L’emergenza sanitaria che sta coinvolgendo l’intera Italia non poteva restare fuori dalla nostra rubrica: oggetto del nostro osservatorio sul neopolitichese non può che essere un’espressione diffusa da chi, in questa emergenza, si è trovato a dover governare una situazione mai vissuta, in questo modo, né in Italia, né in Paesi affini: il Presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte. È dalla sua bocca (non so se dalla sua mente: potrebbe essere un suggerimento dei suoi consulenti per la comunicazione) che il 9 marzo è uscita l’espressione zona protetta, in riferimento all’intera Italia («tutta la penisola isole comprese», come ha precisato il Presidente del Consiglio, con un’espressione infelicissima, se presa alla lettera, ma che ha una certa tradizione): «Sto per firmare un provvedimento che possiamo sintetizzare come “io resto a casa”. Non ci sarà più una zona rossa nella penisola. Ci sarà l’Italia zona protetta», ha annunciato Conte nella conferenza stampa della tarda serata del 9 marzo 2020.

Lo stile del sopire

L’idea di uscire dalla logica delle zone variamente colorate, identificando l’intero paese con un aggettivo rassicurante, come è protetto, è stata una mossa comunicativa forse troppo palese, ma in linea con lo stile dell’attuale Presidente del Consiglio, che punta più a sopire che a esacerbare (con la vistosa eccezione del discorso in Senato del 20 agosto 2019, nel quale ha annunciato le dimissioni del primo governo da lui presieduto). Definire zona protetta un Paese che vede bloccate molte delle sue attività (certo, per un fine encomiabile e necessario, quel distanziamento sociale che può contenere la diffusione del Coronavirus) è una forma di understatement che avrebbe certamente suscitato il plauso ammirato di molti esponenti della Prima Repubblica.

Un’emergenza a colori

Le definizioni precedenti, invece (zona rossa, etichetta riferita ai primi Comuni nei quali si era verificato il contagio, e zona arancione, denominazione meno diffusa per la zona più ampia, una regione e 14 province, isolate con il decreto dell’8 marzo 2020), sortivano un effetto allarmante. Soprattutto zona rossa ha in sé un contenuto emergenziale, accresciuto dalla storia recente dell’espressione, che, come indica il dizionario dei neologismi di questo sito, designa una «zona di allerta e di esclusione; con particolare riferimento alla zona appositamente perimetrata nella città di Genova, durante lo svolgimento del vertice del G8 nel luglio 2001, o a zone di grave pericolo alle quali è interdetto l’accesso». La diffusione dell’espressione nella stampa rimonta agli anni ottanta del secolo scorso (inizialmente in riferimento ai problemi ambientali, con l’individuazione delle zone nelle quali risultavano più acute le conseguenze dell’inquinamento); l’uso più recente, prima dello scoppio dell’epidemia da Coronavirus, aveva riguardato ancora una volta la città di Genova, e indicava l’area più vicina al ponte Morandi crollato nell’agosto del 2018.

Più recente la diffusione di zona arancione, che, rispettando la gradazione dei colori, denota una zona contigua a quella maggiormente a rischio, nella quale il pericolo è grave, ma più contenuto. Ne ho trovato un esempio in «Repubblica» dell’8 aprile 2004, dove si legge, a proposito di un’esercitazione che simulava un attentato terroristico, che in caso di attentato chimico, i medici di emergenza «entreranno in azione nella zona “arancione”, quella dove saranno montati i sistemi mobili di decontaminazione e dove affluiranno i feriti provenienti dalla zona “rossa”».

Una scelta eufemistica

Se la terminologia della gestione dell’emergenza gioca sulla metafora coloristica, poi il linguaggio burocratico e quello giornalistico traducono l’espressione tecnica in vario modo. Così, l’8 marzo la zona arancione era stata presentata dal Ministero dell’Interno come area a contenimento rafforzato (con un’espressione che non definisce l’area in riferimento a quella più colpita, come avviene nell’opposizione zona rossa vs zona arancione, ma in riferimento a quella nella quale non ci sono restrizioni, o comunque il contenimento è debole). A suo tempo, invece, la zona rossa della Genova del G8 era stata correntemente designata come zona proibita.

Nel gioco di ridefinizione delle aree delimitate nel corso dell’emergenza, la scelta del Presidente Conte va valutata anche in rapporto a questi precedenti. Risulta evidente, se mai ce ne fosse stato bisogno, l’intento eufemistico della denominazione di zona protetta, come, del resto, era avvenuto il giorno precedente con il burocratico area a contenimento rafforzato. Ma la scelta eufemistica del Presidente del Consiglio si è indirizzata verso un aggettivo di uso comune, dando all’espressione una fisionomia pacata e familiare, che ben contribuisce a raggiungere l’obiettivo che hanno tutti gli eufemismi, quello di mascherare, o almeno di attenuare, una nozione considerata poco piacevole o poco desiderabile.

Le parole (o locuzioni) già trattate: menevadismo, contratto di governo, manina, palle, sovranismo, cambiamento, pacchia, mangiatoia, umanità, pigranza, buonista, revenge porn, radical chic, salvo intese, professoroni, rosiconi, gufo, sbruffoncella, rosicare, interlocuzione, rottamazione, ruspa, vaffa, sardine, Italia viva, Germanicum, spallata, non mollare, pieni poteri

Immagine: Strade deserte

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