di Francesco Fradeani*

1. È indubbia l’importanza teorica e l’interesse pratico del nuovo procedimento sommario di cognizione [v. Mandrioli, Carratta, Come cambia il processo civile, Torino, 2009, 124]. La ratio dell’intervento riformatore è chiara: in primo luogo, accelerare la definizione del più ampio numero di controversie civili, in procinto d’essere instaurate, mediante la predisposizione di un procedimento sommario atipico e decisorio in funzione sostitutiva del processo a cognizione piena in primo grado; in secondo luogo, una volta a regime, ottenere dall’utilizzo del nuovo istituto la progressiva riduzione media della durata dei processi [v. per tutti Biavati, Appunti introduttivi sul nuovo processo a cognizione semplificata, in Riv. Trim. Dir. e Proc. Civ., 2010, 185 e segg.; Carratta, Le “condizioni di ammissibilità” del nuovo procedimento sommario di cognizione, in Giur. It., 2010, 3; Id., Nuovo procedimento sommario di cognizione e presupposto dell’“istruzione sommaria”: prime applicazioni, in ibidem, 2010, 905 e segg.; Lupoi, Sommario (ma non troppo), in www.judicium.it, 23 luglio 2010].

Come sempre, tuttavia, ai buoni propositi debbono seguire fatti corrispondenti, nel senso anzitutto dell’utilizzo di una corretta tecnica normativa, nella piena consapevolezza del quadro sistematico in cui si opera. Fermo restando che anche ottime norme risulteranno ancora una volta inefficaci se ad esse non si affiancheranno le necessarie risorse materiali ed umane, unitamente ad una più moderna riallocazione ed aggiornamento di quelle già disponibili.

A poco più di un anno dall’entrata in vigore degli articoli 702 bis e segg. c.p.c., emergono i primi orientamenti della giurisprudenza di merito [v. ad esempio: Tribunale di Varese, Sez. I, ord. 18 novembre 2009, Tribunale di Mondovì, ord. 12 novembre 2009, Tribunale di Prato, 10 novembre 2009 tutte e tre pubblicate in Giur. It., 2010, 905 e segg., con nota di Carratta. Cfr. Procedimento sommario di cognizione: prime direttive applicative di tribunali, in Foro It., 2010, 49 e segg.].

2. Il Tribunale di Napoli, con ordinanza ex art. 702 ter, comma quinto, c.p.c. del 12 marzo 2010 accoglie, previamente dichiarandola ammissibile, una domanda proposta nelle forme del nuovo rito sommario di cognizione per la condanna al risarcimento danni che trova il suo fondamento in un rapporto locatizio, dunque astrattamente riconducibile ad una delle ipotesi previste dall’art. 447 bis c.p.c. Brevemente, in questo paragrafo elenchiamo le principali argomentazioni addotte a sostengo della decisione per un’analisi critica delle quali si rinvia ai paragrafi che seguono.

A) Il richiamo all’art. 183 c.p.c. da parte dell’art. 702 ter dovrebbe intendersi come non vincolante, dunque anche quale rinvio all’udienza ex art. 420 cpc.

B) L’intera normativa dovrebbe essere interpretata in un’ottica costituzionalmente orientata nel senso di offrire uno rito alternativo, agile, ma al tempo stesso sufficientemente garantista, in un’ottica di decisa riduzione dei tempi processuali in relazione a tutte le controversie che non richiedano un iter istruttorio particolarmente complesso (Cass. S.U. 20.11.08 n. 27531).

C) Non vi sarebbe ragione per assimilare i procedimenti che saranno assoggettati al procedimento sommario secondo i criteri della delega contenuta nell’art. 54, l. n. 69 del 2009 e quello oggi previsto dal codice (artt. 702 bis – 702 quater c.p.c.) caratterizzato, contrariamente ai primi, proprio dalla possibilità per il giudice di cambiare il rito lite pendente.

D) Alcune tipologie di controversie lavoristiche (o previdenziali) e locatizie (occupazioni senza titolo, risoluzioni di contratti di comodato) presenterebbero proprio quei caratteri di semplificazione dell’istruzione, della trattazione e della decisione caratteristici del procedimento sommario, mentre non sempre sarebbe possibile, per queste specifiche tipologie di controversie, l’accesso alla tutela d’urgenza, potendo mancare il periculum in mora.

Infine, l’ammissibilità del procedimento sommario consentirebbe di superare l’ostacolo allo svolgimento del simultaneus processus in caso di connessione tra controversia soggetta al rito locatizio ed altra non locatizia anche in guisa di un’interpretazione costituzionalmente orientata (v. Cass. S.U. 9.10.08 n. 24883) attenta al rispetto del principio della ragionevole durata del processo, quest’ultimo inteso come un servizio da rendersi alla collettività con effettività e tempestività.

