La cronaca calcistica radiofonica è stata, al di là di ogni dubbio, uno dei fattori fondamentali dell’educazione linguistica nel dopoguerra italiano. La sua importanza si colloca non tanto nella copertura di eventi singoli (una partita di coppa, una dei mondiali o della Nazionale), quanto nella serialità settimanale di gesti ripetuti domenica dopo domenica nell’Italia dal boom economico almeno fino agli anni Novanta, e fino all’arrivo in televisione delle aggressive cronache delle reti commerciali, che investono negli eventi sportivi risorse strategiche e ne fanno uno dei cuori dell’offerta più pregiata. I mezzi, come poi si è visto, possono tranquillamente affiancarsi, magari con scopi in parte diversi: la televisione e la radio hanno convissuto per lungo tempo e la loro attività complementare sembra che durerà a lungo. Il calcio in tv è peraltro uno degli ultimi segmenti legati alla diretta, mentre quelli narrativi, cinema e serie tv, sono sempre meno legati al mezzo televisivo in senso proprio; la radio invece è quasi per definizione un mezzo “in diretta”, e probabilmente non è un caso che tutte le frasi iconiche più importanti del Novecento (fuori dal calcio, ricordiamo l’impressionante “un uomo solo al comando” con cui Mario Ferretti dipinge Fausto Coppi) siano venute da questo mezzo, e non dalla televisione.

Far "vedere" a chi è a casa

La radio deve far “vedere” a chi è a casa qualcosa che in televisione vede già: oggi come, a maggior ragione, nell’Italia degli anni Cinquanta, senza ancora la tv, e degli anni Sessanta-Settanta, quando il servizio pubblico copre solo una differita di un solo tempo (di solito il secondo) di una sola partita di calcio domenicale e presenta ancora solo i due approfondimenti di 90° minuto e La domenica sportiva. La cronaca dal vivo viene invece delegata alla radio, e per i soli secondi tempi: il timore dei dirigenti del movimento calcistico di allora era che la gente smettesse di andare allo stadio, avendo la diretta radiofonica dell’intera partita.

Tutta la tv minuto per minuto

Il calcio alla radio si condensa in una trasmissione epocale, inventata da Sergio Zavoli e Guglielmo Moretti, che prende il via il 10 gennaio del 1960 e vive benissimo ancora oggi: Tutto il calcio minuto per minuto. Si badi bene: l’importanza di questa trasmissione come modello, anche per la televisione, è stata tale che il telegiornale, che è il programma informativo per eccellenza, ne ha imitato e assorbito il modus operandi (“linea a Palazzo Chigi”, “a te, Giorgino”, “restituisco la linea allo studio, ecc.”, ecc.). I protagonisti indiscussi di quella stagione, oltre al vecchio Niccolò Carosio, che aveva segnato il capostipite per tutti i radio e telecronisti per decenni, sono due narratori diversi ma ugualmente coinvolgenti e amati dagli italiani: Enrico Ameri e Sandro Ciotti, a cui sono affidati, rispettivamente, il primo e il secondo campo. Ora, non c’è alcun dubbio che i due abbiano stili diversi, fatti salvi alcuni importanti tratti comuni. Il primo è senza dubbio la capacità di incastrare senza nessuno sforzo serie di subordinate senza perdere il filo: l’unico momento in cui si concedono il lusso di destrutturare la frase per inseguire quello che sta succedendo in campo è quello del gol, in cui per ovvi motivi saltano gli schemi. E poi, ad accomunarli, c’erano il gusto per un lessico mai banale eppure mai compiaciuto, un’obiettività a tutta prova (nessuno ha mai capito per quale squadra tifassero e non avevano conflitti d’interesse, possibili in strutture private), e infine nessuna forma di cedimento al calcio delle urla, ai dettagli pruriginosi e alle risse che verso la fine della loro attività cominciavano a prendere piede in tv. Solo racconto epico e gesta atletiche.

La sintassi dei maestri

Se dovessimo selezionare i tratti caratterizzanti della sintassi dei due Maestri diremmo che essi adottano tutti e soltanto i tratti dell’italiano dell’uso medio approvati anche nello standard; non scendono mai sotto un certo livello, persino nell’uso dei pronomi soggetto in cui il contrasto tra scritto e parlato è macroscopico, come nel caso di quello della terza persona singolare (“anch’egli oltre la linea centrale del campo”, Ameri, Juventus-Fiorentina, 1.4.1984).

Enrico Ameri, solare e incalzante

Enrico Ameri è solare, con un ritmo continuo, veloce, straordinariamente incalzante e tale da far percepire visibilmente (l’avverbio non è casuale) l’importanza agonistica dell’azione seguita. Le pause seguono da presso la struttura della frase, che è di una limpidezza cristallina; ogni frase coordinata è scandita da una pausa breve che segna anche materialmente la presa di fiato (e quest’andamento, poi ripreso un po’ da tutti, è un’eredità diretta di Carosio). La prosa è ricca di frasi principali ellittiche di verbo in cui si incassano mirabilmente le subordinate (quasi tutte relative); una parte importante dei verbi è in forma passiva, a sottolineare l’importanza dell’agente nello svolgimento dell’azione. Ecco un brevissimo inserto, di pochi secondi (il ritmo di emissione delle parole è vertiginoso), in diretta e senza filtri, a riprova della funambolica capacità di concentrazione del radiocronista: “poi, quando sembrava che le due grandi antagoniste fossero quasi alle soglie dello spareggio, la fatale distrazione della Roma, a riprova che a livello agonistico e psicologico ci sono degli aspetti misteriosi in questo gioco; il cammino della Juventus si è fatto quindi meno aspro e la squadra bianconera, superato lo scoglio del Milan, non ha avuto nemmeno più l’assillo dei rivali autoeliminatisi, ricordiamo: a una giornata dalla conclusione esisteva ancora una speranza piuttosto remota per la Roma, a patto che si verificassero certi risultati […]” (Ameri, Lecce-Juventus, 24.4.1986).

