Grande mobilitazione per le parole nuove, sotto i cieli del web soprattutto, sull'onda emotiva suscitata dall'aggettivo petaloso, salito sulla cresta per un po' di giorni grazie al tam tam mediatico succeduto alla notizia della benedizione da parte dell'Accademia della Crusca della paroletta immaginata dal bambino Matteo di otto anni, durante un'esercitazione in classe, in provincia di Ferrara. La Crusca ha giustamente premiato la creatività linguistica del bambino; si sono espressi tanti linguisti, aggiungendo, però, che un momento di felice onomaturgia non determina il diritto all'inclusione dell'aspirante neologismo nel lemmario di un dizionario, perché è soltanto l'ampiezza dell'uso a promuovere, nel tempo, l'eventuale accoglimento della parola nuova nella compagine del lessico nazionale; si sono scatenati dunque gli utenti nei social network, ripetendo a valanga petaloso, con la fantasia in testa che un flash mob virale avrebbe avuto forza di legge; ecco intanto nascere le ovvie ripicche degli invidiosi («bè, perché petaloso è bello e invece xy-oso no?») e pungere gli ironici («e inzupposo di Antonio Banderas dove lo mettiamo?»), mentre altri ricordano che petaloso era già stato usato una ventina d'anni fa da Michele Serra. in un articolo sul festival di Sanremo («I fiori di Sanremo sono iperrealisti: troppo petalosi e colorati»). Infine, il presidente dell'Accademia della Crusca, Claudio Marazzini, versa altra acqua sul fuoco dell'entusiasmo collettivo, sguainando l'idrante letale della citazione supererudita (un petaloso già presente secoli fa in un testo scientifico latino).

Molto interessante il tutto, possiamo dire col senno di poi: istruttivo per come funzionano i fuochi fatui – ma potenti, sull’emotività istantanea – della viralità massmediatica e per mostrare quanto sia presente, in tutti noi, il semplicismo da favola pubblicitaria per cui ciò che piace ai più è automaticamente giusto e buono. Con il corollario, meno ovvio, secondo il quale ciò che passa per giusto e buono entra a far parte del marketing politico. Così Matteo Renzi, dopo aver commentato su Twitter «Una storia bella, una parola nuova», ha potuto definire petaloso il piano per il dopo-Expo. Fine della poesia.

Per questa rubrica fatta in casa, col contributo infaticabile di lettrici e lettori del portale Treccani.it, la prima “lezione” di petaloso consiste nel fatto che è bello e istruttivo giocare con le parole: non è un caso che esista una disciplina linguistica applicata che si chiama ludolinguistica. In secondo luogo, bisogna sempre ricordare la scarsa linearità e prevedibilità, anche logica, dei percorsi che portano all'inclusione di una parola nel lessico condiviso. Pertanto, proporsi come inventori di parole è e resta un gioco senza finalità. Altra cosa è segnalare parole rintracciate nei giornali, in libri, nella rete o lette e sentite nelle varie situazioni della nostra vita quotidiana (lavoro, svago, scuola) per sottoporle a una valutazione di funzionalità ed efficacia potenziali. In realtà, nel corso dei mesi, tra chi ci invia parole è aumentato il numero degli “inventori” puri. Il gioco può continuare, naturalmente, a patto di non sentirsi frustrati se l'aspirante novità viene considerata per quel che è e basta: una creazione individuale più o meno riuscita, più o meno interessante o divertente. Chi vuole, comunque, per farsi un'idea, può rileggersi le puntate precedenti (la puntata di apertura, la seconda, la terza, la quarta, la quinta, la sesta, la settima, l'ottava, la nona, la decima, l'undicesima). Se avrà pazienza, scoprirà, però, che oltre a parole nuove di fantasia, sono state segnalate parole realmente allo stadio germinale di disseminazione nella lingua presente. E, vocabolario Treccani.it al mouse, ovvero alla mano, quel chi di qualche rigo addietro troverà anche alcune (poche) scommesse vinte, qualche proposta accettata.