Anche il Tribunale di Lamezia Terme, con ordinanza ex art. 702 ter, comma quinto, c.p.c. del 12 marzo 2010 accoglie, previamente dichiarandola ammissibile, la domanda proposta nelle forme del nuovo rito sommario di cognizione per la declaratoria d’intervenuta risoluzione di un contratto di comodato di un impianto di distribuzione di carburanti. Trattandosi di materia astrattamente ricompresa tra quelle previste dall’art. 447 bis c.p.c. il giudice monocratico ritiene comunque applicabili le norme previste dagli artt. 702 bis e ss. c.p.c. sulla base di una serie di considerazioni giuridiche qui di seguito brevemente riassunte, mentre rinviamo per una loro più ampia analisi, anche critica, ai paragrafi che seguono.

A) Il rito sommario di cognizione è ammissibile per tutte quelle cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica ex artt. 50 bis e 50 ter c.p.c. sicché può trovare applicazione anche per le controversie nelle quali diversamente dovrebbe trovare applicazione il rito del lavoro ex art. 447 bis c.p.c.

B) Il secondo comma dell’art. 702 ter c.p.c. subordina la dichiarazione di ammissibilità della domanda alla ricorrenza della condizione di cui al primo comma dell’art. 702 bis c.p.c. il quale si limita a stabilire che il rito sommario di cognizione è precluso per le cause che rientrano nella competenza decisoria del collegio, indipendentemente dal rito prescritto.

C) Il rito sommario di cognizione è un rito alternativo, sia al rito ordinario di cognizione che al rito speciale delle cause di lavoro e assimilabili.

D) Il richiamo del terzo comma dell’art. 702 ter c.p.c. all’art. 183 c.p.c. non ha un significato selettivo dell’utilizzabilità del rito sommario ma deve essere interpretato quale riconoscimento del passaggio da un rito ad un altro, in difetto dei presupposti previsti per quello sommario (con la conseguenza che l’omesso richiamo all’art. 420 c.p.c. costituisce una mera svista, integrabile in via ermeneutica).

E) A tale conclusione può pervenirsi anche in guisa di un’interpretazione costituzionalmente orientata o adeguatrice della norma, poiché diversamente l’esclusione del rito sommario per le cause ex artt. 409 e 447 bis c.p.c. sarebbe priva di ragionevolezza.

F) L’utilità del rito sommario può essere rintracciata anche in confronto alle cause di lavoro ed assimilabili, benché il relativo rito speciale sia connotato dai caratteri della speditezza e celerità, poiché l’introduzione della procedura ex art. 702 bis e seg. c.p.c. si fonda sull’autonomo presupposto della sufficienza di un’istruttoria sommaria, che garantisce una trattazione della causa ancora più snella e deformalizzata e, soprattutto, una definizione del giudizio con modalità più elastiche e semplificate (decisione con ordinanza e non già con sentenza).