Sandro Ciotti, rauco e tecnico

Sandro Ciotti è forse l’inventore di quel “clamoroso al Cibali” che ha segnato la storia della radio italiana: la frase fu pronunciata il 4 giugno 1961, quando il Catania, del tutto a sorpresa, aveva battuto l’Inter nel suo stadio; l’altro potenziale autore potrebbe essere Niccolò Carosio, ma non è sicuro neanche questo, e in mancanza di registrazione non possiamo raggiungere la verità. Ciotti ha al contrario un timbro riconoscibilissimo, rauco (ma trasforma quello che per chiunque sarebbe stato un handicap in uno straordinario punto di forza), un tasso tecnico molto elevato (il più alto di tutti) che si condensa in uno stile spesso nominale, soprattutto nelle sintesi finali della partite che ha raccontato; in generale, forse, uno stile meno “belligerante” di quello di Ameri, condito da raffinatezze lessicali di ogni genere, come la ventilazione inapprezzabile che segnava una giornata del tutto priva di vento. Per di più si permette notazioni ironiche che fanno scuola. Una volta, come riferisce Riccardo Cucchi nel suo magistrale libro Radiogol. Trentacinque anni di calcio minuto per minuto (Il Saggiatore, 2018), davanti alla direzione di gara pessima di un potentissimo quanto discusso fischietto di allora, si permette di dire “ha arbitrato il signor Lobello, davanti a 80.000 testimoni”. Siamo, come si vede, a livelli di finezza altissimi, lontani anni luce dalle dispute delle trasmissioni televisive trasformate in arene ululanti. D’altra parte, il “gentili ascoltatori” con cui il coordinatore di Tutto il calcio, Roberto Bortoluzzi, apriva la trasmissione non era un modo di dire: era un modello di comportamento.

Una rivalità leggendaria

La rivalità tra Ameri e Ciotti è stata leggendaria, e ha contribuito moltissimo alla popolarità di Tutto il calcio minuto per minuto. I due non si amavano affatto e sono stati protagonisti di un duello a distanza che si è protratto per anni, con una ricca aneddotica che qualche volta è arrivata ad emergere persino in diretta radiofonica; in qualunque altro momento della storia sarebbero stati entrambi il “primo campo”, ma come succede talvolta (accadde in campo, proprio in quegli anni, a Scirea e a Baresi) si trovarono ad agire nello stesso momento e Ciotti dovette rassegnarsi ad essere il numero due, ruolo che soffriva molto e che, per dirne solo una, gli precluse il racconto della nazionale: l’11 luglio 1982 toccò in sorte ad Ameri raccontare la vittoria italiana ai mondiali, un onore concesso dal destino, alla radio, solo a Niccolò Carosio prima e a Riccardo Cucchi dopo.

Riccardo Cucchi, l'erede che venne dalla Sapienza

E dopo, appunto? In un’Italia ormai completamente diversa da quella eroica dei tempi pionieristici non c’è dubbio che un nome su tutti sia emerso, ed è quello, appena ricordato, di Riccardo Cucchi, l’erede di entrambi (ma, se ci è concesso il giudizio, forse più del primo). La sostituzione, se la vogliamo chiamare così, avviene gradualmente su Sandro Ciotti (i due si alternano per qualche anno), ma appare chiaro a tutti, per quasi un quarto di secolo, che l’erede si è trovato e che il rischio del deserto lasciato dai Maestri degli anni seguenti è fortunatamente evitato. Lo stile è molto personale; meno arrembante di quello di Ameri – le parole sono più scandite, soprattutto quando il radiocronista le mette in evidenza –, ma con la stessa capacità di dominare frasi complesse e con la stessa chiarezza nella descrizione delle manovre quanto delle azioni concitate, in cui scompaiono o quasi i verbi in nome dell’essenzialità e dell’urgenza: allo straordinario ritmo di Cucchi contribuisce un grande impiego dello stile nominale, anche al di là dei modelli stabiliti dai predecessori.

A scuola di lessico dai radiocronisti

Certo, se misuriamo Cucchi con le imprese della Nazionale nel 2006 (forse le sue radiocronache più note) salta agli occhi un’altra delle sue caratteristiche precipue: quella di usare toni caldi nel racconto e insieme di essere imparziale fino al punto che, fino al giorno del suo pensionamento, nessuno, anche nel suo caso, ha mai saputo quale fosse la sua squadra del cuore. Comprensibilmente, nelle notti di Berlino il cronista si fa prendere la mano dal tifoso, fatto che aumenta, non diminuisce la sua credibilità. Ma al di là del ritmo, che è il fattore fondamentale senza il quale per un radio e telecronista non può esistere nient’altro, se dovessimo individuare una cifra stilistica del radiocronista romano, che viene da Lettere alla Sapienza, la troveremmo nell’uso accorto e variegato del lessico, mai banale e nello stesso tempo mai barocco. D’altra parte, esiste un solo luogo dell’italiano trasmesso in cui un ascoltatore può sentire e imparare parole come implacabile, dilagare, increscioso, rassicurante, perentorio, decretato, insidioso, vibrato? Se c’è una definizione di servizio pubblico, non ne sapremmo trovare di migliori.

Il ciclo Un treno di parole verso gli Europei di calcio 2020 è curato da Rocco Luigi Nichil

  1. Pasolini e il campo di gioco. Appunti su calcio, lingua e letteratura (link) di Rocco Luigi Nichil

Immagine: Clásico capitalino #250

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