Sergio Bonelli (1932-2011) ha lasciato, oltre a una schiera di eroi di carta, da Zagor a Mister No (sue personali creature), da Dylan Dog a Martin Mystere, fino ai più recenti Julia e Caravan, anche una locuzione di cui tutti gli appassionati di fumetto conoscono bene il significato: formato Bonelli, che indica il tipico albo sul quale le avventure di Tex (inventato dal padre Giovanni Luigi, detto Gian Luigi) furono da lui ristampate con grande successo, in luogo degli originari quadernetti a “strisce” orizzontali. Anche l’idea della ciclica ristampa degli albi dedicati a questo o quel personaggio è sua. Si basa sulla geniale intuizione che in ogni appassionato di fumetti si cela un collezionista; e sulla constatazione che ogni dieci anni, o anche di meno, si affaccia in edicola una nuova generazione di possibili acquirenti.

Agli antipodi di “Tex”

Il sistema-Bonelli ha la forza della stabilità antisismica. Fondato sulla tensione morbida fra accogliente tradizione e connotative, minime spinte centrifughe, conferma di funzionare anche nel fumetto che, per ambientazione e temi, è agli antipodi di “Tex” (https://www.treccani.it/lingua_italiana/articoli/percorsi_37.html), vale a dire il fantascientifico “Nathan Never”, collana intitolata all’eroe eponimo che è stata creata, all’interno della prolifica officinaBonelli, da Michele Medda, Antonio Serra e Bepi Vigna nel 1991.

La sequenza sintattica delle vignette aderisce alla successione cronologica degli eventi: caso mai, sarà possibile, modernizzando rispetto allo spazio-tempo ottocentesco di Tex, riprodurre la meccanica dei frame dei film di fantascienza tinteggiati di noir, disseminati di momenti di alta tensione, e quindi, per esempio, dilatare, scandire e parcellizzare l’attimo. È quanto accade in una coppia di vignette nell’avventura Doppio futuro (pubblicata nel 1995 nel primo “Nathan Never Gigante”, sceneggiatura di Antonio Serra, disegni di Roberto De Angelis): nella prima si vede Nathan, l’eroe triste y solitario ancor più malinconico del Rick Deckard di Blade Runner (cui in parte s’ispira), che impugna un tecno-pistolone, accostandosi a una finestra illuminata; nella seconda, l’inquadratura è identica e Nathan è ripreso nella stessa posa (unica variazione, il braccio libero abbassato), ma l’ideofono click, sovrimpresso sulla finestra, e l’effetto notte con cui i neri delle matite ammantano il profilo di Nathan e l’ambiente circostante (la luce si è spenta!), fanno capire che la lancetta dei secondi si è spostata in avanti. La vicenda sta per fare un balzo attraversando il vuoto della suspence che precede l’epifania del futuro che si svelerà nell’attimo presente (questi “segnali di stile” sono individuati da Luca Raffaelli nel ritratto del personaggio Nathan Never alle pp. 244-245 del suo Tratti&Ritratti. I grandi personaggi del fumetto da Alan Ford a Zagor, minimum fax, Roma 2009 http://www.minimumfax.com/).

Nathan Never e il taglio cinematografico

Insomma, con “Nathan Never” la struttura narrativa resta sostanzialmente la medesima, mentre la dinamica varia e si articola venendo incontro alla sensibilità tardo-novecentesca della generazione di lettrici e lettori cresciuti a pane e arti visive. Ad esempio, nel n° 2 di “Nathan Never” le prime sequenze della storia intitolata Il monolito nero (di Medda, Serra e Vigna, con Germano Bonazzi alle matite) sono di taglio cinematografico. Si tratta di rapide istantanee in successione, che raffigurano un inseguimento elicottero-macchina, con esplosione finale di quest’ultima. Quattro strisce orizzontali si spartiscono la pagina. Un solo elemento di parlato («Maledizione!», urlato dal conducente dell’auto, nella prima striscia) e, in ogni striscia, almeno un ideofono dal lettering marcato per dare espressione a rombo di motori, fiamma di lanciarazzi, detonazione, deragliamento e impatto violento.

Stinchi di santo nei bassifondi

A bordo della sua corazzata tartaruga con vela, brandendo l’insegna con su impresso il motto augusteo del festina lente, Sergio Bonelli entra, con il carisma naturale dei suoi intangibili precetti semiologici e linguistici, all’interno di tutti gli eterogenei mondi degli eroi affidati a questo o quell’eccellente disegnatore o creatore di storie. Se oggi la lingua di “Tex” è percettibile come un italiano standard avvolto da un amabile aroma di antiquata compostezza, non si può dire che l’italiano dei personaggi di “Nathan Never” si sia staccato dalla norma in direzione di chissà quale eversiva effrazione gergale o tecnicistica (pure, il genere fantascienza garantirebbe incursioni nel linguaggio scientifico o pseudo-scientifico). Alle prime battute della già citata storia Il monolito nero, l’ispettore Ishimori si rivolge con queste parole a Nathan: «Come vedi, gli hanno messo a soqquadro la casa… Morrell non è mai stato uno stinco di santo. E stavolta deve aver pestato i calli a qualche pezzo da novanta». Sembra un triplice concentrato Mutti di sapide battute che gli autori di una storia di “Tex” avrebbero sparpagliato in una decina di vignette. Siamo in presenza di locuzioni colloquiali non aliene allo standard che danno una sensazione di verosimile adeguatezza a una lingua parlata downtown, perdipiù del futuro, grazie alla frequenza d’uso molto alta di imprecazioni, frasi smozzicate, locuzioni espressive. Insomma, la quantità fa qualità, cioè, nel nostro caso, colore linguistico e tono espressivo.

I fulminacci! di Furio

Eppure, l’ancora della tradizione è sempre pronta all’uso: «Ma tu, piuttosto, che diavolo volevi da lui?», chiede l’ispettore subito dopo; e «Al diavolo!», replica sempre il giapponese a una battuta di Nathan. Puro stile “Tex”. Anche qui, come in “Tex”, invettive e ingiurie non mancano (i cattivi usano spesso bastardo), ma si tratta del solito turpiloquio “per famiglie”. Se Legs, collega di Nathan ridisegnata sulla Sigourney Weaver del primo Alien, a un certo punto porta al massimo dell’incandescenza consentita dal “codice Bonelli” il linguaggio triviale, pure lo fa attenuando l’esplosione («Il bastardo ci sta sfottendo!») con un’imprecazione che sembra uscita da una commedia toscana dell’Ottocento: «Non lo so, fulminacci!». E che fa anche pensare (saremmo alla delizia del citazionismo postmodernista) a una citazione da “Tex”, se non addirittura da un altro eroe pre (1941) e poi postbellico di casa Bonelli (padre), quel Furio Almirante brutto ma simpatico scazzottatore (http://www.sergiobonellieditore.it/) che se ne usciva con bizzarre esclamazioni come «Fulminacci in salsa blu!». Perfetto, il sistema tiene, il magico, unitario, rassicurante spazio-tempo bonelliano si propaga coerente attraverso gli anni, per la gioia del suo confortato pubblico.

Immagine: Copertina dell'albo Nathan Never n. 200 (L'ultimo anello), (C) Sergio Bonelli Editore.