3. Il Tribunale di Napoli si è trovato subito a dover decidere sull’ammissibilità o meno della domanda introduttiva, trattandosi di controversia vertente in materia locatizia. La questione viene risolta in senso positivo [contra v. Tribunale di Modena, ord. 18 gennaio 2010, in www.judicium.it. In dottrina, tra coloro che sono invece a favore della compatibilità: Consolo, La legge di riforma 18 giugno 2009, n. 69: altri profili significativi a prima lettura, in Corr. Giur., 2009, 883 e segg.; Olivieri, Il procedimento sommario di cognizione. Primissime brevi note, in www.judicium.it, § 1; Capponi, Note sul procedimento sommario di cognizione (art. 702 bis e segg. c. p. c.), in www.judicium.it, 5; Bina, Il procedimento sommario di cognizione, in Riv. Dir. Proc., 2010, 122]. Anzitutto, la parte motiva del provvedimento affronta il dato letterale concernente l’espresso richiamo al solo art. 183 c.p.c., contenuto nel 3° comma dell’art. 702 ter c.p.c., ritenendolo non vincolante anche quale rinvio all’art. 420 c.p.c. nel rispetto del fondamentale principio della ragionevole durata del processo [v. Cass. Civ., Sez. Un., ord. del 20 novembre 2008, n. 27531, in Rep. Foro It., 2008, voce “Cosa giudicata civile”, n. 16]. In altre parole, siccome il nuovo procedimento sommario ha compiti acceleratori, le disposizioni che lo disciplinano vanno intese nel senso di espanderne il più possibile l’applicabilità. Per contro, non contrasterebbero con tale ricostruzione i principi contenuti nella delega prevista dall’art. 54 della l. n. 69 del 2009 in tema di riduzione dei riti attualmente esistenti [contra Dalfino, Sull’inapplicabilità del nuovo procedimento sommario di cognizione alle cause di lavoro, in Foro It., V, 2009, 396]. Da un lato, infatti, in quest’ultima occasione si tratterebbe di fattispecie astratte che interessano procedimenti del tutto diversi e ciò sarebbe testimoniato anche dall’esclusione della “passerella” alla cognizione piena, in luogo di quanto stabilito dall’art. 702 ter c.p.c., dall’altro il richiamo all’art. 183 c.p.c. non costituirebbe un rinvio diretto ed integrale all’applicazione del procedimento cui tale norma afferisce, bensì l’indicazione più generale di un modello di prosecuzione del giudizio secondo uno schema pienamente compatibile con il rito del lavoro [cfr. Olivieri, cit., § 1]. Ma non solo, molte delle controversie attratte dall’art. 447 bis c.p.c. avrebbero delle caratteristiche di semplificazione analoghe a quelle del sommario di cognizione che, pertanto, agevolmente potrebbe veicolarle. Infine, l’utilizzo degli artt. 702 bis e segg. per le cause soggette al rito locatizio consentirebbe di superare il problema dell’ostacolo al simultaneus processus astrattamente rappresentato dalla contestuale proposizione, ad esempio in via riconvenzionale, di una domanda cui dovrebbe applicarsi, secondo le regole generali, il rito ordinario di cognizione e non l’art. 447 bis. E tale risultato interpretativo anche al fine di meglio garantire la ragionevole durata della Giustizia civile [v. Cass. Civ., Sez. Un., 9 ottobre 2008, n. 24883, in Giust. Civ., 2009, 1, 47 e segg. con nota di Nappi].

Anche il Tribunale di Lamezia Terme, dal canto suo, ha dovuto affrontare il tema dell’ammissibilità o meno del ricorso introduttivo ai sensi dell’art. 702 ter, 2° comma, trattandosi di un giudizio sommario instaurato per dirimere una controversia avente ad oggetto, tra l’altro, l’accertamento dell’intervenuta risoluzione di un contratto di comodato. Anzitutto, il giudicante muove dall’analisi letterale dell’art. 702 bis, 2° comma, c.p.c., così come in effetti richiamato dal 702 ter, 2° comma, nella parte in cui il legislatore delimita l’ambito di applicazione del nuovo rito alle «cause [tutte, ndr.] in cui il tribunale giudica in composizione monocratica» e, pertanto, chiosa in motivazione [v. Olivieri, cit., §1], l’unica espressa esclusione deve ritenersi operante nei confronti delle controversie individuate dall’art. 50 bis, così come sancito dall’art. 50 ter c.p.c. Ancora, non solo il legislatore non distingue il rito con cui il tribunale giudica in composizione monocratica ma, a fortiori, il processo sommario di cognizione deve intendersi alternativo sia a quello ordinario previsto dal secondo libro del c.p.c. agli artt. 163 e segg. che a quello «ordinario (rectius speciale)» applicabile alle controversie di lavoro et similia. Con riguardo poi al mancato richiamo dell’art. 420 c.p.c. da parte del 3° comma dell’art. 702 ter c.p.c., si tratterebbe di «una mera svista integrabile in via ermeneutica» secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata «o adeguatrice della norma» a salvaguardia del criterio di ragionevolezza dell’art. 3 Cost. Infine, viene sottolineato come il nuovo istituto presenti caratteristiche di snellezza, deformalizzazione, elasticità e semplicità tali da costituire, per tutte quelle cause che non hanno bisogno di un’istruttoria articolata e complessa, un quid pluris rispetto al rito del lavoro in termini di concentrazione, speditezza ed oralità. Se ne giustificherebbe pertanto l’utilizzo anche per le fattispecie di cui agli artt. 409, 442 e 447 bis c.p.c. in ossequio al principio della ragionevole durata del processo.

