L’ipotesi più accreditata sull’origine della vita* è che abbia avuto inizio in un ambiente acquatico, che i biologi hanno definito “brodo primordiale” o “brodo prebiotico”. Tanto è forte l’associazione fra la vita e il cibo che anche gli astrofisici, per spiegare l’origine dell’universo, sono ricorsi a metafore alimentari: hanno parlato, infatti, di zuppa di particelle elementari o zuppa di quark, e dal brodo alla zuppa il passo è breve. Meno breve, invece, è il passo che da queste ipotesi dovrebbe condurci a sapere come siano andate effettivamente le cose sia a proposito dell’origine della vita sia a proposito dell’origine dell’universo: nel merito, gli scienziati continuano a interrogarsi.
C’è VITA nello spazio celeste
Quelli attivi presso l’Agenzia Spaziale Italiana hanno chiamato VITA la missione spaziale 52/53, che il 28 luglio 2017 ha portato Paolo Nespoli per la terza volta nello spazio. La parola – si legge nei comunicati stampa ufficiali – è l’acronimo di Vitality, Innovation, Technology and Ability; ma la sua scelta è stata determinata anche dal fatto che essa rinvia agli esperimenti biomedici sui quali la missione è incentrata, evoca la nozione filosofica di vivere in uno spazio che ci è ancora inospitale e infine è una parola italiana (e contemporaneamente latina) nota all’estero.
Il pastore errante di Leopardi
Sulla vita s’interrogano anche i poeti. In versi belli e terribili quanto il volto della Natura che appare a un islandese nel cuore perduto del mondo, il pastore errante dell’Asia di Giacomo Leopardi accomuna astri, uomini e animali in un unico percorso di vita di cui gli sfugge il senso. Si rivolge alla luna e le chiede, in un chiasmo che equipara la vita breve degli uomini a quella immortale dei pianeti:
Dimmi, o luna: a che vale
Al pastor la sua vita,
La vostra vita a voi? dimmi: ove tende
Questo vagar mio breve,
Il tuo corso immortale? (vv. 16-20)
Poi descrive, in una sequenza asindetica che non lascia respiro, la corsa senza respiro che, per l’uomo, finisce nell’abisso spaventevole della morte:
Vecchierel bianco, infermo,
Mezzo vestito e scalzo,
Con gravissimo fascio in su le spalle,
Per montagna e per valle,
Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,
Al vento, alla tempesta, e quando avvampa
L'ora, e quando poi gela,
Corre via, corre, anela,
Varca torrenti e stagni,
Cade, risorge, e più e più s'affretta,
Senza posa o ristoro,
Lacero, sanguinoso; infin ch'arriva
Colà dove la via
E dove il tanto affaticar fu volto:
Abisso orrido, immenso,
Ov'ei precipitando, il tutto obblia.
E conclude:
Vergine luna, tale
È la vita mortale. (vv. 21-38)
Infine, il pastore parla al suo gregge, e per suo tramite a tutti gli animali, forse meno infelici degli uomini, non perché la loro vita abbia un senso, ma perché di questa mancanza di senso non hanno contezza:
O greggia mia che posi, oh te beata,
Che la miseria tua, credo, non sai!
Quanta invidia ti porto!
Non sol perchè d'affanno
Quasi libera vai;
Ch'ogni stento, ogni danno,
Ogni estremo timor subito scordi;
Ma più perchè giammai tedio non provi. (vv. 105-112)
Forse. Perché, più probabilmente, in qualunque forma e condizione, il primo giorno di vita è, per chi nasce, portatore di morte:
O forse erra dal vero,
Mirando a l'altrui sorte, il mio pensiero:
Forse in qual forma, in quale
Stato che sia, dentro covile o cuna,
È funesto a chi nasce il dì natale. (vv. 139-143)
Settant’anni dopo, Puccini
Il canto di questo pastore fu scritto fra il 1829 e il 1830. Quello che segue, intonato da un altro pastore («a voce spiegata, ma molto lontano», precisa la didascalia), risale a circa settant’anni dopo. Echeggia all’inizio del terzo atto della Tosca di Giacomo Puccini:
Io de’ sospiri
te ne rimanno tanti
pe’ quante foje
ne smoveno li venti.
Tu mme disprezzi,
io me ci accoro;
lampena d'oro,
me fai morir!
Il pittore Mario Caravadossi, condannato a morte, lo sente dai bastioni di Castel Sant’Angelo, mentre aspetta l’esecuzione. Poco dopo, scioglie il più celebre inno alla vita della storia del melodramma italiano (link):
E lucevan le stelle… e olezzava
la terra… stridea l'uscio
dell'orto… e un passo sfiorava la rena.
Entrava ella, fragrante,
mi cadea fra le braccia.
Oh! dolci baci, o languide carezze,
mentr'io fremente
le belle forme disciogliea dai veli!
Svanì per sempre il sogno mio d'amore...
L'ora è fuggita
e muoio disperato!...
E non ho amato mai tanto la vita!
Riferimenti bibliografici
Giacomo Leopardi, Canto notturno di un pastore errante dell’asia, in Canti. Edizione critica diretta da Franco Gavazzeni, a cura di Cristiano Amorosi, Franco Gavazzeni, Paola Italia, Maria Maddalena Lombardi, Federica Lucchesini, Rossano Pestarino, Sara Rosini, I. Canti, Firenze, presso l’Accademia della Crusca, 2006, pp. 432-437.
Vito Mancuso, Questa vita. Conoscerla, nutrirla, proteggerla, Milano, Garzanti, 2015.
Tosca. Melodramma in tre atti di Vincent Sardou, Luigi Illica, Giuseppe Giacosa. Musica di Giacomo Puccini. Milano, Ricordi & c., 1899.
*Alla storia della parola vita l’autore ha dedicato il volume Vita. Storia di una parola, Firenze, Apice Libri, 2017.
Immagine: Foto emblematica della Terra dalla Luna scattata dagli astronauti della missione Apollo 8 (1968)
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