Ci scrive il signor Giuseppe Magnabosco, in modo perentorio: «Giuseppe Magnabosco cerasicoltore: chi si dedica alla coltivazione delle ciliegie». Magnabosco aggiunge il link che rinvia a un lemma del Vocabolario Treccani.it: cerealicoltore. Come dire: controllate un po' se “mi” avete messo o no. No, cerasicoltore non c'è. Nemmeno cerasicoltura. Siamo in difetto?

Ogni dizionario della lingua italiana è, per definizione, opera difettosa e imperfetta (etimologicamente 'non compiuta, non portata a termine'). Non può che essere così. I dizionari ritagliano lacerti della mobile e aerea tela che costituisce la lingua viva e in evoluzione e li incollano su carta, ordinandoli in un catalogo alfabetico, secondo un disegno predeterminato. Un dizionario, per esempio, avrà deciso di dare poco spazio alle voci e alle forme antiquate come bordaglia 'ciurmaglia', force 'forbici', squarquoio 'cascante, decrepito'; un altro aprirà ampiamente alla terminologia tecnica e scientifica, includendo catgut 'filo per suture chirurgiche', laurina 'tipo di trigliceride', timoanalettico 'farmaco antidepressivo'; un altro – molti, in verità – rincorre i neologismi della penultima se non dell'ultima ora (casual dating 'appuntamento per incontri occasionali a scopo sessuale', delivery order 'ordine di consegna', salita in politica 'ingresso in politica'); un altro riduce la quantità di voci, ma inserisce riquadri con approfondimenti di questioni grammaticali.

Biodiversità

Capita anche che i dizionari, a forza di specchiarsi tra di loro in una gara continua di emulazione e imitazione dissimulata, possano, con involontaria concordia, lasciarsi sfuggire il brandellino singolo, la parola che, siccome sullo Zingarelli non c'è, nel Devoto-Oli nemmeno, nel De Mauro neanche, evidentemente è giusto che non ci sia, secondo una tauto/logica che finisce col contraddire il necessario stimolo alla biodiversità lessicografica. Cerasicoltore e cerasicoltura, per l'appunto, non compaiono in alcun recente dizionario. Nemmeno nel Gradit di De Mauro, pure così vasto e così attento alle terminologie settoriali. Nemmeno nel Treccani.it.

Da Verona a Bari

Decidiamo noi, pungolati dal nostro lettore e suggeritore, di mettere una buona parola per una buona parola, anzi due, che da tempo hanno corso nella letteratura tecnica specializzata e trovano largo spazio in leggi e normative, ogni tanto filtrando anche tra le pagine dei giornali. A buon diritto, perché la cerasicoltura e i cerasicoltori sono presenti in varie zone d'Italia, dal Nord al Sud. La prima attestazione in testi non specialistici di cerasicoltura è del 2001, sul quotidiano «La Repubblica». Già però nel 1994 il termine entra in una proposta di legge presentata dai deputati Petrelli e Barbieri sulla coltura di ciliegie in area barese. Cerasicoltore è attestato, per esempio, nel 2009, in un quotidiano, «L'Arena» di Verona, voce di una zona d'Italia particolarmente vocata alla coltura delle ciliegie.