4. L’orientamento in questione continua a non essere persuasivo [cfr. Dalfino, cit., 392 e segg.]. Il problema non è costituito solamente dal richiamo espresso all’art. 183 c.p.c.; è proprio tutto l’impianto normativo del nuovo Capo III bis a riecheggiare il giudizio ordinario quale strumento tipico “alternativo e concorrente” rispetto al nuovo strumento introdotto dalla novella. Come non notare, a monte, che il rinvio agli artt. 163 e 167, sembra costituire il prototipo di una fase introduttiva flessibile, cioè utilizzabile anche in caso di eventuale “passerelle” laddove il giudice ritenga necessaria un’istruzione non sommaria. A valle, lo stesso art. 702 quater, con la sua apertura ai nova e con la possibilità di delegare anche un singolo componente del collegio all’assunzione dei mezzi di prova ammessi, quindi tendenzialmente in una o più udienze successive, si attaglia perfettamente, costituendone semplice integrazione, al sistema previsto nell’appello ordinario dagli articoli 345/356 c.p.c., non invece all’art. 437 c.p.c. ove si prevede, nella medesima udienza, sia l’eventuale assunzione dei mezzi di prova da parte del collegio che la contestuale pronuncia della sentenza [v. Menchini, Il rito semplificato a cognizione sommaria per le controversie semplici introdotto con la riforma del 2009, in Il Giusto Processo Civile, 2009, 1112].

Il sistema delle preclusioni rigide proprie del rito disciplinato dagli artt. 409 e ss., inoltre, mal si addice al sommario di cognizione [v. Dalfino, cit., 394-395], viceversa scevro da qualsivoglia decadenza espressa, se non per quanto concerne quelle previste, appunto, ex artt. 163 e 167, anche nel processo ordinario a cognizione piena. In altri termini, ove si ritenessero applicabili gli artt. 702 bis e segg. anche alle controversie in materia di lavoro dovrebbe comunque applicarsi, altra forzatura esegetica, l’art. 426 c.p.c., dando così la possibilità alle parti di integrare gli atti già depositati. Non può che apparire superficiale, allora, la pretesa automatica sostituibilità del richiamo contenuto nell’art. 702 ter, 2° comma, c.p.c. all’art. 183 con il ben diverso 420 c.p.c.

Ma la tesi sostenuta dalle ordinanze in epigrafe non sembra persuasiva nemmeno per ragioni di opportunità. Il rito previsto dagli artt. 409 e segg., 442 e 447 bis, c.p.c., infatti, è già informato ai canoni dell’oralità, concentrazione ed immediatezza e, tendenzialmente, in caso d’istruttoria non approfondita, può concludersi in un paio di udienze. Viceversa, applicare il nuovo rito sommario alle controversie ordinarie si spiega agevolmente in relazione alla struttura di quest’ultimo, ancora organizzato, secondo uno sviluppo più rigido, in una pluralità di udienze. In definitiva, il concreto vantaggio in termini di durata è tutto da dimostrare. Come se non bastasse, laddove dovesse guadagnarsi un’udienza in primo grado, basta confrontare nuovamente l’art. 702 quater con l’art. 437 c.p.c. per accorgersi che in sede di gravame tale ipotetico risparmio di tempo “evaporerebbe” subito. Non è dunque pertinente il richiamo all’art. 111, 2° comma, Cost., ma nemmeno all’art. 3 Cost. Da quest’ultimo punto di vista, è proprio il principio dell’uguaglianza a garantire trattamenti distinti in situazioni differenti di guisa che l’ontologica specialità dell’uno rispetto all’altro rito può ben giustificare, solo per il primo di essi, la predisposizione di un processo concorrente ed alternativo, più spedito perché sommario, allo scopo di definire più velocemente le controversie di minore complessità [V. Lupoi, cit., § 1, 1]. Sostenere inoltre che l’art. 702 ter necessiti sul punto di un’interpretazione «adeguatrice» significa ritenere la norma addirittura incostituzionale per tale ragione, conclusione che sembra eccessiva. Infatti, la predisposizione di una tutela differenziata per le controversie di lavoro, per communis opinio, ha sempre avuto la funzione di perequare quella che è considerata una condizione sostanziale di ontologico svantaggio del lavoratore nei confronti del datore di lavoro. Anche l’esclusione pacifica delle controversie di competenza del giudice di pace dall’ambito di applicazione del processo sommario può segnare un punto in favore per l’incompatibilità: il procedimento per le cause bagatellari è già concentrato a sufficienza.

In una prospettiva de iure condendo, poi, l’esercizio della delega di cui all’art. 54 della l. n. 69 del 2009 conferma la tesi dell’incompatibilità [cfr. Volpino, Il procedimento sommario di cognizione, in Nuova Giur. Comm., 2010, II, 55-56]. Il fatto che il legislatore preveda un modello di sommario privo di passerella non può certo significare che in verità si tratti di un procedimento diverso da quello previsto dagli artt. 702 bis e segg. Al contrario, siamo di fronte al medesimo rito che, tuttavia, assurgendo, in prospettiva, a modello generale, cioè non nel quadro della diversa e più specifica funzione alternativa al processo ordinario sin qui analizzata, sarà privo del meccanismo a tal uopo individuato dall’art. 702 ter, 3° comma, c.p.c.

