Questa è la quarta e ultima puntata di un'indagine volta ad analizzare le caratteristiche della produzione poetica che sceglie la via di Internet.

Fare i compiti

Primo indizio: apri la antologia. Le trovi alla fine della poesia, occupano una paginetta circa, sono costituite da almeno dieci domande di natura stilistica. Hai già capito. Confesso che anche io, a scuola, sbuffavo alla sola vista di “analisi del testo”. Individua le figure metriche e retoriche, motiva il lessico utilizzato dall’autore, stendi un commento all’opera e così via. Mentre svolgevo il compito, desideravo solo fermare il tempo e rileggere la poesia. Rileggerla anche dieci volte, in silenzio, lontano da una finalità. Fortunatamente poche esperienze di questo tipo mi segnarono, la mia professoressa di italiano del liceo non amava i percorsi convenzionali e grazie al suo metodo sviluppai una sensibilità ricettiva del testo poetico, se così si può dire, fuori dagli schemi. Poi, nel mio percorso di studio e ricerca personale, incontrai i testi di Pier Vincenzo Mengaldo. La mia vita cambiò, ma questa è un’altra storia. Quello che voglio sottolineare è che la poesia, già nei banchi di scuola, è presente per fornirci gli strumenti di un cambiamento, che possono parlarci solo e se si imposta un percorso che educhi non solo alla ricezione del testo – s’intenda anche tutto ciò che si muove intorno a questo −, ma anche alla complessità del fare poetico. Ora che mi imbatto in unità didattiche e programmi, il quadro mi è chiaro, e la tendenza naturale che mi spinge alla connessione di discipline e dintorni – a un viaggio unico, ma a tappe – mi permette di scorgere ogni sfumatura della poesia, che è visione, valore linguistico, processo comunicativo, pensiero produttivo e tanto altro ancora. Potrei tediarvi all’infinito. La poesia, insomma, è tutte le cose? Mario Luzi direbbe che è in tutte le cose. In quest’ultima puntata dell’indagine, che si concentra sul rapporto imprescindibile tra didattica e poesia, mi piacerebbe arrivasse un messaggio in più: la poesia è essa stessa un potentissimo strumento didattico. Fuori e dentro la classe.

Medicine per il «dissueto orecchio»

Fuori e dentro la classe, dicevamo, ma anche e soprattutto nel web. Contro il primo dei luoghi comuni, ovvero che “la poesia è solo dei morti”, ho scoperto –  relativamente da poco, lo ammetto – un blog nato a scuola, per la scuola e oltre. Già il titolo I poeti sono vivi, esemplificativo della posizione estetica e metodologica, si pone come un’esortazione a immergerci nella fattualità del testo poetico odierno, che è ancora utile e, appunto, vivo. Dal 2012 il progetto promosso da Pordenonelegge.it e dal Liceo “Leopardi-Majorana” di Pordenone, e realizzato da Roberto Cescon insieme ad alcuni importanti compagni di strada, ovvero Tommaso Di Dio, Maddalena Lotter, Rossella Renzi, Giulia Rusconi e Francesco Tomada, si propone di presentare una poesia al giorno in classe, «uno dei pochi posti dove ancora si sente menzionare questa parola,che quasi sempre viene trattata come una cosa lontana dal presente e incomprensibile se non con le “pinze” di concetti articolati e complessi, che scoraggiano qualsiasi entusiasmo». Il manifesto del sito, che è racchiuso nella colonna a destra della copertina, rinnova un’urgenza, quella di ritornare ad avere «una confidenza» con quest’arte, che «si nutre» proprio del nostro orizzonte quotidiano. È qualcosa che, insomma, è molto più vicino a noi di quanto crediamo. Basta abituare l’orecchio e non propriamente la vista, anche perché, come ci insegna Leopardi ne Alla primavera, la poesia intrattiene una intima connessione col suono, che inevitabilmente capta rumori antichi di cui non si sa l’origine. Il sentire poetico passa di lì, attraverso le distanze che non hanno bisogno di confini, attraverso un ascolto lungo che, nel primo approccio, supera l’astratto e il concetto per arrivare dove deve arrivare. Ristabilire una connessione con questa sfera già in ambito scolastico permette, dunque, di educare – di nuovo e diversamente – all’esperienza estetica. Da qualche tempo una parola da accademia che sappiamo solo pronunciare. Ma non a scuola. Ovviamente.

