Ecco una nuova raccolta commentata di parole inedite – o comunque poco o punto registrate dai dizionari della lingua italiana – segnalateci da lettrici e lettori, ai quali va dato atto di tenere assolutamente in non cale tutto il polverio di parole nuove che le recenti evoluzioni della politica (soprattutto quella nostrana) hanno depositano nei media.

Arcobalenico

L’aggettivo multicolore viene suggerito da A. V. B., nell’accezione denotativa di «colorato con i colori dell’arcobaleno». Il suffisso -ico, molto impiegato nella lingua della chimica, ha un suo spazio anche come produttore di aggettivi di relazione non marcati semanticamente. Compare nella “nuvola” delle parole più segnalate dagli utenti all’Accademia della Crusca. Qui e là, in opere di narrativa e di poesia, arcobalenico fa negli ultimi anni la sua apparizione, spostandosi dal significato proprio a quello figurato (l’arcobaleno suscita, anche in politica, immagini e sensazioni di differenze coesistenti pacificamente). Talvolta si colgono usi di arcobalenico connotati in senso vagamente dispregiativo, come in questo spezzone di commento politico: «Urge precisazione ecosolidale e arcobalenica e comunque, "Meglio nuda che in pelliccia" ripete, e lo ripete a monito, la Aspesi» («Il Foglio», 28 febbraio 2004). L’irenismo lessicografico indurrebbe a un pronto accoglimento dell’aggettivo, ma teniamo ancora un po’ a mollo l’aspirante neologismo, in attesa che si infittiscano e ispessiscano le sue attestazioni scritte.

Bisteccheria

Mette il dito su una piaghetta M. G., quando ci segnala: «Bisteccheria - Traducente dell'ingl. steak-house. Il termine è molto diffuso: una ricerca dell'esatta stringa di caratteri "bisteccheria" con Google produce circa 259mila risultati», cresciuti a 342.000 nei mesi intercorsi tra la spedizione della email di M. G. e la pubblicazione di codesto articolo. Il Vocabolario della Treccani non ignora la parola, ma la considera come elemento appartenente al gruppo di neoformazioni, in verticale aumento negli ultimi trent’anni, che sfruttano la produttività del suffisso -eria, in quanto designante un locale o esercizio commerciale che tratta (vende, elabora, cucina) il prodotto indicato dalla base nominale cui il suffisso si affigge. La riflessione si attaglia anche al suffisso -teca (di greco-latina veste e origine), portatore (si legge s. v. -teca) di «nuove formazioni nel linguaggio commerciale e della pubblicità, che hanno avuto come capostipite paninoteca, seguito da spaghettoteca, risottoteca, birroteca, whiskyteca, e forse altri, talora in concorrenza col suffisso -eria (presente non solo nei tradizionali birreria, salumeria, pizzeria, ecc. ma anche nei neologismi spaghetteria, bisteccheria, ostricheria, ecc.)». Qual è la piaghetta? Stante che spaghetteria è il capostipite della nuova ondata linguistico-merceologica, essendo già attestato a partire dagli inizi degli anni Ottanta del Novecento, bisogna lemmatizzare anche i successivi bisteccheria, ostricheria, cornetteria, piadineria, baguetteria, frittelleria, creperia  fino a sfogliatelleria, pinseria e oltre? Si impone una cernita, che tenga conto della frequenza d’uso e dei tempi di sedimentazione.

Sabatare

Scrive F. R.: «Ci piacerebbe che i vocabolaristi prendessero in considerazione il neologismo "sabatare" (o sabatiare), cioè fare festa il sabato, coniato sulla scia di "lunediare" (far festa il lunedí)». Di lunediare F. R. porge il link al lemma incluso nel Nuovo De Mauro on line e nel GRADIT (diretto da De Mauro). Lunediare è una voce ormai (dice il De Mauro) “obsoleta”, ma si sa che, nella lingua, non mancano casi di cavalli di ritorno: quel che oggi risulta antico e inutilizzabile, un giorno potrebbe tornare in auge, magari con leggeri slittamenti o adattamenti semantici determinati dal mutamento delle cose designate. Si pensi all’aggettivo scrauso ‘brutto’, che dai secoli bui della caccia alle streghe, dopo essersi inabissato nell’oblio, riemerge nel linguaggio giovanile degli anni Novanta a Roma e si conquista addirittura un posto nel dizionario della lingua dell’uso, pur se come colloquialismo. Quindi, facciamo il tifo per un ritorno di lunediare e una promozione di sabatare dall’idioletto di F. R. alla lingua nazionale. Consapevoli che, nel nostro Paese, mai come in questo caso i fatti precedono le parole: quanti italiani sono soliti, in certe particolari occasioni, modificare il calendario lavorativo sabatando e lunediando, insomma “pontificando”, cioè facendo ponte?

