberarsi in tempi rapidi da azioni di classe pretestuose o palesemente infondate, e, dall’altro, quella dei consumatori, titolari di diritti omogenei a quelli del proponente, di essere tutelati rispetto alla possibilità di aderire ad azioni destinate ad un probabile insuccesso.

Pubblicato il 10/02/2011