La disciplina sul processo civile telematico purtroppo non è sempre chiara, anche a causa di una complessa stratificazione di norme di diverso rango, talvolta mal coordinate tra loro (v., sul tema delle fonti, Poli, G.G., Il processo civile telematico e il dialogo tra le sue fonti, in Il processo civile telematico nel sistema del diritto processuale civile, a cura di G. Ruffini, Milano, 2019, 1 ss.).

Tuttavia, come è ovvio, vi sono anche disposizioni limpide e difficilmente fraintendibili. Tra queste vi è l’art. 16 ter, co. 1, d.l. 18.10.2012, n. 179, a mente del quale «ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale si intendono per pubblici elenchi quelli previsti dagli articoli 6 bis, 6 quater e 62 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, dall'articolo 16, comma 12, del presente decreto, dall’articolo 16, comma 6, del decreto legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, nonché il registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della giustizia».

In particolare, l’art. 6 bis d.lgs. n. 82/2005 (cd. codice dell’amministrazione digitale, in breve c.a.d.) si riferisce al cd. registro INI-PEC (Indice nazionale dei domicili digitali delle imprese e dei professionisti, istituito presso il Ministero per lo sviluppo economico).

Ne consegue che l’indice INI-PEC è pubblico registro ai fini dell’esecuzione di valide comunicazioni e notificazioni in materia civile.

Ciononostante, nella giurisprudenza della Cassazione si sono registrati alcuni provvedimenti non in linea con la lettera della legge, a partire da Cass., sez. III, 8.2.2019, n. 3709.

Di fatto, si è affermata l’inutilizzabilità degli indirizzi presenti nell’INI-PEC, a beneficio di una sorta di esclusività del ReGIndE (Registro generale degli indirizzi elettronici).

Tali arresti giurisprudenziali hanno peraltro creato agitazione tra gli operatori pratici, in particolare tra gli avvocati, preoccupati per l’efficacia di numerose notificazioni compiute “in proprio” (art. 3 bis l. 21.1.1994, n. 53) e ancora sub iudice (preoccupazione che, tra l’altro, ha condotto il Presidente dell’A.N.F. ad inviare una lettera al Primo Presidente della Cassazione).

Fortunatamente, l’incertezza è stata superata dalla recente Cass. n. 29749/2019.

Sembra comunque opportuno ripercorrere l’evoluzione giurisprudenziale, per evidenziare la causa dell’errore interpretativo e le modalità con cui la Cassazione ha deciso di porvi rimedio.

Cass. n. 3709/2019: la genesi

Il Ministero dell’Economia proponeva ricorso per cassazione avverso una sentenza di appello che era stata notificata a mezzo pec all’Avvocatura dello Stato presso «un indirizzo risultante dall’Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC), ma non registrato al Registro generale degli indirizzi elettronici (ReGIndE) gestito dal Ministero della giustizia. In particolare, l’indirizzo elettronico in questione [era] utilizzato dall’Avvocatura dello Stato per scopi amministrativi e non giudiziali» (testualmente dalla sentenza).

Si trattava di stabilire se tale notificazione fosse valida: in caso di risposta affermativa, l’impugnazione avrebbe dovuto dichiararsi tardiva e inammissibile.

La Corte ha ritenuto inefficace la notificazione, esprimendo il seguente principio di diritto: «Il domicilio digitale previsto dall’art. 16 sexies del d.l. n. 179 del 2012 … corrisponde all’indirizzo PEC che ciascun avvocato ha indicato al Consiglio dell’Ordine di appartenenza e che, per il tramite di quest’ultimo, è inserito nel Registro Generale degli Indirizzi Elettronici (ReGIndE) gestito dal Ministero della giustizia. Solo questo indirizzo è qualificato ai fini processuali ed idoneo a garantire l’effettiva difesa, sicché la notificazione di un atto giudiziario ad un indirizzo pec riferibile – a seconda dei casi – alla parte personalmente o al difensore, ma diverso da quello inserito nel ReGIndE, è nulla, restando del tutto irrilevante la circostanza che detto indirizzo risulti dall’Indice Nazionale degli Indirizzi di Posta Elettronica Certificata (INI-PEC)».

