Minima universitaria

Per cominciare vorrei chiarire a scanso di equivoci la mia posizione sulla didattica a distanza all’università ribadendo ciò che ho espresso in altra sede: non ne metto in discussione le possibilità che ci ha offerto durante l’emergenza; senza, sarebbe stato peggio. Anzi aggiungo: senza, sarebbe stato terribile, perché avremmo dovuto interrompere tutto: o a distanza o nulla, tertium non datur. Né metto in discussione le potenzialità dell’e-learning (che è tutt’altra cosa rispetto alla didattica a distanza) per integrare, potenziare, arricchire alcune attività: all’estero gode da tempo di molta fortuna e anche di applicazioni efficaci e rigorose, oltre che di docenti formati ad hoc.

Il focus delle mie riflessioni è sul principio, ribadito dal CUN, della non equivalenza tra formazione con didattica telematica e quella con didattica in presenza. Farò un confronto forse scontato tra le due modalità, eppure mi pare utile ribadirlo per sgombrare il campo da facili semplificazioni e da future indebite e scaltre sostituzioni, e quindi per interrogarci sul “futuro della lezione nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” (D. Di Cesare).

La sottrazione del senso: la lezione è variabile

La lezione a distanza rischia di depauperare la struttura e il senso di una lezione in presenza che di solito non è somministrazione di dati o monologo davanti allo specchio, come invece è spesso quella a distanza soprattutto in modalità asincrona, cioè algida registrazione fruibile quando si vuole, con interazione zero, senza possibilità di intervento e di discussione ancorché minima con il pubblico. Una lezione in presenza non è recitazione di parti di libri, lettura meccanica di dispense o di slide, ma coinvolge di continuo gli studenti, sollecitandoli e chiamandoli in gioco con domande, chiarimenti, verifiche lampo, excursus, ritorni su ciò che non è chiaro, secondo un andamento non lineare con molteplici cambi di direzione, ciò che a distanza avviene raramente. Anche gli sguardi degli studenti disattenti o, al contrario, prensili e vivaci, invogliano il docente a incamminarsi per altre vie o a fare una pausa o a intercalare con un aneddoto per catturare l’attenzione. Non è raro che siano gli studenti a dare il ritmo alla lezione, che procede quasi mai secondo una scaletta fissa e invariabile, ma come dialogo continuo, trattativa, esplorazione improvvisa di sentieri non programmati, spesso inattesi: si sa quasi sempre da dove si comincia, ma si può arrivare inaspettatamente altrove, ed è quell’altrove la magia di molte lezioni.

Se così non fosse anche un robot addestrato a leggere testi potrebbe fare lezione a distanza in modalità sincrona. Ma non esiste intelligenza artificiale che possa al contempo parlare, recepire dal pubblico segnali, interpretare il non detto, interagire secondo quel ritmo particolare che attiene all’alchimia della lezione in presenza.

La sottrazione del corpo: le parole non bastano

La lezione è presenza fisica, contatto: l’attenzione dello studente dietro uno schermo non resta alta a lungo, e anzi, con microfono e videocamera spenti, scema rasentando quasi lo stand-by. La stessa frequenza al corso, apparentemente maggiore a distanza (posto che tutti abbiano strumenti adatti e wifi), può diventare fittizia, simulare partecipazione, arrivando invece all’autoisolamento. Molti studenti – lo hanno raccontato – si stancano già dopo due ore di collegamento; nondimeno lo stesso docente seduto per ore davanti allo schermo prova una sorta di alienazione, oltre che una singolare solitudine. In presenza l’attenzione è sollecitata, riceve input, distrazioni, coinvolgimenti. Ma l’elemento cruciale a distanza è certamente l’assenza del non verbale, a cominciare da pause e silenzi, della parte emozionale, ma soprattutto della gestualità, dei molti segnali che gli studenti inviano anche loro malgrado. Le parole insomma non bastano: se la lezione è interazione, l’assenza del non verbale rende la comunicazione dimidiata.

La sottrazione della polis: vite in un monitor

Nel processo di formazione la lezione non ha l’esclusività, perché valgono anche le discussioni e i confronti, a lezione finita o prima della lezione, tra studenti, inter pares, lo scambio degli appunti, la richiesta di delucidazioni, innumerevoli confronti anche nelle pause. Ed è questo un altro punto cruciale: vivere le lezioni in presenza si sustanzia quasi sempre di altri momenti anch’essi costitutivi della vita universitaria, come lo studio e la lettura negli spazi ad hoc, in una dimensione di vita di comunità, in cui tali attività non sono isolate ma si svolgono nelle biblioteche, dove scorrendo tra gli scaffali ci si imbatte fortuitamente nel libro accanto a quello che si cerca e che si rivela più interessante, talvolta fondamentale. Insomma frequentare le lezioni trasporta nel mondo, non nell’isolamento, in una rete di momenti e spazi strettamente correlati in cui si moltiplicano le occasioni di formazione, di riflessione e di dialogo con gli altri.