La sveglia quindicenne

Ci piace dire che le due parole composte, tolti con rispetto i noti e produttivi secondi elementi formativi -coltore e -coltura, sono buone prima di tutto per il colore, profumo, sapore, che sprigionano. Cerasa, cioè 'ciliegia', come si dice oggi nell'italiano parlato nel centro e nel meridione, è melodia di dialetti agresti e memoria di infanzia remota per le generazioni anziane; ma è anche mitologia un po' furba, un po' ingenua, dell'Italia che, a cavallo tra i Cinquanta e i Sessanta, si finge capace di non perdere il candore antico, pur facendo proprie le malizie necessarie per navigare nelle acque irruente delle trasformazioni indotte dal neocapitalismo. Ecco quindi la storia di Cerasella (regia di Raffaello Matarazzo), la sveglia quindicenne (interpretata da Claudia Mori) che accalappia il babbioncino (Mario Girotti, futuro Terence Hill e Don Matteo), bello e ricco, senza che, dietro le sue azioni, si possano sospettare cinismo e secondi fini. Testo in napoletano di Eros Sciorilli ed Enzo Bonagura (canta Gloria Christian), versi che canzonano la “mobilità” dell'umore femminile: «Cerasella, Cerasè... / dint' 'o tiempo d' 'e llimone, / mme rialaste nu schiaffone... / Cerasella, Cerasè... / mo ch'è 'o tiempo d' 'e ccerase, tu mme vase... / Si' limone, si' cerasa...». Cerasella, piccola cerasa, «Pesce in piedi vestito di paglia / con dolci nomi di fanciulle pazze / cerasella prunella fior di vite / alla sbarra gelata del bicchiere / come le ballerine delle Hawai», dalla canzone l'anima sbarazzina dell'eterno femminino sembra trasferirsi gioiosamente nella poesia di Corrado Govoni.

Convivenza in Toscana

Tanta letizia di attestazioni (altre se ne potrebbero aggiungere) fanno di cerasa la sorella biricchina e tenera di ciliegia, accolta con sincera prontezza nella tradizione letteraria e nelle sue propaggini pop, dai tempi antichi fino a oggi. Cerasa (dal latino parlato *cerasea[m]) è facilitata a rosseggiare in italiano anche perché, già anticamente, in Toscana, la regione in cui nasce e si consolida l'italiano, conviveva con ciliegia (nella variante ciriègia), proveniente dal latino parlato *ceresea(m) al pari del francese cerise e dello spagnolo cereza. Ceresea/ciliegia viene dal Nord Italia, cerasea/cerasa viene dall'Italia meridionale. Le due forme, già leggermente differenti nella latinità tarda, si incontrano in Toscana e lì convivono. La -r- di ciriègia si trasforma in -l- nella zona di Firenze-Prato-Pistoia (cfr. DELI, s. v. ciliegia)e ciliegia diventa la forma canonica nel fiorentino e poi nell'italiano letterario, senza però ridurre nell'ombra dell'oblio cerasa.

Aprile carciofaio, maggio ciliegiaio

Dai due ceppi nascono poi famiglie distinte anche se apparentate. Per esempio, da ciliegia abbiamo ciliegiolo, nome di una varietà di vitigno e del vino che se ne trae, tipico della Toscana; da cerasa abbiamo cerasuolo, nome di due differenti vitigni e dei relativi vini (cerasuolo d'Abruzzo e cerasuolo di Vittoria, quest'ultimo siciliano). Se , per proverbio, aprile carciofaio, maggio ciliegiaio, un peperoncino si chiama cerasiello, mentre cerasina (da ceraso 'ciliegio'), come scriveva il nostro più grande dizionario d'italiano ottocentesco, il Tommaseo-Bellini, è «nome chimico della gomma che geme naturalmente dal ciliegio e vi si rassoda vicino al punto d'onde trasuda». Ciliegeto e ceraseto 'terreno coltivato a ciliegie' convivono, anche se il primo termine è standard, il secondo venato di regionalità. Infine – e questo è interessante – anche se cerasicoltura sembra essere più diffuso di ciliegicoltura, nei testi presentati in varie assemblee legislative nazionali, regionali e locali in materia di difesa e valorizzazione della coltivazione delle ciliegie è possibile trovare oscillazioni nell'uso ora dell'uno, ora dell'altro termine. Probabilmente, ancora non è stata raggiunta (e forse nemmeno cercata) un'intesa terminologica univoca. Aspettando, ringraziamo ancora Giuseppe Magnabosco, oggi cerasicoltore, domani, chissà, ciliegicoltore.

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