In virtù di tale ragionamento, ha concluso che «la notificazione della sentenza impugnata presso un indirizzo elettronico dell’Avvocatura dello Stato diverso da quello inserito nel ReGIndE non è idonea a far decorrere il termine per l’impugnazione, ai sensi dell’art. 326 c.p.c.».

Occorre però prestare attenzione specifica al fatto processuale. Sembra infatti che vi sia stato un fraintendimento o quantomeno un’errata percezione della fattispecie concreta. Detto in altri termini, il fatto narrato appare piuttosto inverosimile.

In particolare, non si comprende come un indirizzo pec dell’Avvocatura dello Stato possa essere stato estratto dal registro INI-PEC, dal momento che questo raccoglie gli indirizzi di professionisti ed imprese.

È dunque probabile che la Corte abbia erroneamente riportato la fattispecie processuale così come descritta dalle parti ovvero che l’abbia erroneamente ricostruita.

Tra i commentatori vi è chi ha ipotizzato che la Corte abbia confuso registro INI-PEC e IPA (Indice delle pubbliche amministrazioni): infatti, l’art. 45 bis d.l. 24.6.2014, n. 90 ha escluso quest’ultimo dal novero dei registri utilizzabili ai sensi dell’art. 16 ter l. n. 179/2012.

La ricostruzione proposta è probabilmente corretta. Infatti, nell’IPA (consultabile in indicepa.gov.it) risultano indirizzi riferibili all’Avvocatura dello Stato diversi da quelli presenti in ReGIndE e la differenziazione corrisponde ai due diversi indirizzi che sono indicati nel sito internet dell’Avvocatura e nelle pagine delle diverse: uno per la corrispondenza istituzionale (ad es.: roma@mailcert.avvocaturastato.it, presente anche nell’IPA) e l’altro relativo alla comunicazioni e notificazioni processuali (ad es.: ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it, presente in ReGIndE) (avvocaturastato.it).

Se così è, la conclusione cui giunge la Corte, secondo la quale per la notificazione all’Avvocatura di regola non può essere utilizzato l’indirizzo presente in un registro diverso dal ReGIndE, è condivisibile (salva la precisazione che verrà compiuta infra).

Tuttavia, il principio di diritto espresso è palesemente errato. Infatti, vi si dà ad intendere che, in generale, il registro INI-PEC – così come ogni altro registro diverso dal ReGIndE – non sia un registro da cui poter estrarre indirizzi validi ai fini notificatori.

Peraltro, l’errore si rivela anche più grave in ragione del fatto che la sentenza si (auto)dichiara in linea con la giurisprudenza precedente: tuttavia, i provvedimenti invocati a sostegno (Cass., 14.12.2017, n. 30139; Cass., 25.5.2018, n. 13224) hanno affrontato questioni radicalmente diverse, prive di tangibile connessione logica col caso sottoposto alla Corte.

Cass. n. 24110/2019: un falso allarme

La sentenza 3709/2019 ha subito ricevuto delle ferme e condivisibili critiche, accompagnate dall’auspicio che il precedente restasse isolato e presto smentito.

Tuttavia, la pubblicazione di due altre ordinanze ha portato nuova agitazione tra gli operatori pratici.

La prima è Cass., sez. VI-1, 27 settembre 2019, n. 24110. La questione riguardava ancora una volta la validità di una notificazione effettuata a mezzo pec all’indirizzo istituzionale dell’Avvocatura dello Stato anziché a quello presente in uno dei pubblici registri indicati dalla legge.

Tuttavia, il provvedimento non ripropone il principio espresso da Cass. n. 3709/2019. Nella parte centrale della motivazione, la Corte si limita a richiamare testualmente l’argomento espresso da Cass., 11.5.2018, n. 11574, ossia che, per i soggetti diversi da quelli contemplati dal registro INI-PEC (professionisti e imprese) dal registro PA (cittadini residenti e amministrazioni pubbliche), registro delle imprese (imprese costituite in forma societaria), l’unico registro da cui possono essere estratti gli indirizzi utili è il ReGIndE.

L’ordinanza n. 24110 non desta quindi particolari perplessità. Si direbbe “un falso allarme”.

