Di certe cose
Dal 22 giugno al 22 luglio 2006 sarà aperta a Firenze, presso la Biblioteca Marucelliana, una mostra dedicata ai poeti Dino Campana e Nelo Risi.
La mostra, organizzata dal Comune di Firenze, dalla Biblioteca Marucelliana e dall'Associazione "Premio letterario Dino Campana", comprende l'esposizione di dieci disegni di Antonio Possenti ispirati alla vita e alla poesia di Campana, del manoscritto di Campana Il più lungo giorno e di tutte le opere di Nelo Risi: un modo originale per festeggiare la consegna a Risi del premio letterario Dino Campana per l'opera Di certe cose (poesie 1953-2005), che raccoglie per la prima volta l'intera produzione poetica del poeta lombardo.

Nel caos del Novecento
Nelo Risi (Milano, 1920), fratello del regista Dino (e regista anch'egli), sposato con la scrittrice Edith Bruck, è poeta tra i più interessanti del secondo Novecento italiano. Egli sta tutto dentro il gran caos combusto del linguaggio poetico del secolo scorso, che nella fornace ha bruciato codici e strutture ottocenteschi (quelli che ancora oggi risuonano nelle nostre orecchie con grazia scolastica di versi rimati), tanto che numerosi studiosi hanno potuto notare come la segmentazione del testo in unità versali rimanga l'unico tratto distintivo capace di distinguere la poesia dalla prosa nella tradizione poetica occidentale contemporanea. Di più: Risi sta già dall'altra parte del secolo, dopo le folate vitalistiche delle prime avanguardie, dopo le concentrazioni individualistiche dell'ermetismo, dopo (qui per sua scelta, vista la parziale contemporaneità cronologica) il verseggiare retoricamente atteggiato del neorealismo; già alle prese con i problemi di una relazione di potere tra dire dell'intellettuale-artista e dire dei linguaggi della società che si va mercificando, plasmati entro circuiti di comunicazione che esorbitano dalla pagina del libro e investono con violenza ogni dire, da quello specialistico a quello comune, da quello vernacolare a quello aulico. È in gioco il ruolo dello scrittore e del poeta nella società di massa. È messa in discussione la sostanza, la natura e la finalità del linguaggio del poeta. Si va diffondendo la tesi del carattere ideologico di ogni linguaggio. Se il poeta - si sostiene da più parti - usa il linguaggio dei suoi tempi, automaticamente rischia di farsi portatore dei valori (borghesi, conformistici, repressivi, manipolatori) che quel linguaggio con passo inevitabile non può che veicolare. In questo humus di pensiero si radica l'esperienza del Gruppo '63, della nuova avanguardia che, fuggendo la norma come peste, contestando gli istituti comunicativi e linguistici, giungendo perfino, in alcuni momenti e in alcuni suoi esponenti, a distruggere il componimento poetico come testo dotato di significato, ha voluto correre il rischio di approdare a un linguaggio convenzionale nella sua rigidità anti-convenzionale, manierato nel suo rifare il verso ai manierismi dei linguaggi e delle retoriche detestate (pubblicità, politichese, burocratese), intrappolato nella logica estrema della ripulsa dell'altro da sé che si risolve nella afasia e nella dissociazione incomunicante del sé.

