Undici domande a Pietro Sermonti, tra lingua e vita
Autobiografia in un tweet
Nome: Pietro; cognome: Sermonti; nato in città eterna; attualmente nel mezzo del cammin di mia vita; attore (ma è una copertura); destinato ad una folgorante calvizie.
1. La parola al centro della sua vita: quando lo ha capito?
Giocare: guardando Tardelli sfigurato dalla gioia dopo il secondo goal contro la Germania (11/7/1982 alle 21:24), ho capito irrimediabilmente che giocare sarebbe diventato il mio mestiere. Non mi sbagliavo.
2. Un modo di dire, un proverbio, il verso di una poesia o di una canzone che le ritorna in mente.
«Ascolta come mi batte forte il tuo cuore» di Wisława Szymborska (me la sono tatuata sul costato).
3. Una parola o espressione, anche dialettale, del suo lessico familiare.
‘Cci tua!: amo questa espressione perché mi è sempre sembrata uno starnuto.
4. La parola che la fa volare.
Gioventù (rigorosamente in latino!).
5. La parola che la amareggia.
Tolleranza: perché è una parola verticale, che presume una gerarchia, che cala dall’alto come una concessione. (Per intenderci: rispetto, invece, è una parola orizzontale).
6. Il dizionario: pesante o leggero?
Per me il dizionario è letteralmente una poderosa sostanza stupefacente.
7. Tre lemmi che eliminerebbe dal dizionario e perché.
Carino; rottamare; femminicidio (perché, prima o poi, verrà accolto dai dizionari).
8. Chi sono i padroni della lingua?
A bruciapelo e con peloso buonsenso, direi che I Padroni della Lingua – ammesso, e non concesso, che esistano – sono i lettori (possibilmente avidi).
9. L’aggettivo che più le si addice.
Malinconico.
10. Quello al quale non vorrebbe mai essere associato.
Vigliacco.
11. L’emoji con cui si identifica.
Non c’è ancora, lo sto brevettando. Ciò detto, con una pistola alla tempia, direi questo:
Illustrazione di Stefano Navarrini
Le interviste già pubblicate
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