Due anni fa, il 4 settembre 2017, veniva inaugurata all’Archivio di Stato di Genova la mostra “Il genovese. Storia di una lingua”, rimasta aperta fino al dicembre successivo con una serie di eventi collaterali e iniziative collegate. Coronata da un lusinghiero successo di pubblico e di critica, la mostra, ideata da un linguista specialista dell’area ligure e da un’archivista, storica di formazione, come Giustina Olgiati, ha rappresentato un evento per certi aspetti unico nel panorama culturale italiano, puntando a ricostruire attraverso l’esposizione e il commento di un centinaio di “pezzi” (testi documentari e letterari manoscritti e a stampa, spesso esposti per la prima volta) la storia della lingua regionale e la storia linguistica della regione, secondo un progetto originale che ha guidato i visitatori lungo gli oltre ottocento anni che ci separano dalle prime attestazioni del volgare in Liguria.

Il genovese e la Liguria

Storia della lingua e storia linguistica, dunque, e non si tratta di sinonimi: la prima può definire di volta in volta l’evoluzione interna di un idioma (i mutamenti fonetici e morfologici che ne contraddistinguono le varie fasi) ed esterna nel suo specifico rapporto con la società e la cultura di cui è espressione. La storia linguistica riguarda invece, in una prospettiva più generale, i rapporti dinamici che tra lingue diverse si instaurano su un determinato territorio o all’interno di un gruppo sociale: la storia della lingua italiana, francese, catalana, è quindi altra cosa rispetto alla storia linguistica dell’Italia, della Francia o della Catalogna. Pur intersecandosi in maniera spesso inestricabile, gli sviluppi che partono dai due punti di vista presuppongono quindi approcci differenti: la scommessa, in occasione della mostra genovese, consisteva proprio nel tentativo di approdare a una sintesi convincente tra la storia del genovese e la storia linguistica della Liguria, una regione nella quale (come del resto in qualsiasi altro territorio) l’insieme della varietà locali (il “genovese” in senso esteso) non fu mai l’unico strumento di comunicazione orale e scritta.

I documenti selezionati, operando scelte “esemplari” nell’ambito di una mole enorme di testi, avevano così lo scopo di evidenziare, da un lato, la progressione delle vicende del genovese in sé, lingua caratterizzata non solo da una significativa produzione scritta, ma anche da un’interessante proiezione extralocale, mediterranea ed atlantica, e, dall’altro, le tappe del suo confronto con altri idiomi, dal latino cancelleresco al toscano, nella progressione che avrebbe condotto alla determinazione della realtà linguistica ligure contemporanea, caratterizzata dall’affermazione dell’italiano e dalla sua dinamica coesistenza con i dialetti liguri e non solo con essi.Immagine 0

Dai primi inventari notarili a Fabrizio De Andrè

Il catalogo della mostra, edito da SAGEP nello stesso 2017 con la riproduzione dei testi e la trascrizione filologica degli inediti più significativi, contiene così un repertorio di documenti che coprono uno spazio cronologico e geografico ampio, assai diversi per funzioni e contenuti, e tutti a vario titolo rappresentativi di vicende complesse e affascinanti. Si va dai primi inventari notarili con elementi volgari al codice Molfino che testimonia l’affermazione letteraria del genovese, dai trattati politici e commerciali tre-quattrocenteschi redatti (spesso in versioni bilingui) sulle rive del Mar Nero e dell’Africa settentrionale alla trascrizione degli atti del consiglio della Repubblica e alle orazioni dogali; e ancora, vengono presentate le opere fondamentali di una letteratura (poesia, teatro, prosa, pubblicistica) sviluppatasi in continuità e autonomia secondo una propria precisa funzionalità pubblica e sociale, e le raccolte lessicali, gli studi scientifici, le manifestazioni di una fruizione popolare di testi che approda alla recente “rinascita” della canzone in genovese a partire dal successo degli album di Fabrizio De Andrè.

