Contumacia e processo equo

Papagno, Claudio

Claudio Papagno
Contumacia e processo equo
Giuffré editore
2010
pp. XII – 322

 

 




La mancata presenza dell’imputato al processo è un problema che, da sempre, contrappone l’ordinamento italiano alle fonti sovranazionali in generale e alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo in particolare. Quest’ultima, nel delineare le caratteristiche semantiche del processo equo, non impone la presenza obbligatoria dell’accusato ; tuttavia, tenuto conto dell’importanza cruciale che la presenza stessa riveste per il corretto esercizio di tali prerogative, la mancata comparizione è vista con una certa “diffidenza” dalla Corte di Strasburgo chiamata a interpretare i precetti convenzionali.   Sia inteso, né la lettera né la ratio dell’art. 6 C.E.D.U. impediscono all’accusato di rinunciare volontariamente alle garanzie che la norma appresta. Tale rinuncia, comunque, deve essere “non equivoca”, non deve confliggere, cioè, con nessuno degli interessi pubblici e deve essere assistita da salvaguardie minime commisurate alla portata della posta in gioco. Ove ciò non sia possibile, la giurisprudenza della Corte europea ha costantemente imposto la concessione, al condannato in contumacia, di un nuovo processo di merito.Cosicché, la giurisprudenza sovranazionale ammette che un soggetto possa essere processato in contumacia, purché l’ordinamento interno preveda una sorta di automatismo in forza del quale venga garantito una nuova valutazione nel merito in favore del contumace che non abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento a suo carico.Per conformarsi a tale indirizzo interpretativo, il legislatore ha attuato una modifica all’art. 175 c.p.p., in tema, per quel che qui importa, di restituzione nel termine per impugnare una sentenza contumaciale (d.l. 21 febbraio 2005, n. 17 convertito, con modificazioni, dalla l. 22 aprile 2005, n. 60); modifica che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto porre la parola “fine” alle condanne dell’Italia in tema di processo contumaciale, ma, nella pratica, si è dimostrata foriera di forti perplessità applicative, dovute, per lo più, ad una perfettibile tecnica legislativa e ad una prassi ormai intrisa di anacronistiche consuetudini inquisitorie.Ne emerge, a parere dell’autore, un quadro a tinte fosche, in cui viene esaltato oltre misura il ruolo dell’interprete – e della giurisprudenza in particolare - chiamato a “riempire” gli spazi lasciati vuoti dal legislatore nel disciplinare la restituzione in termini. D’altronde, inevitabilmente ciò accade in un sistema che, nel delineare i meccanismi informativi, ricorre a due presunzioni di segno inverso; sintomo emblematico delle difficoltà incontrate dal legislatore nell’individuare il giusto equilibrio tra la necessità di mantenere l’istituto della contumacia e i moniti, giunti a più riprese, da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo. Per un verso, la presunzione di conoscenza legale che deriva dal perfezionarsi del meccanismo di notificazione che può, in alcuni casi (come il rito per gli irreperibili), anche prescindere dalla conoscenza reale dell’atto processuale; per l’altro verso, la presunzione di non conoscenza di cui all’art. 175, comma 2, c.p.p., ove viene riconosciuto il diritto alla rimessioni in termini “salvo che lo stesso abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento e abbia volontariamente rinunciato a comparire ovvero a proporre impugnazione od opposizione”.Si va delineando, quindi, un punto di equilibrio sempre più spostato verso quei meccanismi di conoscenza legale che hanno portato l’ordinamento italiano a essere ripetutamente condannato in sede europea.Tutto ciò – secondo l’autore - impone una riflessione da cui, per troppo tempo, ci si è sottratti: se anche questa riforma, nonostante i buoni propositi, finirà per naufragare in prassi applicative devianti, capaci di forzare oltre ogni misura la lettera della legge, forse è davvero giunto il tempo che il processo penale smetta di disinteressarsi della partecipazione dell’imputato al giudizio. Diversi i meccanismi attraverso i quali “costringere” l’imputato a prendere una posizione chiara sulla sua partecipazione al processo e diverse le soluzioni proposte nei progetti di riforma. Resta comunque l’idea di fondo di inadeguatezza dell’attuale disciplina della contumacia e dei meccanismi riparatori che, di sicuro, non sono la panacea di tutti i mali di un meccanismo processuale che, sotto le mentite spoglie della facoltà di non comparire come garanzia del diritto di difesa, cela una delle più sorprendenti contraddizioni con i principi del giusto processo. Giulio Garuti