Ma quid iuris in caso di utilizzo improprio degli artt. 702 bis e segg.? In dottrina, è stata prospettata la possibilità per il giudice designato di applicare l’art. 426 c.p.c. [v. Dalfino, cit., 396]. Non convince questa interpretazione, né appare opportuna. Dal primo punto di vista, infatti, va rilevato che la declaratoria d’inammissibilità prevista dall’art. 702 ter, 2° comma, è utilizzabile non solo per i casi di errore del ricorrente circa l’individuazione dell’ufficio giudiziario e/o della composizione del giudice chiamato a decidere sulla lite, ma altresì per ogni altra ipotesi che, appunto lato sensu, «non rientra tra quelle indicate nell’art. 702 bis c.p.c.» e tale deve ritenersi, stando all’impostazione qui sostenuta, una fattispecie tra quelle di cui agli artt. 409, 442 e 447 bis c.p.c. Sotto il profilo della coerenza sistematica, inoltre, sembra controproducente ed improprio sostenere l’incompatibilità tra il nuovo rito sommario di cognizione e le controversie regolate dal processo di lavoro, ma al contempo considerare applicabile in seno al primo procedimento una norma del secondo [cfr. Tribunale di Modena del 18 gennaio 2010, cit., Dittrich, Il Nuovo procedimento sommario di cognizione, in Riv. Dir. Proc., 2009, 1586].

Anche nel caso in cui il giudice di prime cure decida con ordinanza ex art. 702 ter, 5° comma, cause di lavoro et similia, non potendosi applicare il rinvio di cui agli artt. 353-354 c.p.c. [si tratta infatti di ipotesi tassative. V. Andrioli, Commento al codice di procedura civile, II, Napoli, 1956, 478; Tarzia, Lineamenti del nuovo processo di cognizione, Milano, 2002, 330], sono prospettabili due diverse soluzioni: o la declaratoria d’inammissibilità, oppure il giudice d’appello dovrà scendere nel merito garantendo in sede di gravame, i.e. aprendo il giudizio ai nova, quella cognizione piena che illegittimamente è stata “aggirata” in primo grado [v., rispetto alla due posizioni in campo, Menchini, L’ultima “idea” del legislatore per accelerare i tempi della tutela dichiarativa dei diritti: il processo sommario di cognizione, in Corr. Giur., 2009, 1033-1034 e Dittrich, cit., 1560]. Riteniamo ancora che la tesi da condividere sia la prima perché maggiormente aderente al dettato normativo e più coerente con l’interpretazione sin qui sostenuta.

Infine, il Tribunale di Napoli afferma che il problema della deroga al principio del simultaneus processus contenuta nell’art. 702 ter, commi 2° e 4°, almeno in un caso di connessione c.d. forte, quella dell’art. 36 c.p.c., cioè ad esempio tra una domanda principale assoggettabile al rito sommario ed una riconvenzionale concernente una causa locatizia, verrebbe automaticamente risolto qualora si accogliesse l’orientamento interpretativo estensivo. Certo in concreto questo è vero, ma se per un verso ci pare argomento tautologico, poiché a quel punto saremmo di fronte al medesimo rito applicabile ad entrambe le domande, per l’altro tale opinio forse prova troppo. Semmai il difetto si trova “a monte” [cfr. Menchini, op. ult. cit., 1029], cioè nella mancata previsione di un giusto coordinamento tra il nuovo procedimento speciale, così come disciplinato, ed il principio dell’art. 40, 3° comma, c.p.c. Inoltre, comunque si otterrebbe un risultato parziale e solo con riferimento al 2° comma dell’art. 702 ter c.p.c. La separazione, rectius la pronuncia d’inammissibilità della riconvenzionale, infatti, continuerebbe ad essere disposta, ad esempio, in ipotesi di proposizione nel medesimo processo di una domanda principale spettante al giudice monocratico ed appunto una riconvenzionale da trattarsi in composizione collegiale, ovvero dal giudice di pace. Così come continuerebbe ad applicarsi la fattispecie di cui al 4° comma del medesimo articolo nel momento in cui la domanda riconvenzionale avente ad oggetto una questione locatizia dovesse rivelarsi non di pronta soluzione [cfr. Luiso, Il procedimento sommario di cognizione, in Giur. It 1569]. Non bisogna dimenticare che vi è un dato letterale insuperabile con cui fare i conti., 2009,

5. L’ordinanza del Tribunale di Lamezia Terme si sofferma anche sul significato da attribuire alla locuzione “istruttoria non sommaria” contenuta nell’art. 702 ter, 3° comma [v. Carratta, Nuovo procedimento sommario di cognizione, cit., § 1; Id., Le “condizioni di ammissibilità”, cit., § 6]. Nella sistemazione del nuovo procedimento sommario di cognizione, si contrappongono due teorie: l’una, minoritaria, ritiene che il processo sommario di cognizione sia un classico procedimento decisorio sommario, a prevalente funzione esecutiva, ma altresì idoneo a divenire incontrovertibile, l’altra immagina invece gli artt. 702 bis e segg. come introduttivi di un rito “semplificato” ma a cognizione piena. Le prime pronunce della giurisprudenza di merito si sono per lo più orientate in favore di questa seconda linea interpretativa.