Intanto, segnaliamo un po' di parole inventate, che potrebbero risultare anche simpatiche come il petaloso di Matteo, pur senza la speranza, probabilmente, di entrare nella cronaca dei media mass e social: finfina di R. S. («cesto o recipiente ove riporre panni sporchi in attesa che siano lavati; derivato dall'uso della espressione 'alla fin fine'»); S. B. propone immezzo 'in mezzo', confermando il fascino semplificatore della pronuncia, che ha avuto tanto peso nella formazione delle parole della nostra lingua: l'idea è di rendere norma una realtà fonatoria, ma, purtroppo, per ora almeno, in questo caso non ci sono prospettive; F. R. crea dentite («Come si ha polmonite, epatite, faringite, colite ecc. così si può avere benissimo "dentite"»), ma certo qui la serie mal di... (testa, gola, stomaco, denti, ecc.) è vincente; sempre F. R., il colto, crea aerofragio sulla scia di naufragio, per indicare un disastro aereo, che oggi viene detto spesso naufragio aereo («È composto con le voci latine "aer" e "fragium" dal verbo "frangere", rompere, urtare, spezzare e simili)»; infine, F. R. avanza la candidatura di sprimaverare come contraltare di svernare, nell'accezione di 'trascorrere la primavera in un'altra località', che, però, francamente, sembra designare un’eventualità per pochissimi fortunati; mediacidio di A. T., nell'accezione di «atto di porre fine all'esistenza di un media, riferito alla chiusura di testate giornalistiche, fonti editoriali, canali radiotelevisivi», è trasparente nella composizione di media e -cidio (di omicidio) e sfugge allo scherzoso stigma dell'episodicità inventiva, essendo l'onomaturgo impegnato da tempo in una campagna personale, con riverberazioni in rete, contro, appunto, le situazioni da lui giudicate di mediacidio. In quest'ultimo caso, ai fini di una lemmatizzazione, bisognerebbe, però, che la parola godesse di attestazioni più estese e non sempre legate alla persona che l'ha creata. Stesso tipo di valutazione va fatto su procriminalistica di V. d. F., con pro- indicante anteriorità nel tempo, come in prologo («complesso di attività prodromiche per il corretto approccio alla scena di un crimine»), che non è sostenuto da altre documentazioni che non siano legate all'autore della voce.

A un altro gruppo appartengono termini afferenti a lessici o àmbiti di tipo specialistico o settoriale, proprio per questo documentati poco o punto nei dizionari della lingua italiana dell'uso. Tali dizionari – i cosiddetti monovolume, quelli che si tengono o si dovrebbero tenere dentro casa e si danno (o davano? Ora, in tempi di smartphone...) ai figli per i compiti in classe d'italiano – non pretendono di coprire lo scibile dicibile, specialmente in relazione ai lessici specialistici: dunque le esclusioni non sono di per sé scandalosi segni di manchevolezza, ma, viceversa, di solito, frutto di cèrnite pianificate. Per questo non troviamo viverna (probabile adattamento dell'anglosassone wyvern 'tipo di drago mitologico'), proposto da G. M. e presente in qualche romanzo fantasy, come quelli di Licia Troisi; glottoteta, sempre di G. M., colta neoformazione che, rimandando alla grecità (glotto- sta per 'lingua' e teta rimanda al  tema di títhēmi “io pongo”, sul modello di logoteta 'funzionario dell'Impero bizantino'), varrebbe 'creatore di lingue (artificiali)'; ancora G. M., attivissimo, propone gematrico, aggettivo di relazione che significa 'relativo alla gematria', il vocabolo gematria essendo registrato nei dizionari nell'accezione di 'antica tecnica cabalistica crittografica' (forse è un aggettivo di cui si può fare a meno: chi conosce o trova nel dizionario gematria ricaverà da sé il significato di gematrico). Una riflessione andrà fatta su veridittivo, composto di _veri(simile)_e (pre)dittivo (GRADIT: «di atto linguistico che introduce una proposizione assunta o detta come vera; di rappresentazione, attitudine che si presenta come vera») e veridizione ('l'atto linguistico' di cui sopra), termini della linguistica, proposti da V. B., che stanno conoscendo una certa espansione oltre i confini dello stretto specialismo.

Qualche petalo è stato staccato dal florilegio lessicale collettivo, che resta comunque petaloso. Sfoglieremo più avanti. Intanto, continuate a inviare le vostre osservazioni e proposte.