Scomponentizzazione

  1. A. ci propone questo termine, scomponentizzazione «perché in mesi e mesi di lavoro non siamo riusciti a trovare una parola alternativa». Dietro al rovello terminologico di M. A. e dei suoi colleghi o amici (o tutt’e due) c’è il problema di capire bene, senza la restituzione di un testo o almeno di un cotesto, di che cosa si parli precisamente quando si usa (si potrebbe usare) scomponentizzazione. Siamo di fronte a un parasinteto, cioè a un composto derivato da un nome o da un aggettivo con l’aggiunta simultanea di un prefisso e di un suffisso: il prefisso è s-, con valore, tra l’altro, di separazione, uscita, estrazione (dal latino ex-); il suffisso è -izzazione, generosamente produttivo fin dall’antichità. Un suggerimento prezioso lo dà qualche sparsa attestazione in rete non di scomponentizzazione, ma di componentizzazione. Leggiamo questo esempio tratto dall’edizione on line del «Sole 24 Ore»: «Le Eps (Enterprise solution platform, secondo il termine adottato da Idc) come Netweaver di Sap, muovono il mercato dalle applicazioni business, fatte da grandi e monolitici pacchetti, verso la "componentizzazione" di funzionalità applicative» (23 dicembre 2004).

Siamo nel campo dell’informatica, quindi. Come sempre, in questo caso, bisogna guardare all’inglese d’America, lingua, oggi, dell’innovazione tecnologica: ecco allora che troviamo (in qualche dizionario, e in molti testi specialistici in Rete) componentization, termine che indica il ‘processo di frammentazione in componenti separate, con riferimento, in particolare, all’operazione tramite la quale si spacchetta il sistema software in parti più piccole e facilmente identificabili aventi interfacce ben definite’. Questa ‘riduzione in componenti’ l’inglese la vede all’osso, senza bisogno di prefissazioni; forse potrebbe bastare anche in italiano il corrispettivo componentizzazione.

Toffoletta

Ha fatto benissimo G. M. a scriverci queste parole: «Vi segnalo toffoletta, traduzione dell'inglese marshmallow. Non si tratta esattamente d'un neologismo (essendo in giro da vari decenni!), ma vedo che il termine non è ancora registrato nel vostro Vocabolario». Ha fatto bene, perché la parola riporta alla mente le splendide strisce dei Peanuts di Charles M. Schulz con i suoi bambini dal cranio tondo pieni di vita e di pensiero. In verità, la lessicografia italiana non è generosa con la parola toffoletta: forse perché in origine è una parola inventata, come spiegano i meritevoli autori del curioso (sia nel senso di ‘che desta curiosità’ sia in quello di ‘animato da curiosità’) dizionario del sito Laputa. Geografia insolita, alla voce toffoletta: «marshmallow - caramella gommosa e spugnosa a base di zucchero e sciroppo di mais, che può essere arrostita sul fuoco. Neologismo coniato da Franco Cavallone, incaricato della traduzione del fumetto Peanuts di Charles Monroe Schulz per Milano Libri, che pubblicò per la prima volta il fumetto in Italia nel 1963: non esistendo un corrispettivo in italiano – per non usare l’inglese – scelse di tradurre marshmallow con una parola di fantasìa, “toffoletta” [...]Il termine fu poi utilizzato nell’edizione italiana del romanzo La fabbrica di cioccolato di Roald Dahl (1964) sancendone così la diffusione al di fuori dei Peanuts».

Introdurremo senz’altro toffoletta nel Vocabolario on line. Il dolcetto così denominato lo lasciamo a chi non ha problemi di iperglicemia.

Silverio Novelli

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