Vanno in ogni caso formulate due obiezioni.

La prima: non è corretto affermare che gli indirizzi dell’Avvocatura dello Stato si possano estrarre solo da ReGIndE, perché concorre con esso il registro PA (art. 12, co. 12, d.l. n. 179/2012, da non confondere con l’IPA). Vero è che nel ReGIndE e nel registro PA gli indirizzi riferibili all’Avvocatura sono gli stessi. Tuttavia, se per avventura nei due registri risultassero indirizzi diversi, il notificante avrebbe la facoltà di notificare alternativamente all’uno o all’altro indirizzo.

La seconda: in termini più generali e per le medesime ragioni, è parimenti errata l’asserzione secondo cui «l’indirizzo del destinatario al quale va trasmessa la copia informatica dell’atto è, per i soggetti i cui recapiti sono inseriti nel Registro generale degli indirizzi elettronici gestito dal Ministero della giustizia (ReGIndE), unicamente [enfasi aggiunta] quello risultante da tale registro».

Cass. n. 24160/2019: un effettivo campanello d’allarme

Purtroppo, gli errori argomentativi compiuti da Cass. n. 3709/2019 si ripropongono nella ordinanza della sez. VI-3, 27 settembre 2019, n. 24160.

Il caso concreto era di certo singolare.

Per quanto di interesse in questa sede, basti considerare che si trattava di un ricorso per regolamento di competenza notificato a un magistrato, contro cui era stata promosso giudizio di querela di falso. Secondo quanto riferito nel provvedimento:

  • nel giudizio di merito, vi era stata un’elezione di domicilio da parte del magistrato – a quanto pare costituito personalmente – «presso l’avvocato Tribunale di Firenze» (presumibilmente si tratta della elezione di domicilio così come riferita dal ricorrente nell’atto di impugnazione ovvero nella relata di notificazione);

  • l’atto era stato notificato a «un indirizzo di posta elettronica che è quello della cancelleria dell’immigrazione del Tribunale di Firenze, ovvero anche all’indirizzo di posta elettronica del Protocollo del Tribunale di Firenze, estratto dall'indice nazionale degli indirizzi INI-PEC».

La Corte ha in prima battuta dichiarato inammissibile il ricorso per violazione dell’art. 366, co. 3, c.p.c. Ad abundantiam, ha ribadito comunque l’inammissibilità del ricorso in quanto la notificazione era stata compiuta presso un indirizzo estratto da INI-PEC, già dichiarato inattendibile da Cass. 3709/2019.

Salvo errore, ci sembra anche qui impossibile che l’indirizzo del protocollo del Tribunale possa essere stato estratto dal registro INI-PEC. Anzi, il registro del protocollo del Tribunale di Firenze neppure risulta in uno degli altri registri previsti dalla legge. Invece, l’indirizzo della cancelleria dell’immigrazione è contenuto nel ReGIndE.

Ne consegue che l’attendibilità del registro INI-PEC, oltre ad essere errata, era comunque irrilevante ai fini della decisione.

Al più, potevano rilevare altre questioni: ad esempio, se l’elezione di domicilio «presso l’avvocato Tribunale di Firenze» fosse valida e riferibile a uno dei due indirizzi poi usati per la notificazione (cancelleria dell’immigrazione, risultante da ReGIndE, ovvero protocollo del Tribunale); oppure, in caso di inefficacia di tale elezione di domicilio digitale, se la notificazione presso di questo o comunque presso i due indirizzi utilizzati configurasse una mera nullità o una inesistenza della notificazione.

Cass. n. 29749/2019: la correzione di Cass. n. 24160/2019

La reiterazione dell’errato principio espresso già da Cass. n. 3709/2019 ha rinnovato la preoccupazione degli avvocati.

La Corte ha dunque ritenuto opportuno intervenire d’ufficio con l’ordinanza n. 29749/2019 per emendare l’ordinanza n. 24160/2019, mediante procedimento di correzione dell’errore materiale (art. 391 bis c.p.c.).

Pur senza approfondire l’argomento, sorprende innanzitutto lo strumento usato. Infatti, la Corte, in maniera alquanto discutibile, fa rientrare nella nozione di errore materiale anche l’errore – chiaramente di diritto – sulla motivazione, purché il vizio di questa non incida sul dispositivo.

