Nella mole sterminata di libri che vengono pubblicati in questi anni (in particolare nel campo della narrativa), è inevitabile che stentino ad essere notati molti testi validi, penalizzati dal fatto di non godere del sostegno della grande editoria e della stampa, a causa della loro non convenzionalità. La ricorrente lamentazione riguardo all’inesistenza, nell’Italia di oggi, di romanzi che esulino dalla piattezza contenutistica e stilistica è priva di fondamento, ciò che risulta evidente soprattutto se si ha la pazienza di cercare proposte a cui non è concessa visibilità. Nei cataloghi di tanti piccoli editori coraggiosi si trovano opere che vale la pena di provare a portare all’attenzione di quei lettori che non si accontentano di scegliere i libri direttamente dalle classifiche di vendita pubblicate nei giornali.

Tra le opere semisconosciute che fa piacere segnalare c’è Swing! di Michele Fianco, uscito nel 2011 presso un piccolissimo editore (Polimata), e attualmente pressoché sparito dalla circolazione. A suo tempo gli unici a notarlo sono stati pochi critici molto attenti alle scritture sperimentali, come è perfettamente spiegabile data la natura del testo, che riprende almeno in parte le modalità strutturali e rappresentative degli antiromanzi di matrice neoavanguardista.

L’ironia come bussola

Attraverso i brevi capitoli di cui il testo è costituito non si può ricostruire una vicenda lineare e compiuta, e anzi per lunghi tratti il lettore è disorientato dall’instabilità dei piani discorsivi. In realtà lungo le pagine si snodano alcune linee narrative, ma il loro sviluppo è continuamente ostacolato, si direbbe sabotato da un narratore che non nasconde la propria volontà di frustrare le attese dei lettori più affezionati a un’idea convenzionale di trama, ai quali si rivolge beffardo: «non immaginate nemmeno per un secondo una continuità della storia, una pienezza tra quotidiano ed emozione»; «Sì, provate a trovare un filo, una soluzione».

Lo stesso statuto della voce narrante è incerto: non è affatto detto che a parlare sia sempre la stessa figura (almeno in un capitolo si assiste ad un sicuro cambio di prospettiva, visto che si ha una voce femminile). Così come il tu che costituisce un riferimento in molte pagine non necessariamente designa sempre la stessa persona.

È difficile resistere alla tentazione di attribuire al titolo una funzione di chiave di lettura: lo swing, com’è noto, è un genere musicale che rifiuta le forme chiuse in favore dell’improvvisazione. La mancata progettazione risponde ad un preciso programma antinarrativo, che però appare motivato non tanto da intenti polemici, quanto piuttosto dall’adesione incondizionata all’ironia come bussola per orientarsi. Si può certamente applicare all’autore quanto viene detto di un personaggio: «Fu così, che scelse la strada a lui più naturale, quella dell’ironia. L’unica, vera sorella amorevole e comprensiva che avesse mai avuto». La personificazione di Sorella Ironia, che ricorda certe figure della poesia medievale, accompagna il narratore lungo tutto il suo percorso accidentato, prendendo di volta in volta le caratteristiche di mezzo magico («l’unico strumento che mi lascia in piedi»), luogo mentale («in quello spazio tra ironia – e cioè là, dove non è mai certa la luce del sole, se si tratti di un’alba che promette chissà cosa o di un tramonto vissuto e attraversato ancora da non si sa cosa – e dramma»), presenza straniante («fontane di ironia nelle piazze seriamente serie, davvero serie»).

Tra le manifestazioni concrete dello sguardo ironico del narratore si possono citare gli stravolgimenti di frasi stereotipate, rese incongrue dal cortocircuito tra significato proprio e figurato delle parole («Fu in quel momento che l’architetto prese il calice – il più amaro – e lo spezzò»); oppure dall’inversione dei termini («Erano passati anni pesanti come minuti e settimane come istanti»).

Il ritmo della prosa

È tipico della musica swing l’andamento fortemente sincopato, il privilegiare il ritmo sulla linearità melodica. La prosa di Fianco è improntata a questi principi, nel suo procedere continuamente a saltelli; la sintassi è fortemente frammentata: i periodi sono per lo più brevi, e quando si diffondono vengono scanditi da incisi (spesso costituiti da semplici avverbi o locuzioni avverbiali) che ne impediscono la distensione. Ne deriva tra l’altro una caratteristica che si coglie a prima vista, ossia la marcata ipertrofia interpuntiva, che in moltissime occasioni isola le singole componenti frasali rendendo accidentati anche periodi semplicissimi (bastino due esempi minimi: «Il concetto di furto del lavoro, concepito, appunto, ere fa»; «La stampa e altri organi di informazione, invece, non lesinavano, spesso denigrando, paragoni»).

È coerente con quanto notato anche la generale limitazione del ruolo dei verbi – essenziale per uno sviluppo progressivo della prosa – a favore di quello dei sostantivi; sono molte le realizzazioni di stile nominale, come le seguenti: «Invece, abbastanza anonime alcune portate successive. Più che anonime, ingannevoli, apparentemente prospettiche, ma deboli»; «E ancora, gli incontri con te, con te e con te, l’amore passato a letto, in giro, per strada o negli occhi, la chimica e l’anima, le mani e il sudore, l’idea, la luna e una voce».

Nell’ultimo esempio citato emerge un altro fenomeno ricorrente: l’enumerazione, non di rado caotica, come in questo passo: «Ma facevano parte del gioco anche le storie di uomini che ti ho raccontato, quella fotografia con mille, centomila volti, i concerti, i pranzi, i medici e i laboratori, i manicomi e gli incontri di pugilato. E ancora, le auto, i satelliti, i portali e le anarchie».

La figura riflette le spinte centrifughe evidenti a tutti i livelli in Swing!; ma va detto che nel romanzo appare attiva anche una tendenza contraria, la quale porta a tentare di ordinare il caos dell’esistenza tramite strumenti analitici di derivazione scientifica. Ne sortisce in realtà un effetto di coincidentia oppositorum; terminologia e categorie prese dalle scienze vengono fatte coesistere con manifestazioni di figuralità non ordinaria, con risultati spiazzanti, come questi: «Così, cominciò a screpolarsi il mondo, ad inurbarsi di scheletri organici e inorganici nella parte esposta al sole, mentre dall’altra parte esplosero pupille e bulbi, l’irsutismo cominciò ad invadere il territorio della pelle buia e lattiginosa e la tristezza la potevi trovare a giocare a carte con una morte senza voglia, pure lei»; «come in un enorme imbuto, cominciano a scivolare e a convergere sempre a velocità maggiore fatti, ricordi, persone e incontri, fino a concentrarsi e a fuoriuscire miscelati. È la teoria dei buchi neri, più o meno».

Michele Fianco (Roma 1968) è autore di molti testi in prosa e in versi, pubblicati in antologie e in riviste. La raccolta Versi in via di liberazione (e un numero civico) è uscita nel 2008 presso Le impronte degli uccelli.

Immagine: Esther Bubley [Public domain], via Wikimedia Commons