Pensiamo che il processo sommario di cognizione vada qualificato come tale, cioè a cognizione sommaria, tra l’altro in ragione del fatto che il legislatore assegna al giudice, appunto ex art. 702 ter, 5° comma, c.p.c., il potere di formare il proprio convincimento con assoluta discrezionalità [cfr. Graziosi, La cognizione sommaria del giudice civile nella prospettiva delle garanzie costituzionali, in Riv. Trim. Dir. e Proc. Civ., 2009, 141], i.e. «procede[ndo] nel modo che ritiene più opportuno»[v. Mandrioli, Carratta, cit., 155-156]. Certo l’aggettivo «rilevanti», in relazione alle prove da assumere, in luogo del diverso «indispensabili» contenuto nell’art. 669 sexies c.p.c. restringe di molto, appunto in confronto al rito cautelare, i poteri discrezionali del giudice, che sarà perciò tenuto nel sommario a considerare tutte quelle richieste di prova, compatibili con un’istruzione sommaria, funzionali all’accertamento della verità dei fatti; del pari, altra differenza rispetto all’analoga formulazione prevista nel procedimento cautelare riguarda il riferimento, nel primo caso, all’oggetto del provvedimento, dunque al merito trattandosi quella del sommario di una tutela decisoria, in luogo del richiamo ai presupposti e fini che evoca invece, nell’art. 669 sexies, i classici fumus boni iuris e periculum in mora.

In ogni caso, però, parlare di procedimento “semplificato”, ma a cognizione piena [v. Dittrich, cit., 1587 e segg.; Biavati, cit., 186 e segg.; Consolo, cit., 742-743; Arieta, Il rito «semplificato» di cognizione, in www.judicium.it, § 1] è fuorviante poiché semplificazione è sinonimo di sommarietà della cognizione rispetto alle forme predeterminate del processo ordinario, appunto per tale ragione a cognizione piena [v. Mandrioli, Carratta, cit., 141 e segg.]. Né ci pare possa valere la distinzione tra forma del procedimento, sommaria o semplificata che dir si voglia, e qualità della cognizione che sarebbe piena [v. Tribunale di Verona, ord. del 5 febbraio 2010, in Giur. di Merito, 2010, 9, con nota adesiva di Biavati]. Se infatti è vero che un procedimento sommario nelle forme può anche concludersi con un provvedimento che è a cognizione piena, quest’ultima nel senso del tipo o qualità di accertamento compiuto sui fatti di causa [cfr. Punzi, Il processo civile, Sistemi e problematiche, I procedimenti speciali e l’arbitrato, III, Torino, 2010, 4-5-6], è parimenti vero che nella tradizione chiovendiana quando si parla di processo sommario deve intendersi tale accezione con riguardo esclusivo alle forme del procedimento ed avendo come termine di paragone quello ordinario caratterizzato dalla rigida predeterminazione legale delle stesse [cfr. Carratta, Le “condizioni di ammissibilità”, cit., § 5]. E la ragione di ciò, a nostro parere, risiede soprattutto nella necessità di risolvere il problema delle garanzie nel sistema di tutela giurisdizionale dei diritti.

Se infatti per stabilire cosa è sommario e cosa non lo è si utilizza come base di confronto il profilo oggettivo, cioè formale e strutturale del giudizio, si ha la possibilità di individuare agevolmente il confine tra l’una e l’altra categoria [v. Proto Pisani, Verso la residualità della cognizione piena?, in Foro It., V, 2006, 53 e segg.]. Spostando invece l’attenzione sulla qualità della cognizione si introduce una variabile soggettiva che rende impossibile un razionale, efficace, controllo a posteriori circa la reale natura del procedimento [cfr. Proto Pisani, Usi e abusi della procedura camerale, ex art. 737 ss. c.p.c., in Riv. Dir. Civ., 1990, I, 412]. Cosa infatti è cognizione piena dal punto di vista dell’accertamento? Non può certo bastare l’attribuzione legale dell’efficacia di giudicato sostanziale e formale al provvedimento poiché, solo per fare un esempio, tale caratteristica è posseduta anche dal decreto ingiuntivo [v. Cass. Civ., Sez. III, 11 maggio 2010, n. 11360, in Mass. Giust. civ., 2010, 5, Lanfranchi, Cognizione sommaria e accertamento, Milano, 1980, 1 e segg.].