Sottrazione di privacy: le case degli altri

Per molti studenti partecipare dal vivo alla vita universitaria significa in molti casi sottrarsi a spiacevoli routine familiari o semplicemente cambiare aria, dialogare e sentire altre voci, esporsi, confrontarsi, dissentire.

Durante la didattica a distanza i docenti parlano dai propri studi, ma per gli esami e le verifiche si collegano con persone nelle loro abitazioni, spesso nelle cucine, in luoghi di passaggio, in camere da letto che sono anche studio, dove qualche studente lascia tutto com’è mettendo un po’ a nudo il proprio privato. Che aula è quella in cui interroghiamo irrompendo nel privato di molte famiglie, nelle verità di molte case? Mentre invece l’aula universitaria è campo neutro, pubblico, luogo di incontro, non è la domus privata di nessuno ma diventa casa comune abitata con tutela di privacy per tutte le parti in gioco, luogo che consente un giudizio sereno nella valutazione, in una dimensione in cui talvolta financo la gentilezza dello sguardo dal vivo può rassicurare qualche studente visibilmente agitato.

La sottrazione della comunicazione istituzionale: neppure una parola

Sposto ora l’osservazione su un altro aspetto della vita universitaria al momento ancora dislocata nelle case. Chi e quanti hanno parlato agli studenti in questo periodo? Alcuni rettori lo hanno fatto, ma le istituzioni? Si è visto qualche ministro fare una conferenza per i bambini, per gli studenti come è successo in vari paesi del mondo? Così come poco o quasi mai si vede, in condizioni ordinarie, entrare un sindaco o un altro amministratore nelle aule delle scuole e di alcuni atenei d’Italia: forse ne vedrebbero i banchi sgangherati, le crepe nei soffitti, i bagni inavvicinabili. Insomma la comunicazione istituzionale alle fasce di popolazione giovane e giovanissima è stata assente, ora come prima. Scuola e università si sono confermate in questo paese le cenerentole di turno, collocate molto in basso, se non in fondo, nella scala delle priorità.

La sottrazione delle risorse: è sempre la stessa musica

E siamo qui al nodo, che è politico, da molti anni, da molti governi, da molti ministeri dell’Istruzione. Un paese che non investe in istruzione e ricerca non solo è miope e poco lungimirante, ma anche perdente. Le poche risorse stanziate ora per università e ricerca per i prossimi due anni – appena 1,4 miliardi, molto meno dei 3 miliardi per la sola Alitalia, come era prevedibile per attività considerate “improduttive” – come verranno spese? Che con la scusa della teledidattica non si faccia sperpero come è successo con le LIM abbandonate a migliaia in molte scuole di Italia, mentre la vera crux sono le risorse umane. Che si assottigliano con un’emorragia costante di docenti come quella dell’ultimo decennio: perché non ci si scandalizza di lezioni tenute magari davanti a 250 e più persone stipate in aule che non le contengono? Il modello spesso invocato dei paesi dell’Europa del nord prevede ben altre attenzioni e cure non solo alle strutture, ma anche agli studenti, al personale, a partire dallo stipendio. Insomma le priorità dovrebbero essere: più risorse, moltissime, per favorire lo studio, più docenti, meno precari usa e getta, di solito “giovani” che a un certo punto disperati vanno all’estero dove vincono tutto (dicesi “giovane” in Italia anche un ultraquarantenne).

Distanza e nonluogo. Il futuro è ora

Questa epidemia può essere un’occasione per affrontare senza ipocrisia e senza gli slogan delle pseudoriforme degli ultimi vent’anni vecchi nodi irrisolti, purché ci si renda conto finalmente che istruzione e ricerca vanno messi al centro, sono assi portanti dello sviluppo di un paese e del suo stesso assetto democratico. Mai come ora sarebbe fondamentale il dibattito sull’università che vorremo, visto che è stata la grande assente in questi mesi di isolamento. Perciò conviene non dare nulla per scontato considerando le campagne acquisti e di mobilitazione pubblicitaria di alcune università telematiche, spesso con spot ingannevoli come ‘la distanza che ci unisce’! A tal proposito ribadirei un concetto incontrovertibile: la distanza può essere accorciata, mitigata, parzialmente colmata, resa sopportabile, ma resta pur sempre distanza, e quindi un’aula a distanza, direi con Augé, si configura come un luogo non relazionale, resta irrimediabilmente solo e soltanto un NONLUOGO.

Insomma non tra uno o due anni ma ora si parrà la nostra nobilitate. Se e come si discuterà e si investirà in scuola, università e ricerca: il nodo è sempre quello, ed è un nodo politico. Non è troppo tardi, non ancora. Il futuro è ora.

Immagine: Il palazzo del ministero dell'Università e della Ricerca all'EUR, piazza John F. Kennedy, Roma

Crediti immagine: Blackcat / CC BY-SA (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0)

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