di Fabio Cossignani

Il Tribunale di Ascoli Piceno (sez. dist. San Benedetto del Tronto, 3 aprile 2010) ha di recente affrontato un’interessante questione di diritto processuale relativa ai rapporti tra domanda riconvenzionale ed eccezione di compromesso. La decisione può essere così massimata: in caso di contestuale proposizione di domanda riconvenzionale e di eccezione di compromesso, la domanda riconvenzionale non può considerarsi implicitamente rinunciata, specie se è stata espressamente subordinata all’eccezione preliminare di arbitrato irrituale.

Il Giudice piceno – prima di esprimere la propria opinione – ha rilevato l’esistenza, sul punto, di un contrasto giurisprudenziale.

Secondo un primo filone interpretativo [il Tribunale cita Cass., 5 dicembre 2003, n. 18643, in Dir. e Prat. Soc., 2004, 90; Id., 16 dicembre 1992, in Riv. Arbitrato, 1993, 629, con nota di Longo] l’eccezione di compromesso deve intendersi come implicitamente rinunciata a fronte della ulteriore proposizione di domanda riconvenzionale, sussistendo una incompatibilità tra eccezione di incompetenza del giudice ordinario e proposizione davanti allo stesso giudice – ritenuto “incompetente” – di un’autonoma domanda giudiziale.

Secondo un altro orientamento [le sentenze citate in sentenza sono: Cass., 30 maggio 2007, n. 12684, in Rep. Foro It., 2007, voce «Arbitrato», n. 95; Id., 7 luglio 2005, n. 12475, ivi, 2005, voce «Arbitrato», n. 150; Id., 19 dicembre 2000, n. 15941, in Giust. Civ., 2001, I, 1874], in tali fattispecie la domanda riconvenzionale deve considerarsi naturalmente subordinata al rigetto dell’eccezione di compromesso.

Il contrasto è in verità solo parziale. Le sentenze citate dal Tribunale a favore della compatibilità tra domanda riconvenzionale ed eccezione di compromesso hanno tutte deciso fattispecie concrete nelle quali le due attività erano state compiute dal convenuto contestualmente, quindi con un unico atto [alle decisioni citate in precedenza adde Trib. Modena, 22 febbraio 2008, in De Jure Banca Dati; App. Milano, sez II, 24 aprile 2007, cit.; Trib. Modena, 24 maggio 2006, n. 949, inedita; Trib. Belluno, 26 ottobre 2005, in Giur. It., 2006, 1639]. Il principio sotteso è quello secondo cui l’unità inscindibile dell’atto non consente di considerare rinunciate le difese in esso espresse ogni volta che sia agevole desumere – attraverso un semplice procedimento logico – la gradualità delle richieste formulate [v. Cass., 19 dicembre 2000, n. 15941, cit.]. Tali pronunce non sono, quindi, in irriducibile antitesi con quelle che hanno dichiarato implicitamente rinunciata l’eccezione di arbitrato a causa della successiva proposizione di domanda riconvenzionale [questo il caso deciso da Cass., 16 dicembre 1992, cit.; adde, Id., 30 maggio 2007, n. 12736, in Rep. Foro It., 2007, voce «Arbitrato», n. 132]. Trattandosi di atti compiuti in momenti diversi, non può escludersi aprioristicamente che il secondo sia in concreto il frutto dell’abbandono delle difese svolte nel primo.

Un vero e proprio contrasto si profila, in definitiva, solo in rapporto a quelle sentenze che predicano un’implicita rinuncia all’eccezione anche in caso di contestuale proposizione della domanda riconvenzionale [Cass., 15 dicembre 2003, n. 18643, cit.; Trib. Napoli, sez. XI, 18 gennaio 2005, in De Jure Banca Dati]. Le decisioni che si esprimono in tal senso escludono, comunque, che vi sia rinuncia là dove sia espressa ed inequivocabile la subordinazione della riconvenzionale al rigetto dell’eccezione di compromesso.

Sempre su questo tema, particolare interesse riveste anche Trib. Bergamo, 22 aprile 2008 [in Giur. di Merito, 2008, 2545, con nota di Perrone, 3105], che ha affrontato il peculiare caso dell’eccezione di arbitrato sollevata per la prima volta in sede di memoria ex art. 180, 2° co., c.p.c. (testo anteriore alla modifica prodotta dalla l. 14 maggio 2005, n. 80), quando invece la domanda riconvenzionale era già stata ritualmente proposta con l’opposizione a decreto ingiuntivo. Il giudice, configurata l’eccezione de qua come di merito e in senso proprio, ritiene che la domanda riconvenzionale non precluda alla successiva proposizione dell’eccezione, in quanto la strategia processuale va valutata globalmente. Per questa ragione ha considerato una libera opzione difensiva quella del convenuto che, proposte dapprima domanda riconvenzionale e chiamata di terzo, sollevi l’eccezione di compromesso, non ancora preclusa (ex art. 183 c.p.c., prima dell’introduzione del nuovo art. 819 ter c.p.c.), a seguito di analoga eccezione sollevata nei suoi confronti dal terzo chiamato.

Considerato, infine, che prima dell’intervento di Cass., sez. un., 3 agosto 2000, n. 527 [in Riv. Arbitrato, 2000, 699 con nota di Fazzalari, Una svolta attesa in ordine alla “natura” dell’arbitrato] l’eccezione di devoluzione della controversia ad arbitri era qualificata dalla giurisprudenza come eccezione di incompetenza [v., ad esempio, Cass., 24 marzo 1999, in Rep. Foro It., 1999, voce «Arbitrato», n. 146] e tenuto conto del fatto che anche l’odierna lettera della legge si esprime in termini di «competenza» là dove disciplina i rapporti tra arbitri e autorità giudiziaria ordinaria (art. 819 ter c.p.c., così come modificato dal d.lgs. n. 40/2006), la questione risolta dalla sentenza in commento appare affine a quella che concerne la compatibilità tra eccezione di incompetenza in senso proprio e domanda riconvenzionale. Anche per queste ipotesi la giurisprudenza più recente si è espressa nel senso della implicita subordinazione della riconvenzionale al rigetto dell’eccezione di rito [v. Cass., 15 marzo 2005, n. 5572, in Rep Foro It., 2005, voce «Competenza civile», n. 140; Id., 13 aprile 2005, n. 7674, ibid., voce «Competenza civile», n. 139; contra, Trib. Milano, 31 ottobre 1996, in Foro Pad., con nota di Ventura, Domanda riconvenzionale ed eccezione di incompetenza per territorio: suo mutamento ex art. 36 c.p.c.].

Pubblicato il 14/07/2010

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata