La parola mnemocìdio (composta dal greco μνήμων -ονος ‘che ricorda, memore’ e dal latino -cidium, dal tema verbale di caedĕre ‘tagliare, uccidere’) nasce nel 2013 quando ho avvertito l’esigenza di trovare un termine adatto a esprimere l’annientamento della memoria storico-culturale di un popolo, base e fondamento della sua stessa esistenza, attraverso la rimozione dei segnali spazio-temporali rappresentati da monumenti, luoghi di culto, siti archeologici e opere d’arte, che caratterizzano il gruppo stesso e favoriscono la trasmissione della sua cultura nel tempo.

Il ponte di Mostar

Il termine è attestato per la prima volta nel mio libro Tesori rubati nel capitolo intitolato “A chi appartiene il passato?”, seguendo l’innovativo approccio giuridico per cui “la nozione stessa di diritto di proprietà dei beni culturali tende oggi sempre più a travalicare l’appartenenza alle singole nazioni per riguardare direttamente l’individuo e i diversi gruppi sociali, i veri depositari e possessori ultimi del bene”. Una concezione scaturita  a seguito del cosiddetto cultural/ethnic cleansing, la pulizia etnica e culturale perpetrata nelle guerre jugoslave degli anni Novanta del Novecento, in particolare contro la minoranza musulmana bosniaca (la distruzione del ponte ottomano di Mostar ne è l’esempio emblematico), e in Iraq nella lunga fase di instabilità politica seguita alla seconda Guerra del Golfo del 2003.

Iraq, la devastazione della Jazira

Proprio in Iraq, il terrorismo jihadista di matrice sunnita ha scosso il Paese con attacchi mirati contro la popolazione civile e le sue varie espressioni culturali, con la distruzione intenzionale di moschee sciite, chiese cristiane, santuari sufi e yazidi che si è intensificata in maniera esponenziale e sistematica nel giugno 2014 dopo la presa di Mosul e l’avvento dello Stato Islamico (IS). La regione interessata da questa ventata di devastazione è la Jazira, la “terra tra i due fiumi”, il Tigri e l’Eufrate, che compone l’antica Mesopotamia, “culla della civiltà”, nell’area compresa tra l’Iraq settentrionale e la Siria nordorientale.

Distruzione, epurazione, obliterazione

Formalmente ammantata da motivazioni religiose, la ragione della furia iconoclastica contro i santuari funerari sciiti e i beni archeologici, visti entrambi come simboli politeistici, in realtà è dettata, come enunciato nei filmati propagandisti dell’IS, da istanze di ordine politico: una condanna di colonialismo, nazionalismo e secolarismo, valori tipicamente occidentali sposati dallo stato siriano e iracheno che avrebbero relegato la religione islamica a una sottocategoria culturale invece di innalzarla a elemento fondante della società.  Le distruzioni del patrimonio culturale mirano da un lato a epurare gli avversari di rito sciita, e dall’altro a obliterare gli odiati simboli dell’archeologia imperialista occidentale che ha riesumato e sacralizzato i tesori delle civiltà mesopotamiche esibendoli in sontuosi musei e allestendo parchi archeologici tematici, dal Museo di Mosul alle capitali assire di Nimrud, Ninive, Assur e Khorsabad alla siriana Palmira. Tesori divenuti poi con i leader Saddam Hussein e Bashar al-Assad anche emblemi nazionalistici dell’archeologia dei regimi baathisti e laici di Siria e Iraq.

Alla luce di questa ondata terroristica, ho approfondito il significato di mnemocidio nel volume Dentro la devastazione: “Quando il sedicente Stato Islamico o qualsiasi altra forza estremista si accanisce contro una testimonianza del passato, a essere distrutto non è solo il monumento in oggetto, bensì tutto il sistema di valori spirituali, intangibili, che sono legati a quella semplice manifestazione artistica. Senza il punto di riferimento materiale, tali elementi non possono più propagarsi nel tempo e nello spazio, di generazione in generazione, come hanno fatto sino a ora, ma sono persi per sempre”.

Un crimine contro l’umanità?

Lo mnemocidio rappresenta quindi una forma di terrorismo culturale, una violazione dei più fondamentali e importanti diritti umani, come, per esempio, il diritto di partecipare alla vita culturale (art. 15, 1a) stabilito nel 1976 dalla Convenzione internazionale sui diritti economici, sociali e culturali delle Nazioni Unite. A questo proposito, la giurista Patty Gerstenblith asserisce che “la distruzione del patrimonio culturale, normalmente considerata come un crimine di guerra, dovrebbe in realtà essere di principio un crimine contro l’umanità”, venendo leso il diritto di ciascun individuo di fruire del bene della cultura. Un’idea già sviluppata nel lontano 1933 dal lungimirante giurista ebreo polacco Raphael Lemkin, che riteneva quello culturale  uno dei diversi aspetti del genocidio (termine da lui coniato) – lo sterminio di un gruppo etnico-religioso – “ciascuno mirato a colpire un elemento diverso dell’esistenza di un gruppo sociale”. Nonostante il suo inserimento nel testo iniziale, il “concetto di genocidio legato alla distruzione di documenti, oggetti di valore storico e religioso” venne espunto nella stesura definitiva della Convenzione sul genocidio ratificata  dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 9 dicembre del 1948.

Altri esempi emblematici di mnemocidio sono la distruzione sistematica del patrimonio culturale tibetano da parte della Repubblica Popolare Cinese e di quello yemenita da parte dell’Arabia Saudita, così come l’obliterazione delle moschee e mausolei sufi a Timbuctu in Mali operata dal gruppo qaedista Ansar Dine nel 2012. Una deriva similare sembra ravvisarsi anche nella campagna di epurazione dei curdi nella regione di Afrin nella Siria settentrionale perpetrata dal regime di Ankara dal 20 gennaio 2018, che ha portato alla cancellazione di rilevanti vestigia archeologiche.

Testi citati

Paolo Brusasco, Tesori rubati. Il saccheggio del patrimonio artistico nel Medio Oriente. Bruno Mondadori, Milano, 2013, p. 62.

Paolo Brusasco, Dentro la devastazione. L’ISIS contro l’arte di Siria e Iraq, La Nave di Teseo, Milano, 2018, pp. 20-21, 28, 355.

Intervista del 27/03/2018 a Fahrenheit, Radio Rai Tre, Incontro con Paolo Brusasco_,_ Dentro la devastazione.

Francesca Paci, L'Isis distrugge l'arte per provocare l'Occidente, La Stampa, 27 aprile 2018.

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