Se poi si sposta il piano dell’indagine sul terreno del diritto comparato [v. De Cristofaro, Case management e riforma del processo civile, tra effettività della giurisdizione e diritto costituzionale al giusto processo, in Riv. Dir. Proc., 2010, 303 e segg.], il risultato dell’analisi che precede, a nostro avviso, viene confermato. Si pensi al summary judgment disciplinato dalla rule 24 delle C.P.R. inglesi [v. Ching, Civil Procedure: Part 24 – How Real Is a Real Prospect of Success?, in Nott. L. J., 8 (2), 1999, 28 e segg.]. Anche oltremanica, una cosa è la cognizione piena, il fair trial, che si declina nei tre modelli calibrati al variare della complessità della lite, i.e. lo small claims track, il fast track ed il multi-track [v. Zuckerman, On Civil Procedure, 2006, Oxford, 482 e segg.; Sime, Civil procedure (A practical approach to), Oxford, 2006, 279 e segg.], diversa cosa è la cognizione sommaria rappresentata anche dal summary judgment. Quest’ultimo rito, si distingue dai precedenti perché, pur concludendosi con un provvedimento idoneo alla res judicata, non prevede affatto il passaggio al trial e viene utilizzato nei casi di manifesta fondatezza/infondatezza di tutte o parte delle domande articolate nella fase preparatoria della causa, denominata pre-trial. In Francia, ci sembra naturale l’accostamento con la ben nota procédure en référé [v. Couchez, Le référé-provision : mesure ou démesure ?, in Mélanges Pierre Raynaud, 1985, Dalloz-Sirey, Parigi, 161 e segg], quantomeno con riguardo al meccanismo della “passerelle”. Tuttavia, oltralpe la “passerella” è tra mesures provisoires, non decisorie, e jugement sur le fond, non come si opina in Italia per l’art. 702 ter c.p.c., tra cognizione piena “semplificata” e cognizione piena “non semplificata”. In Inghilterra, così come in Francia, l’idea di fondo è quella di evitare il formalismo tutte le volte in cui ciò sia possibile. Tale condivisibile risultato però viene ottenuto non approntando un surrogato del giusto processo, bensì avvalendosi di procedimenti che sistematicamente sono altra cosa rispetto al fair trial ovvero al litige en plein droit [v. Canella, Gli accordi processuali francesi volti alla «regolamentazione collettiva» del processo civile, in Riv. Trim. Dir. e Proc. Civ., 2010, 549 e segg.]. I processi sommari sono poi “collegati” a quelli ordinari tramite il meccanismo della passerelle su istanza di parte, o comunque affidando anche al giudice il potere di trasformare il rito, nel caso in cui, rispettivamente, difettino o sussistano i presupposti per l’adozione della corsia “semplificata”. Tale tecnica normativa però non incide affatto sulle garanzie perché, mentre la legislazione francese ha addirittura scelto di relegare i référés nell’alveo dei provvedimenti con funzione esecutiva ma privi di natura decisoria [v. Heron, Localisation de l’autorité de la chose jugée ou rejet de l’autorité positive de la chose jugée?, in Mélanges Perrot, Dalloz, 1995, 137], nel summary judgment è prevista la possibilità di chiedere l’appello che, se concesso, consente di ridiscutere la lite, sebbene in casi eccezionali, con la pienezza di poteri, fair trial compreso, del giudice di primo grado, oppure di rinviare la causa a quest’ultimo [cfr. Caponi, L’appello nel sistema delle impugnazioni civili (Note di comparazione anglo-tedesca), in Riv. Dir. Proc., 2009, 631 e segg.].

Tornando in Italia, nemmeno può essere sottovalutato il tenore letterale della rubrica del nuovo Capo III bis ma, soprattutto, la collocazione sistematica dell’istituto all’interno del Libro IV del codice di rito tra i cautelari ed i possessori [contra Caponi, Sulla distinzione tra cognizione piena e cognizione sommaria (in margine al nuovo procedimento ex art. 702 bis e segg. c.p.c.), in Il Giusto Processo Civile, 2009, 1117]. Infine, la tesi maggioritaria non riesce a spiegare perché il legislatore abbia sentito la necessità di predisporre un appello aperto ai nova. Avendo riguardo al tenore letterale dell’art. 702 quater, infatti, laddove il procedimento sommario fosse in realtà un modello semplificato di cognizione piena non vi sarebbe alcuna ragione di imporne la ripetizione in sede di gravame.