La ricchezza e varietà dei testi presentati, e la loro frequente irriducibilità a categorie che riconducano a un rapporto di subordine rispetto ad altri codici, rende così evidente il carattere pretestuoso di una piccola polemica innestata da un giornale locale, fattosi portavoce delle confuse perplessità di un accademico di fronte al titolo “Storia di una lingua”.Immagine 1

Un processo secolare

Questo atteggiamento ha rivelato immediatamente, infatti, il suo carattere retrivamente provincialistico, se non altro in base alla mera considerazione che la definizione alternativa di dialetto, evocata in quell’occasione, sarebbe stata chiamata, in questo caso, a coprire indiscriminatamente, solo per fare qualche esempio, la lettera con firma autografa di Maometto II ai signori di Scio, il discorso di fine mandato di un capo di Stato come Matteo Senarega, la corrispondenza di una talassocrazia mediterranea col sultano di Bursa, un cinquantennio di produzione periodistica sviluppatasi tra Otto e Novecento fra Liguria e Argentina, due o tre poemi epici, e così via. In assenza di un termine neutro (stante il carattere improbabile di un’intitolazione come “Il genovese. Storia di un idioma”!) l’uso del termine “dialetto” avrebbe rappresentato l’adesione, del tutto scorretta storicamente e ideologicamente, a una rappresentazione statica della storia della lingua genovese e della storia linguistica della Liguria, estendendo nel tempo e nello spazio la rappresentazione della situazione attuale di subordine sociolinguistico del genovese, e senza rendere conto del processo secolare attraverso il quale è andato rimodulandosi, fino alla realtà contemporanea, un paesaggio linguistico di cui il genovese stesso è tuttora, in ogni caso, parte integrante.Immagine 2

Quante storie delle lingue

Il fatto è che se la storia linguistica della Liguria dimostra, proprio attraverso i testi offerti nella mostra e nel relativo catalogo, una progressiva e convinta convergenza sui processi culturali e sociolinguistici che determinarono precocemente, in tutta Italia, una tensione centripeta favorevole all’accettazione di un codice comune basato sulla norma toscana, la storia della lingua genovese si svolge (come del resto la sua tradizione letteraria) secondo modalità in buona misura autonome e spesso contrastive rispetto a questo sviluppo: una circostanza che non credo sia peraltro esclusiva della realtà regionale ligure in Italia, e che offre comunque esempi ben conosciuti in svariati contesti romanzi.

Parlando di linguaggio, occorre usare insomma le parole giuste, evitando di cadere in equivoci storici e in distorsioni (per ignoranza o per cattiva fede) e occorre farlo partendo dai dati concreti prima che da visioni identitarie precostituite, non meno deleterie se riferite al panorama nazionale che a quello regionale e locale; e anche, tenere conto degli sviluppi della discussione sui temi dei rapporti interlinguistici tra diverse varietà incidenti su uno stesso ambito territoriale, come è andata sviluppandosi in altri contesti romanzi e non solo nel corso degli ultimi decenni, evitando con ciò di presentare il “caso italiano” come una sorta di eccezione.

La riflessione su questi temi potrebbe trarre dunque giovamento da un rapporto meno ingessato con un canone storiografico che, pur nell’indiscutibile validità delle sue linee generali, non rappresenta un dogma intangibile e infallibile, come aveva già dimostrato bene Muljačić, tra gli altri, in una serie di contributi degli anni Novanta, e come in fondo la stessa ricognizione operata da Bruni nel 1992 ammetteva implicitamente, pur rimanendo dedicata essenzialmente alla storia dell’“italianizzazione” delle regioni, e quindi alla storia linguistica più che a singole storie della lingua.Immagine 3

«Non tutti i dialetti attuali si possono considerare tali in ogni periodo storico»