Ricezione e generatività

«Chi legge poesia, infatti, deve accettare di essere in qualche modo attratto e distratto dalla materialità sonora di un testo, che richiede una modalità di attenzione diversa, quindi, rispetto a una storia o a un’argomentazione». Di un’attenzione diversa, di una strategia personale e umana tratta la rubrica di Simone Giusti Una poesia per insegnare, nata nel 2012 dall’incontro con la redazione della rivista La ricerca (Loescher Editore), che sul web e per il web cresce, come un puzzle, grazie alle voci contemporanee del panorama poetico. Formato post, modalità comunicativa inedita e obiettivo chiarissimo, ovvero spiegare non una poesia, ma, nella pratica vera di condivisione di esperienza, «far provare alle persone la possibilità di compiere un’esperienza estetica attraverso la fruizione di un’opera poetica». Coerentemente a una didattica della letteratura, la scelta di parlare in prima persona si pone come necessaria per «far capire ai miei alunni che senso ha la letteratura nella vita di una persona», prosegue l’autore, «a cominciare dalla mia». Se l’obiettivo di una lettura di una poesia è quello di oltrepassare il testo, di usarlo come insegnamento e non come sequenza di parole da imparare a memoria, risulta essere molto importante preparare gli alunni al salto, quello che spingerà loro verso la generatività, ovvero verso una lettura consapevole, che sa guidare al cambiamento e al miglioramento. La prospettiva è dunque ribaltata ed è interamente dedicata alla dimensione di chi legge un testo e impara qualcosa. Simone Giusti mi consiglia due nomi, Jean-Marie Schaeffer e Marielle Macé, i quali si stanno occupando proprio dei problemi legati alla fruizione delle opere letterarie e del loro impatto sulla vita delle persone. «La poesia, in particolare, sarebbe in grado di far compiere esperienze estetiche mettendo in gioco le risorse attenzionali delle persone in un modo singolare, diverso da quello richiesto dalla fiction»: per questo un’educazione efficace deve abbracciare anche un «ritardo nella comprensione delle informazioni contenute nel testo». Perché una poesia può funzionare senza che si intervenga con un approccio analitico. Funziona e basta. E, per fortuna, la poesia non è una somma di figure retoriche. Anzi, quello che spesso viene omesso – per motivi a me tuttora ignoti! – è che il nostro stesso pensiero è il risultato di accorgimenti altamenti retorici. Lo diceva anche Nietzsche. La forma della poesia ci appartiene, perché la retorica non è un accessorio della parola, è esattamente la parola nelle sue manifestazioni. È la sagoma di un vestito che possiamo indossare. Se riusciamo a vederlo.

*Giornalista e critica letteraria

Risorse cartacee

Afribo A., Poesia contemporanea dal 1980 a oggi: storia linguistica italiana, Carocci, Roma, 2007.

Berardinelli A., Cordelli F., Il pubblico della poesia, Castelvecchi editore, Roma, 2004.

Casadei A., Poetiche della creatività. Letteratura e scienze della mente, Bruno Mondadori, Milano, 2011.

Cavallo G. - Chartier R., Storia della lettura, Laterza, Roma-Bari, 1995.

Ferretti N., La parola nascosta. Percorsi didattici nella poesia, Carocci, Roma, 2004.

Mortara Garavelli B., Prima lezione di retorica, Laterza, Roma - Bari 2013.

Nancy J., La custodia del senso, EDB, Bologna, 2016.

Renzi L., Come leggere la poesia, Il Mulino, Bologna, 1985.

Immagine: Di Hans Braxmeier [CC0 o CC0], attraverso Wikimedia Commons