La corretta ortografia, in alcuni paesi (penso agli Stati Uniti dei film per quindicenni, alle testimonianze scritte di Lincoln, agli accenti rampicanti del francese di Molière) è oggetto di sfide e di competizioni. Come si scrive davvero Mississippi? (E anch’io: il dubbio amletico, l’angoscia delle doppie: l’ho scritto bene?).

Come per i carburatori: l’insidia spugnosa dell’automobile datata, lo scatto vendicativo contro gl’inesperti delle quattro ruote – la manutenzione grafica del proprio idioletto è ciclicamente necessaria. Non per altro (o peraltro? E se non ora, perché non qui?).

Conoscere con esattezza quanti chilometri facciamo allora o all’ora; rispondere stizziti per iscritto a un insulto con un e bene o un ebbene.

I mattoni cui Oz, magari, nei viali lastricati da Baum, non affiderebbe il futuro del proprio buon nome di urbanista. Ma sono poi quelli – muovendoci tra la metafora come stregoni dell’Ovest – che garantiscono il ritorno di Dorothy ancora di più delle scarpette rosse.

Chiunque ha giocato a figurine negli anni in cui Maradona arrivava come un dio annunciato nel Napoli; chi ha sperato in Alessandro Altobelli e in Zico (contando non solo il soprannome, ma i nomi per intero) sa capire l’importanza di una doppia nel computo agguerrito di Frappampina, o la mestizia incolpevole di un Edi Bivi; tutta la maestosa, scellerata gratitudine ortografico-onomastica offerta in dono al dio dei conti; quando controlla accuratamente che non ci siano tranelli nascosti nello sgambetto di un qualche refuso scempio.

I segni quando si chiamano davvero segni, a ben guardare… Una sorta di identità tra l’identità e sé stessa. O meglio: meno cerebralmente: il modo che la lingua scritta ha per farci capire chi sia Bepe o Beppe, con la forza semplice o doppia di una qualche labiale consapevolezza. Le forme sintetiche, le forme analitiche; una i in più o in meno. Così, tanto per salvaguardarci dai pianti dai nomi troppo usati che possono crescere nell’ortografia.

1.

A. «Dovresti curare di più la tua persona, in vece di stare qui a cincischiare»

B. «Dovresti curare di più la tua persona, invece di stare qui a cincischiare»

C. «Dovresti occupartene tu, in vece… ma non sai fare altro che stare a poltrire tutto il giorno!»

2.

A. «Di maniera che a uno che li veda ingegnarsi e arrabattarsi a quel modo, fanno pietà e movon le risa […]»

B. «Di maniera che a uno che li veda ingegnarsi e arrabbattarsi a quel modo, fanno pietà e movon le risa […]»

C. «Di maniera che a uno che li veda ingeniarsi e arrabbattarsi a quel modo, fanno pietà e movon le risa […]»

3.

A. «Le comunico dunque la mia necessità di fare, al più presto, quel che mio nonno fiorentino avrebbe detto “un sopraluogo mirato”; al fine di […]»

B. «Le scrivo per sapere se ha intenzione di iscrivere la “Fortitudo” al prossimo torneo “intercomunale” di pallavvolo […]»

C. «Le ricordiamo che il giorno 12 del corrente mese la ditta “Bazzabani srl” farà un sopralluogo in […]»

4.

A. «Caro Giorgio, è così. Non siamo riusciti a trovare il tuo libro, anche se l’abbiamo (credimi: se te lo scrivo è vero) cercato da per tutto»

B. «Caro Giorgio, è così. Non siamo riusciti a trovare il tuo libro, anche se l’abbiamo (credimi: se te lo scrivo è vero) cercato dappertutto»

C. «Caro Giorgio, è così. Non siamo riusciti a trovare il tuo libro, anche se l’abbiamo (credimi: se te lo scrivo è vero) cercato dapertutto»

5.

A. «Sono presso che “morto”… di stanchezza, intendo, amico mio: questa è una lettera affettuosa, non è certo un racconto dell’orrore…»

B. «Sono pressocché “morto”… di stanchezza, intendo, amico mio: questa è una lettera affettuosa, non è certo un racconto dell’orrore…»

C. «Sono pressoché “morto”… di stanchezza, intendo, amico mio: questa è una lettera affettuosa, non è certo un racconto dell’orrore…»

6.

A. «e benché sul viso di più d’un passegiero si potesse legger facilmente un certo nonsoché di sedizioso»

B. «e benché sul viso di più d’un passeggiero si potesse legger facilmente un certo non so che di sedizioso»

C. «e benché sul viso di più d’un passeggero si potesse legger facilmente un certo nonsocché di sedizioso»

7.

A. «Mi sembra decisamente pretenzioso, tutto questo… Non so come la vedi tu, ma per me è così, come t’ho già scritto l’ultima volta…»

B. «Non ho certo la pretenzione di riuscire sempre a non essere pretenzioso… se mi scusi il gioco di parole…»

C. . «Mi sembra decisamente pretensioso, tutto questo… Non so come la vedi tu, ma per me è così, come t’ho già scritto l’ultima volta…»

8.

A. «Quante volte ti devo ripetere che Gozzano ha fatto rimare Nietzsche con camicie, eh?»

B. «Quante volte ti devo ripetere che Gozzano ha fatto rimare Nietzsche con camice, eh?»

C. «Quante volte ti devo ripetere che Govoni ha fatto rimare Nietzsche con camicie, eh?»

9.

A. «La parola composta sublunare va divisa in sillabe così: sub-lu-na-re»

B. «La parola composta sublunare va divisa in sillabe così: su-blu-na-re»

C. «La parola composta sublunare va divisa in sillabe così: sub-lun-a-re»

10.

A. «Certe tesi morali, a bastanza audaci, che io dava da svolgere»

B. «D’altronde ne ho “abba stanza”, per dirlo alla latina… Te l’ho già scritto in una lettera e tu non m’hai dato retta…»

C. «Caro Giulio, ti rendo il videoregistratore e il lettore dvd. Sono nella scatola. Ne ho a bastanza delle tue fissazioni […]»

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