Amore, anima, corpo, eros, vita. Cinque elementi per fare carne appetibile di tante umane avventure. E, a sprigionare la potenza dominante di un fluido coesivo, si aggiunge l'essenza magica, il più delle volte stregonesca, che ogni passione dei sensi e degli spiriti trasforma in amor brujo, sortilegio e legame, incantesimo e catena. L'ultimo romanzo di Alberto Bevilacqua, (Parma, 1934 – Roma, 2013), quasi un'epitome dei temi di gran parte della sua opera, si intitola appunto L'amore stregone, in cui le onde magnetiche del mistero corrono – proprio come nel balletto di Manuel De Falla – tra due donne, investendo un uomo.

Magia e anarchia dell'Oltretorrente

Bevilacqua ha sempre vantato lo scorrere nel suo sangue di una cordiale vena di alterità, la stessa declinata in bislaccheria, stranezza e visionarietà, con slanci di mistero, da altri scrittori e artisti emiliani e fiumaroli come lui. Lungo le nebbie magiche del Po, nel silenzio gravido delle lanche, stanziavano certi stregoni randagi, che la nonna fece conoscere al piccolo Alberto, affascinandolo. La stessa nonna che, col gatto sotto braccio, si aggirava di sera per il quartiere natio di Oltretorrente («anarchico», ci teneva a sottolineare lo scrittore) per entrare in contatto con lo spirito del marito morto. Forse anche gli ultimi colloqui letterari di Bevilacqua con la propria amata madre danno per acquisita la possibilità del dialogo con l'altrove. L'altrove, che si sciolga dentro il tino ribollente del mosto umano dei sensi e dei sentimenti o, viceversa, si vaporizzi in etere spirituale che accoglie le anime dei vivi e dei morti, appartiene alla genetica culturale dello scrittore. Il quale, però, non sceglie la via degli sperimentalismi e degli azzardi ideologici tipici degli anni Sessanta e Settanta per far deragliare il romanzo dalla norma. Uomo di liquida pragmaticità e di intelletto eclettico, renderà un suo servizio onesto e serio immettendo nell'alveo della narrativa mainstream l'ignoto che bolle in noi o evapora da noi in modi sempre intelligibili. Il massimo del rischio estetico corso da Bevilacqua sta nell'abbandono a certe generose, talvolta incontrollate, colate laviche di sentimentalismo viscerale.

La tendenza al melodrammatico

«Bevilacqua è così fatto: frequenta gli estremi: sia i sentimenti che le fantasie, sia il volume della prosa che la velocità della sintassi. C'è un grande sperpero, il narratore ignora l'avarizia e rischia» (Walter Pedullà). Un rischio che Bevilacqua ha corso forse proprio nell'attività che più lo ha impegnato, la scrittura di romanzi, mentre una certa tendenza al melodrammatico (Verdi è nato a Busseto, lì in provincia) ha trovato ricovero conforme nella produzione poetica ed è stata riscattata dalla compattezza drammatica e dalla concentrazione nelle dramatis personae dei film di cui Bevilacqua è stato regista, in primo luogo nella Califfa (1970) – con uno straordinario Ugo Tognazzi nella parte del padrone di una fabbrica, di cui si innamora la vedova (Romy Schneider) di un operaio morto durante una manifestazione degli anni caldi della contestazione -, tratto dal romanzo omonimo, pubblicato da Bevilacqua sei anni prima. Godibile sempre, invece, è il Bevilacqua giornalista, inviato a viaggiare tra i suoi simili per raccontarli con vibratile ed effusa partecipazione.

L'intrattenimento narrativo

Insomma, con una cifra tutta sua, Bevilacqua naviga nelle acque irregimentate del cosiddetto «romanzo medio» (Gian Carlo Ferretti), che governa la narrativa italiana negli anni Sessanta e Settanta, il romanzo dei premi Strega, Campiello e Bancarella (tutti e tre vinti da Bevilacqua), vale a dire dei Cassola, dei Soldati, dei Chiara, dei Prisco, dei Cassieri, dei Bigiaretti – soltanto per nominare alcuni dei più validi autori -, «in cui lo strumento espressivo sia della narrazione che dei dialoghi è ottenuto per radicali tagli delle possibilità linguistiche offerte allo scrittore fino a giungere a un italiano medio e leggibile, volutamente non impegnativo per un pubblico affascinato soprattutto dall'intrattenimento narrativo e dalla antintellettualistica rappresentazione dei fatti delle province d'Italia» (Enrico Testa).

Fluidificare la prosa

Linearità espressiva, monolinguismo, messa in mora delle varietà del repertorio consentono peraltro a Bevilacqua di fluidificare la prosa attraverso alcuni tratti un tempo esclusivamente tipici del parlato della comunicazione quotidiana (anche se con attestazioni nella lingua letteraria attraverso i secoli), ormai promossi socialmente a rassicuranti segni di «anonima medietà» (Giuseppe Antonelli), come le dislocazioni a sinistra (cito da Antonelli), «perché la felicità di Vito […] forse se l'era inventata lei», «Me l'aveva raccontato mia madre, come avevamo ammazzato l'ultimo duca», o il che polivalente, «Ma quelli erano giorni che, nei casoni delle borgate, la gente cominciava ad aspettare», «e una sera, che sto già per mettermi a letto» (tutti gli esempi sono tratti dalla Califfa).

Percussione sulle emozioni

Un brano tratto dal romanzo Umana avventura (1974) esemplifica bene la volontà di essere diretto e chiaro attraverso una sintassi spezzata e lineare, strumento di percussione sulle emozioni del lettore, qui impegnato ad assorbire il sentimento di amarezza scaturito da un incontro mancato tra i personaggi, un lui (l'io narrante) e una lei che tentano di riannodare i fili di una vita in comune:

«Quando invece sta meglio, si fa prendere dalla domestica il soprabito e la borsetta.

"Ma dove vai?" le chiedo.

"In nessun posto."

Si siede sul divano di fronte a me. Appoggia la schiena. Mi ricambia un sorriso, come se ci trovassimo in un autobus o in un treno. Sono i nostri silenzi. Poi lascia cadere la borsetta e corre ad abbracciarmi. Il viaggio immaginario è finito e io sono qualcuno ritrovato dopo una lunga assenza.

È una pantomima che sostituisce un incontro invece impossibile».

Bevilacqua si mette vicino a chi legge e, con mano sicura, apre ai gorghi interiori, mostrando con partecipazione ora mesta, il più delle volte febbrile, come le passioni possono perderci, ovvero trasformarci completamente in vita nuova.

Immagine: Alberto Bevilacqua.

Crediti: Archivi Mondadori [CC BY-SA 4.0], attraverso Wikimedia Commons.