Se tira aria di crisi che cosa si fa: si corre il rischio di affondare o si rilancia? La storia dell'economia moderna dimostra che il motore propulsivo della produzione, la testa del grande organismo stratificato dell'impresa, cerca sempre di trasformare la difficoltà in risorsa, inventando nuove soluzioni. Sviluppatasi nel corso della crisi economica degli anni Ottanta del XX secolo, la vecchia pratica dell'appalto a terzi di attività si perfeziona, ristruttura, diversifica e, spinta dal dinamismo delle maggiori imprese prima nel mondo anglosassone (e statunitense in particolare) e poi nel resto dei paesi maggiormente industrializzati, si rinnova anche nel nome: ecco l'outsourcing. Vale a dire, l'affidamento all'esterno, non occasionale ma strutturale, da parte di un'azienda, di alcune proprie attività, in modo che l'azienda stessa possa concentrarsi sul proprio core business, cioè sulle attività strategiche e sui processi produttivi che la contraddistinguono sul mercato. In questo modo, l'azienda realizza una riduzione dei rischi, dei costi diretti, delle spese d'investimento e una maggiore flessibilità della manodopera. Esempi spiccioli di forme di outsourcing: trasferimento all'esterno della gestione della mensa aziendale; elaborazione dei cedolini-paga o, più in grande, consulenza finanziaria e amministrativa; gestione della sicurezza; trasporti; fornitura di elettricità; manutenzione delle reti informatiche; manutenzione dei servizi logistici.

Ci chiediamo: in italiano non esisteva già da lunga pezza un termine equivalente di "outsourcing", attestato nella lingua scritta soltanto a partire dai primi anni Novanta? Non bastava continuare a utilizzare il buon vecchio "appalto" (cinque secoli di onorata carriera alle spalle)? Bisogna ammettere che "outsourcing" designa un tipo di appalto particolare, non dettato da esigenze temporanee, che non inquadra ben noti meccanismi contingenti legati, per esempio, all'aggiudicazione di un certo lavoro dopo regolare gara. "Outsourcing", in sostanza, è un termine carico di nuove implicazioni che si riferiscono alle nuove realtà delle politiche aziendali, indirizzate verso la flessibilità e la parcellizzazione di attività un tempo tutte concentrate in un solo luogo fisico (e giuridico).

A dire il vero, qualche altro termine ha provato a insidiare "outsourcing". Ci ha provato "terziarizzazione" (affidamento a terzi, cioè a esterni, di quote o tipologie di lavoro), attestato dal 1975 in italiano, ma ha avuto poca fortuna, forse per la collisione semantica (lo "scontro" con un altro significato, diverso, posseduto contemporaneamente dallo stesso vocabolo) con l'accezione di "prevalenza di lavoratori occupati nel settore del terziario". Ci ha provato, ci prova e ci è riuscito in parte "esternalizzazione", diffuso a partire dalla metà degli anni Novanta nel lessico specialistico dell'economia. "Esternalizzazione" altro non è che un vocabolo derivato da "esternalizzare", altro termine di recente conio, adattamento dell'inglese "(to) externalize" (da "external", cioè esterno), verbo che significa precisamente "dare in outsourcing", "trasferire a fornitori esterni servizi e attività interni a un'azienda". Difficile prevedere se prevarrà "esternalizzazione" o "outsourcing". Facile immaginare che la contesa avrà agio di svolgersi nel tempo, dato che il fenomeno che entrambi i termini descrivono è destinato a durare.

Il lemma

Dal volume degli Addenda al Vocabolario della lingua italiana

Outsourcing sostantivo inglese [derivato di (to) outsource «subappaltare il lavoro ad altri», composto di out «fuori» e (to) source «attingere a una fonte»], usato in italiano al maschile. - Nel linguaggio economico, termine con cui viene indicato il comportamento di un'azienda che, nel definire le caratteristiche strutturali del proprio processo produttivo, decide di affidare all'esterno, in maniera non episodica, lo svolgimento o di un'intera funzione o di una parte delle proprie attività. In tale modo l'azienda tende a concentrare le risorse su una serie di «competenze di base» nelle quali essa si ritiene in grado di raggiungere una posizione di preminenza, affidando all'esterno tutte le attività per le quali l'organizzazione non ha una vocazione imprenditoriale, o specifiche esigenze strategiche, e non dispone di particolari capacità. I benefici ch'essa tende così a conseguire sono: la riduzione del rischio, la diminuzione dei costi diretti, il contenimento degli investimenti e il conseguimento di una maggiore flessibilità gestionale.

Dal volume degli Addenda al Vocabolario della lingua italiana dell'Istituto della Enciclopedia Italiana fondato da Giovanni Treccani, Roma 1997

Esempi d’uso

Cinque modi di usare il termine outsourcing

Il contratto di outsourcing, prevedendo una fornitura su scala internazionale, ci consente di mostrare al meglio le nostre potenzialità su tutta la gamma del servizio, dalla fornitura di rete all'assistenza.

La Repubblica, 17 ottobre 1994

[Ci sono i call center] delle grandi aziende, che impiegano i numeri verdi per corteggiare i clienti, e quelli invece che offrono al mercato le proprie "voci", i cosiddetti outsourcing.

Diario, 10 novembre 2000

Risulta però abbastanza diffuso l'outsourcing di funzioni più complesse: il 57% delle strutture pubbliche e private contattate ha affidato a terzi la manutenzione dei propri immobili, il 44% fa gestire in outsourcing i servizi logistici, il 21% si rivolge a terzi per la gestione e amministrazione del personale.

www.censis.it, 20 marzo 2003

L'esternalizzazione (o outsourcing) consiste nell'affidare una o più attività aziendali "non core" a un'organizzazione terza specializzata in modo da moltiplicare l'efficienza aziendale e ridurre i costi. Il credo dell'outsourcing è "a ognuno il suo mestiere" e "lasciamo fare a chi se ne intende".

ItaliaOggi Sette, 16 maggio 2003

I call center in outsourcing sono relativamente più localizzati nel Sud Italia. Grazie ai contributi europei molti imprenditori hanno delocalizzato l'azienda in queste aree dove tra l'altro è molto diffusa l'esternalizzazione.

laRepubblicaLavoro.it, 8 giugno 2006

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