Venendo alle ragioni che fondano la correzione, la Corte dichiara in primo luogo l’irrilevanza, ai fini del decidere, dell’idoneità oggettiva del registro INI-PEC. Con l’occasione, lascia intendere anche l’erroneità della giurisprudenza che ne ha dichiarato l’inattendibilità, sia quando richiama e conferma l’insegnamento di Cass., S.U., 28.9.2018, n. 23620, sia là dove anticipa che è in corso il procedimento di correzione anche della sentenza n. 3709/2019.

Inoltre, individua la ratio decidendi nella circostanza che le notificazioni ai due indirizzi, rispettivamente della cancelleria e del protocollo, non erano soggettivamente riferibili al magistrato, e questo indipendentemente dalla loro estrazione dal ReGIndE o da INI-PEC ed indipendentemente anche dall’eventuale elezione di domicilio del magistrato presso uno di questi indirizzi.

Il provvedimento corretto così si esprime: il ricorso deve essere dichiarato inammissibile «a prescindere dal fatto che il ricorso è stato notificato a mezzo PEC al M. “con elezione di domicilio presso l'avvocato Tribunale di Firenze” (sic) a un indirizzo di posta elettronica della cancelleria dell'immigrazione del Tribunale di Firenze (presente nel ReGIndE) e ad un indirizzo di posta elettronica del Protocollo del Tribunale di Firenze, estratto dall'indice nazionale degli indirizzi INI-PEC, senza che essi siano riferibili alla posizione del M., tenuto conto che la notifica ad un magistrato non si comprende come possa validamente essere effettuata presso l’indirizzo di posta elettronica della cancelleria dell’immigrazione o presso l’ufficio del protocollo del tribunale di appartenenza sul presupposto di una inesistente elezione di domicilio da parte del magistrato ai sensi dell’art. 141 c.p.c., comunque in alcun modo è configurabile ai sensi di tale norma».

In definitiva, con tale provvedimento, la Corte:

  1. accerta che gli indirizzi utilizzati nella specie non sono riferibili soggettivamente al magistrato convenuto;

  2. sostiene che non vale a determinare un collegamento soggettivo nemmeno l’elezione di domicilio effettuata dal magistrato, sia perché tale elezione era di fatto “inesistente” sia perché sarebbe stata comunque “inefficace”;

  3. indirettamente, conferma la piena attendibilità del registro INI-PEC.

Conclusioni

Il percorso giurisprudenziale riportato si è dunque concluso con un lieto fine.

Infatti, tutto sommato, vi sono due buone notizie.

La prima (ultima in ordine logico) è che, grazie a Cass. n. 29749/2019, il registro INI-PEC è pienamente riabilitato anche nella giurisprudenza della Corte, oltre ad esserlo sempre stato nel diritto vigente.

L’altra buona notizia è data dal fatto che gli errori commessi dalla Corte prima del chiarimento non hanno determinato gravi ingiustizie a danno delle parti coinvolte: infatti, le decisioni in concreto assunte, benché mal motivate, erano probabilmente esatte o, se si vuole, non macroscopicamente sbagliate.

Tuttavia, la vicenda ha anche un aspetto negativo. In particolare, non possono tacersi tre circostanze: la Corte ha commesso un grave errore (Cass. n. 3709/2019), lo ha reiterato (Cass. n. 24160/2019) e, infine, per placare in tempi brevi la platea di operatori in agitazione, ha mascherato la smentita di se stessa sotto il vestito, non adeguato all’occasione, della mera correzione dell’errore materiale (Cass. n. 29749/2019).

Immagine: Palazzo senatorio, Campidoglio, Roma, di Valter Cirillo <a href="https://pixabay.com/it/users/valtercirillo-3274677/?utm_source=link-attribution&utm_medium=referral&utm_campaign=image&utm_content=2078660">Valter Cirillo</a> da <a href="https://pixabay.com/it/?utm_source=link-attribution&utm_medium=referral&utm_campaign=image&utm_content=2078660">Pixabay</a>
Pubblicato il 22/01/2020