Vivere insieme e in transitu

Una tensione verso il punto zero della poesia non implica semplicemente una perdita di sofisticazione. O meglio, non solo. Nel procedimento artistico che sembra caratterizzare la contemporaneità femminile, la ricerca di purezza stilistica e umana va di pari passo con il progressivo coinvolgimento di più dimensioni, le quali, mentre riproducono la realtà, si avvicinano sempre di più all’esperienza viva della poesia. Accorciare le distanze: è possibile? Accorciare le distanze creando uno nuovo spazio e dire tutto, con il corpo. L’aspetto materico e autentico del messaggio in versi può viaggiare anche attraverso una voce che si fa performance, mani, partenze, ritorni, assenze che si raccontano. Luogo «mobile della creatività e della concordia», secondo una definizione di Armando Gnisci, la Compagnia delle Poete, a partire da personali storie di migranza, si presenta come una delle realtà più originali e coerenti del panorama poetico contemporaneo. L’obiettivo del gruppo di scrittrici straniere e italostraniere, almeno in parte italofone, è creare una sorta di orchestra – verbale, musicale, scenica – nella quale confluiscano tradizioni linguistiche e culturali, per restituire alla poesia la sua voce transnazionale,  riconoscibile nella originaria oralità condivisa. Senza ibridazione, oggi, un discorso letterario vero rischia di morire.

La vicinanza carnale del verso

La costruzione del verso è operata tramite un principio che individua nei suoi elementi moltissimi segni di integrazione, e non semplicemente una somma meccanica di fattori. Senza questa concordanza la creazione non sarebbe possibile. Ecco che il ritmo, garante della dinamizzazione del senso poetico, si configura come un elemento essenziale per questa coralità di voci: l’approccio poliartistico adottato trasforma in flessibili le barriere dell’esperienza individuale della lettura in versi, riumanizzandola continuamente. La musica, infatti, garantisce e amplifica allo stesso tempo la circolazione, quasi per “conduzione elettrica”, dei versi. Se la poesia ha la forma di un incontro, e se la letteratura non è (per fortuna) definizione, l’idioma che ne deriva sarà carico di continui spostamenti, ovvero di quelle «parole in transito» di cui parla Mia Lecomte, ideatrice, fondatrice del gruppo e “super-autorialità” nel processo di composizione artistica. La scelta di circoscrivere l’ambito dell’esperienza al femminile, dichiarava in un’intervista sulla rivista «Testimonianze», fu in principio meramente istintiva e legata a un personale disagio nei riguardi di tutte quelle forme di intellettualità ufficiale che non permettevano la piena realizzazione della vitalità poetica. Il lavoro sui testi, però, ha poi rivelato una «vicinanza carnale» delle parole, naturale e necessaria per il dettato poetico: il filo rosso che regge l’identità in movimento perenne della poesia è, secondo Mia Lecomte, quello dello «straniamento esistenziale, sottolineato dall’estraneità linguistica comunque sempre percepibile, declinato lungo le varie “tappe” di una sorta di via crucis dell’identità femminile migrante». Proprio la comparsa del corpo nell’universo performativo e sonoro si presenta come una cifra di riconoscibilità della Compagnia. Le Poete, infatti, non sono attrici, sono corpi. Sul palco la soggettività delle singole diventa un evento, quel gioco intensivo della presenza che precede ogni storia, ma parla per tutte. Soprattutto parla in un universo di intrecci che, tra poesia e vita,  cerca con tutte le possibilità di ricomporre in unità l’idea stessa di distanza. Si parlava infatti di continui spostamenti: che forma potrebbe avere la verità – la nostra, contemporanea – se non quella di una testimonianza fisica, mobile, flessibile e policentrica?

Oltre i confini del canone

«Questo modo di storicizzare non è più tollerabile, perché, semplicemente, non è vero, non rispecchia la vivacità di quanto accade». Così Roberto Deidier, in un articolo sul suo blog personale, riflette sul senso del canone in merito alle nuove realtà poetiche_._ La poesia transnazionale, che vive nell’esperienza della Compagnia delle Poete, ci pone effettivamente di fronte a una verità: l’oggi è una sfumatura e nel collettivismo (linguistico, esistenziale) sono racchiusi tutti i transiti necessari della poesia in italiano. Nel nostro caso, anche la peculiarità delle voci del gruppo, ovvero la parola-detta (prima che scritta), si fa spia di un’esigenza più ampia del panorama contemporaneo. Sembra che sia proprio l’esigenza di una certa narratività, più fisica e viva, a creare i canali espressivi della poesia. Il dialogo, del resto, non solo è esso stesso un passaggio obbligato di autenticità nei confronti dell’atto creativo, ma garantisce la formazione di una identità. Le poete, per scrivere, devono imparare ad ascoltarsi reciprocamente e ad accogliere dentro di sé le potenzialità delle voci. Sempre Deidier ricorda che siamo passati «dall’Io è un altro» a un «Io è gli altri»: la pluralizzazione si è evoluta proprio perché risponde ai movimenti della Storia e contemporaneamente alla necessità di accordare tutti i suoni verso una narrazione identitaria. Il verbo, in questo processo, diventa un prisma: tutto trattiene e riproduce, ma attraverso un reale “corpo a corpo” di lingue che trascolorano l’una nell’altra. I confini trovano così un’appartenenza che ha la forma di un corpo di donna. Perché, come ricordava Amelia Rosselli, «la donna con la sua fisiologicità corporale [...] ha qualcosa non di diverso da scrivere, ma di più fisiologico da distinguere anche sul piano contenutistico».

Bibliografia e link utili

F. Armato, Premiata Compagnia delle poete, Cosmo Iannone Editore, 2013.

E. Glissant, Poetica del diverso, Meltemi, 1998.

M. Lecomte, Di un poetico altrove. Poesia transnazionale italofona (1960-2016), Franco Cesati Editore, 2018.

Intervista corale, giugno 2014

Intervista in «Testimonianze»

Roberto Deidier, La premiata Compagnia delle poete, dal blog del poeta, 1° dicembre 2014:

J. Nancy, Corpo teatro, Cronopio, 2010.

A. Rosselli, È vostra la vita che ho perso. Conversazioni e interviste 1964-1995, a cura di Monica Venturini - Silvia De March, Firenze, Le Lettere, 2010.

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