La genesi degli artt. 702 bis e segg. c.p.c. deve probabilmente rinvenirsi in una rivisitazione dell’abrogato art. 19 d.lgs. n. 5 del 2003 [cfr. Carratta, Processo sommario societario e limiti dell’appello avverso l’ordinanza: riflessioni de iure condito e prospettive de iure condendo, in Giur. It., 2008, 11, § 5 ed in nota 13]. Come noto, in quell’occasione l’art. 20 non aveva previsto un’espressa apertura ai nova in secondo grado richiamando sic et simpliciter, o così almeno poteva sembrare ad una prima lettura, il rito ordinario d’appello e dunque anche l’art. 345 c.p.c. Sin da subito, in proposito, erano apparse forti critiche [v. Carratta, I nuovi riti speciali societari, tra “decodificazione” e “sommarizzazione”, in Lanfranchi, Carratta (a cura di), Davanti al giudice. Studi sul processo societario, Torino, 2005, 79 e segg.] nei confronti del testo normativo proprio perché si otteneva la res iudicata al termine di due giudizi sommari, difettando dunque la cognizione piena in almeno un grado. Ebbene, recentemente la Suprema Corte ha risolto il problema avvalendosi di un’interpretazione costituzionalmente orientata della clausola di compatibilità contenuta nel medesimo art. 20, 2° comma, considerando il giudizio d’appello come «il primo grado a cognizione piena del relativo processo» [v. Cass. Civ., Sez. I, 11 luglio 2008, n. 19238, in Riv. Dir. Proc., 2009, 494 e segg. con nota adesiva di Tiscini, Primi interventi della Corte Suprema sul procedimento sommario di cognizione nelle controversie societarie.]. Anche qui la scelta del novellatore mediante la predisposizione degli artt. 702 bis e segg., spec. dell’art. 702 quater e contestuale abrogazione degli artt. 19 e segg. d. lgs. n. 5 del 2003, pare proprio andare nel senso di una presa d’atto formale, “adeguatrice”, dei risultati esegetici raggiunti dalla giurisprudenza di legittimità.

6. Il procedimento sommario di cognizione costituisce un anello molto importante nella catena di interventi volti a risolvere il grave problema della lentezza del processo civile italiano. Purtroppo si tratta di un obiettivo illusorio finché si continuerà a focalizzare l’attenzione solo sulle norme processuali e non anche su una nuova e più organica visione del sistema giudiziario nel nostro Paese [v. Carratta, Le “condizioni di ammissibilità”, cit., § 1].

Per ora l’utilizzo di questo nuovo strumento da parte dei pratici è stato limitato [cfr. Biavati, Alla prova il nuovo rito a cognizione semplificata, in Giur. di Merito, 9, 2010, § 5]. Il tempo trascorso, peraltro, non è sufficiente per dare un giudizio definitivo [cfr. ancora Biavati, op. ult. cit., § 5 e Caponi, Sulla distinzione, cit., 1124]. Anche le prime pronunce edite, solo in apparenza paiono delineare una strada esegetica condivisa, molte sono infatti le sfumature su aspetti non marginali.

Al di là della naturale contrapposizione tra le forti critiche di alcuni [v. Proto Pisani, La riforma del processo civile: ancora una legge a costo zero (note a prima lettura), in Foro It., V, 2009, 223, Monteleone, A proposito di una incipiente riforma del processo civile, in Il Giusto Processo Civile, 2008, 1108] e gli entusiasmi di altri [v. Consolo, cit., 737 e 743, Biavati, Appunti introduttivi, cit., 195, De Cristofaro, cit., 303 e segg.], compito del giurista è quello di fornire un’interpretazione delle norme vigenti coerente e rispettosa dei principi costituzionali. Da quest’ultimo punto di vista, siamo convinti che se gli artt. 702 bis e segg. verranno intesi come modello di un primo grado a cognizione sommaria e di un appello a cognizione piena un primo serio profilo d’incostituzionalità sarà scongiurato [v. Carratta, Le “condizioni di ammissibilità”, cit., § 5 e segg.]. Viceversa, per quanto concerne le fortune applicative di questo nuovo rito, molto dipenderà anche dalla possibilità o meno di realizzare nei singoli uffici giudiziari corsie preferenziali poiché, al contrario, se cioè per arrivare alla celebrazione della prima udienza dovranno attendersi molti mesi, anche questo ennesimo tentativo sarà risultato vano [cfr. Biavati, op. ult. cit., 196. Ma v. anche Menchini, Il rito semplificato,cit., 1113].

* Dottore di ricerca

Pubblicato il  25/10/2010