Fannulloni? Bamboccioni? Vecchie care parole del lessico famigliare. Rispolverate, rilucidate come talvolta certe tabacchiere d’argento nel salotto dei nonni, rilanciate splendenti in mezzo al dibattito politico, amplificate dai media, riprese come simbolo di “italianità” (sub)culturale e antropologica perfino dal «Times» londinese e dal «New York Times». A fare la nuova fortuna di questi due testimonial del suffisso accrescitivo –one (esponente di un particolare settore del made in Italy: si sa che tra le grandi lingue di cultura europee l’italiano è quella che utilizza la più vasta gamma di suffissi alterativi), mettiamo sotto i riflettori le dichiarazioni, alcune recenti, altre più datate, di due outsider della politica come il ministro dell’attuale governo Berlusconi, Renato Brunetta, e il ministro del precedente governo Prodi, Tommaso Padoa-Schioppa.

Lucia Annunziata e gli esperti

Brunetta sponsor di fannulloni. Padoa-Schioppa di bamboccioni. Sulla difficile navigazione di simili esperti o tecnici chiamati a fare politica di alto livello istituzionale, ha riflettuto qualche tempo fa (18 novembre 2008) Lucia Annunziata sul quotidiano «La Stampa», in un articolo intitolato, non a caso, Bamboccioni, fannulloni. Annunziata sostiene che «splendidi curricola», come quelli di Brunetta e Padoa-Schioppa, «poss[o]no essere messi in ginocchio da un dettaglio. Specie se questi dettagli sono efficaci: bamboccioni infatti ha perfettamente definito lo spirito di una generazione, così come fannulloni ha perfettamente colto una malattia italiana». Insomma, pur così distanti «per modi di essere, pensare, parlare; per scopi, abitudini e vezzi», Brunetta e Padoa-Schioppa sono accomunati però da un unico, importante, atteggiamento: «sulla scena politica entrambi sono spericolatamente coerenti nel dire quello che pensano». Sintetizzando: parlano in modo diretto e informale (tratto però che hanno in comune con non pochi politici-politici esternatori, da Berlusconi a Bossi, da Pannella a Di Pietro); contraddetti, non ricusano ciò che hanno affermato in precedenza (questo tratto è già più raro trovarlo in altri).

Brunetta e i “fannulloni”

Fannulloni diventerà probabilmente la parola-chiave in grado di rammentare, se non di dischiudere, il senso e l’orientamento principale della vis polemica di Brunetta. Infatti, la parola – sempre riferita a più individui; a categorie dello spirito incarnate, come vedremo, in categorie sociologiche e politiche – è stata imbracciata come un’arma non una, ma più volte. La prima volta di fannulloni risale a qualche mese fa. Da poco tempo salito al soglio di ministro dell’Innovazione e della Funzione pubblica, Brunetta, in rapida successione e in una stessa giornata, rimbalzando tra diurno convegno e serale Porta a Porta, espresse l’intenzione maoista (sua la citazione: «colpirne uno per educarne cento») di adottare misure punitive nei confronti dei «dipendenti fannulloni», cioè dei «fannulloni assenteisti che nella Pubblica Amministrazione sono il doppio del settore privato». Piccola noticina a piè di pagina: va ricordato che il primo a utilizzare in tempi recenti il vocabolo fannullone come strumento di polemica fu l’allora presidente della Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo. Montezemolo, parlando a Reggio Emilia in occasione dell’assemblea annuale della locale Associazione degli industriali il 21 giugno del 2007, aveva preteso di additare ai sindacati il rischio che diventassero ogni giorno di più «sindacati della pubblica amministrazione, dei pensionati e di qualche fannullone». «Altro che fannulloni noi! Fannullone è l’esecutivo!», dichiarò il segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni, in margine allo sciopero dei lavoratori del pubblico impiego del 26 ottobre del 2007, memore dell’estiva esternazione montezemoliana. Notevole, dunque, l’allineamento ideologico tra le posizioni espresse prima da Montezemolo, poi da Brunetta. Il quale ultimo, il 16 novembre del 2008, ha rimesso il vomere più o meno nello stesso solco: «Non è con me il Paese delle rendite e dei poteri forti e quello dei fannulloni che spesso stanno a sinistra». Di fronte a immediata replica da parte sindacale (nella persona del segretario della CGIL Guglielmo Epifani), Brunetta ha corretto poco poco, confermando nella sostanza: «Ribadiamo che se i fannulloni non sono né di destra né di sinistra, certamente i loro difensori si trovano nella sinistra sindacale più o meno estrema».

Col Giusti, alzando le spalle

Di per sé fannullone è parola quasi simpatica, di sapore collodiano, se non deamicisiano. Il primo a documentarne l’uso nell’italiano scritto è però un autore che tanto bonario non intendeva essere; anzi, sotto il velo del sorriso spesso amava far risplendere i canini della satira. Parliamo di Giuseppe Giusti, il quale, sulla metà del secolo XIX, ebbe a scrivere, a proposito della legge sulla stampa: «I presuntuoselli la salutano coll’ironia sulle labbra; i fannulloni, colle spallate». Insomma, sembra che la critica civile e politica si sia da subito prestata bene ad accogliere fannullone nel proprio lessico.

Sotto il profilo della forma, fannullone è composto dall’imperativo di fare (fa’), da nulla e dal suffisso accrescitivo –one. Ricordiamo, di passaggio, che gli storiografi, a proposito degli ultimi re merovingi, che, a quanto pare, per indolenza o incapacità, rimettevano l’esercizio del potere nelle mani dei maggiordomi, parlano di re fannulloni.

Padoa-Schioppa e i “bamboccioni”

Nel settembre del 2007 fece scalpore la dichiarazione dell’allora ministro dell’Economia del governo Prodi, Tommaso Padoa-Schioppa (spesso scorciato in abnorme acronimo dai titolisti dei giornali: TPS). Il ministro, commentando la norma che prevedeva agevolazioni sugli affitti per i più giovani, contenuta nella Finanziaria, disse: «Incentiviamo a uscire di casa i giovani che restano con i genitori, non si sposano e non diventano autonomi. È un’idea importante». In clausola, sorridendo con bonarietà, aggiunse: «Mandiamo i bamboccioni fuori di casa».

Se la sono presa in molti, per la parola usata. Uno per tutti, Manuela Palermi, capogruppo dei Verdi-Pdci al Senato: «un infelice epiteto che può sicuramente guadagnargli [al ministro, ndr] la simpatia di qualche pasciuto e arrivato editorialista».

L’etimo della parola bamboccio, di cui bamboccione è la forma accrescitiva, reca con sé il marchio dell’infanzia e dunque della indifesa sprovvedutezza: bambo (forma toscana) e bambino sono alla radice di bamboccio e bamboccione. La parola bamboccio piacque ai francesi, che, nel secolo XVII, la trassero a loro nella forma bamboche, per significare ‘marionetta’.

Ingenue marionette torpide, questi bamboccioni; e pure paffutelli, perché restando in casa non ci si può sottrarre alla dieta ingrassante di mammà: «difficile immaginare un bamboccione senza un bel visone lustro!», commentava già, italiano nello spirito sebbene dalmata di nascita, lo scrittore e grande lessicografo ottocentesco Niccolò Tommaseo.

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