Una disperazione che sa parlare
Erede di una secolare tradizione di pensiero illuministico, dotato di una precisa e furente visione del mondo di taglio politico (tra il rivoluzionario e l'anarchico), Risi ha, a differenza di altri poeti che nella neoavanguardia si sono identificati, voglia di credere nella capacità comunicativa del linguaggio che sceglie e che adopera. Elegante, nitido di segno, rapido, anti-retorico, diretto, asciutto fino alla riduzione tendenziale allo zero del metaforico e dell'analogico, anche quando cela soltanto in parte il suo disgusto o la sua delusione per i tempi grami («il missionario che predica rassegnazione ha colpa, lo stato / che predica segregazione ha colpa, la milizia / che in obbedienza schiaccia ha colpa» - si noti la forza martellante, quasi ieratica, di "ha colpa", in epifora, cioè in ripetizione alla fine di versi successivi) e per la mollezza della "categoria" cui appartiene («Domina l'informazione / e il poeta torna cieco»; «Questi poeti non fanno che gemere / gufi cornacchie nottole Cassandre»), Risi non intende venire meno al compito che si è assegnato: «Sono per una poesia civile fatta da un uomo pubblico in tempo reale, sono per un linguaggio tutto teso che sia di per sé azione; voglio parlare di quello che ci offende, scrivere di quello che ci indigna». Questa "poesia civile" è chiara e univoca nella veste formale anche quando l'ironia feroce movimenta con le arsi giocose delle assonanze e delle consonanze interne il dettato ritmico e il tessuto ludico del linguaggio. Si prendano ad esempio i versi finali di Dalle regioni dell'aria, uno dei più noti componimenti della fondamentale raccolta Di certe cose (che dette in versi suonano meglio che in prosa) del 1970. L'ironia attraverso l'uso raffinato delle figure retoriche di suono (che ci rammenta l'autoconvocazione di Risi tra gli «stilisti dell'usuale») è palese nell'ultimo verso, che si regge su una struttura quasi-allitterativa, fondata sulla ripetizione "appiccicosa", a brevissima distanza, delle nasali m e n:

E perché l'occhio abbia la sua parte
una ninfetta nuda dentro una sfera di cristallo
in orbita nel suo perielio pubblicitario
prova lacche rossetti deodoranti e assorbenti
tra il disordine oh! studiato
di mini intimi indumenti

O anche i seguenti versi che seguono (sempre tratti da Di certe cose), animati dal ritmo sanguigno battuto dentro le strofi da due enormi "cuori" nominali - la diastole di «chi si muove con grazia» e la sistole di «chi si muove goffo»:

Chi si muove con grazia?
un viso tutto da bere
un Coriolano vinto
un cameriere defunto
un artigiano al tornio
un aratro forbito
un uccellino dipinto
una ragazza in topless
due versi di Cummings
diecimila negri che manifestano
un poeta greco
l'amico solo rimasto
un giocatore d'azzardo
un invertito platonico
un fuoco di legna
un leopardo anche in gabbia...

Chi si muove goffo?
un cuore interessato
un fuoco di paglia
un padrone impettito
un servo sciocco
un astronauta nel vuoto
un ministro sul video
un colonnello greco
un carro armato nel traffico
i fedeli in massa
un pastore corrotto
un paria con l'elmetto
un uomo in mostra
una signora in vetrina
un possidente in lacrime
una pace avvelenata...

La grazia non ha peso
e fa sorridere
Il potere è goffo
che ti fa piangere

Noteremo il tono brechtiano che scandisce i riferimenti puntuali alla cronaca o alla recente storia politica («un astronauta nel vuoto», in tempi di missioni spaziali sovietiche e soprattutto statunitensi; «un colonnello greco», pensando al regime militare che abbatté la democrazia di Papandreu nel 1967; «un carro armato nel traffico», immagine che evoca le milizie sovietiche a Praga nell'agosto del 1968); e noteremo come tali riferimenti viaggino spediti per linee elencatorie, riavvicinate talvolta da consonanze meno (vinto / defunto / dipinto; corrotto / elmetto) o più (topless / Cummings) ardite. Anche se Risi ha scritto (in Amica mia nemica del '76) versi molto riusciti sulla propria infanzia borghese a Milano, la sua cifra caratteristica di osservatore critico della realtà tornerà a stamparsi sulle pagine delle ultime raccolte e l'evocazione della «quiete di bosco» dell'infanzia si tirerà dietro il brusco scarto di consapevolezza dell'anziano poeta: «No, non è affatto tranquillo il bosco / oggi che lo ripercorro a passo lento. / Fronte allo scempio allora meglio / a ognuno il suo alberello, che cresca / una foresta come a Gerusalemme, a dare / un pensiero ai morti» (da Il mondo in una mano).