Fa un po’ specie in ogni caso constatare come ai piani bassi della discussione si resti ancorati a convenzioni e nominalismi (come nel caso dell’estensione all’insieme delle vicende storiche di un determinato codice, del concetto di “dialetto” ripreso dalla realtà sociolinguistica contemporanea) che paiono abbondantemente superati in linguistica generale e in linguistica romanza: se in materia di lingua italiana si ammette continuamente la legittimità di impostare le discussioni più astruse, in nome magari di un malinteso senso di “politicamente corretto” (come nel caso dei femminili dei nomi professionali) e se si ammette persino la possibilità di modificare un canone ortografico consolidato (come nel caso dei ricorrenti tormentoni sull’accentazione di “sé” o sull’uso dell’apostrofo in “qual è”), non si vede insomma come la ripresa di una definizione ben presente nell’uso storico, come è quella di “lingua” riferita a un idioma che attualmente si considera “dialetto” (denominazione quest’ultima che per il genovese non è documentata, a livello locale, prima del 1817) debba ancora suscitare perplessità o censure, a centocinquant’anni dal compimento dell’unità nazionale e considerando che un ormai consolidato filone di studi parla serenamente, a livello internazionale e nazionale, di “lingue d’Italia” al plurale (Serianni - Trifone 1994, Banfi 2014, per citare due soli esempi).

Per chi abbia una conoscenza anche vaga delle acquisizioni della linguistica generale e della sociolinguistica, anche soltanto dal punto di vista terminologico, è piuttosto la tassonomia italiana a rappresentare un’eccezione nel contesto romanzo, obbligando talvolta gli studiosi a faticosi distinguo quando si tratta di definire la posizione delle varietà presenti in Italia: “è dubbio lo statuto dei vari dialetti italiani … che dal mero punto di vista della storia e della distanza linguistica avrebbero le carte in regola per essere considerati sistemi linguistici a sé stanti, autonomi rispetto all’italiano e non sue varietà, anche se di solito non sono computati separatamente”, recita ad esempio uno dei migliori manuali in adozione presso le nostre università, Berruto-Cerruti (2011).

Ciò vale nel caso del genovese non meno che di altre varietà italoromanze, considerando, per citare solo la recente puntualizzazione di uno studioso tedesco, che “sarebbe fuorviante di trasferire un concetto di ‘lingua’ formatosi nelle condizioni comunicative e ideologiche degli Stati nazionali ottocenteschi a epoche in cui non esisteva né l’ideale della omogeneità e esclusività linguistica né il controllo semiotico generale eseguito dalla scuola dell’obbligo, dalle medie ecc.”, e che pertanto (e il caso del genovese è esplicitamente citato) “non tutti i dialetti attuali si possono considerare tali in ogni periodo storico” (Krefeld 2008). La linguistica romanza e la linguistica generale, qualche volta, parlano insomma una lingua diversa da quella della linguistica italiana.

Bibliografia

Il genovese. Storia di una lingua. Complesso monumentale di Sant'Ignazio, 19 settembre - 2 dicembre 2017. Catalogo a cura di Fiorenzo Toso e Giustina Olgiati, Genova, SAGEP, 2017.

Banfi, Emanuele, Le lingue d’Italia fuori d’Italia. Europa, Mediterraneo e Levante dal Medioevo all’Età moderna, Bologna, Il Mulino, 2014.

Berruto, Gaetano, e Cerruti, Massimo, La linguistica. Un corso introduttivo. Torino, UTET, 2011.

Bruni, Francesco (a cura di), L’italiano nelle regioni. Lingua nazionale e identità regionali. Torino, UTET, 1992.

Coletti, Vittorio, «Povera lingua italiana, assediata dai dialetti dal basso e dall’inglese», in La Repubblica, edizione genovese, 22 ottobre 2017.

Gargallo Gil, Enrique, e Bastardas, Maria Reina (a cura di), Manual de lingüística románica. Barcelona, Ariel, 2007.

Krefeld, Thomas, «La modellazione dello spazio comunicativo al di qua e al di là del territorio nazionale», in Berruto, Gaetano, e altri (a cura di), Lingua, cultura e cittadinanza in contesti migratori. Europa e area mediterranea. Perugia, Guerra Edizioni, 2008, pp. 33-44.

Muljačić, Žarko, «Introduzione all’approccio relativistico», in Linguistica Pragensia, 2 (1996), pp. 87-107.

Serianni, Luca e Trifone, Pietro (a cura di), Storia della lingua italiana, vol. III. Le altre lingue. Torino, Einaudi, 1994.

Immagine: Genova nel XVI secolo dipinta da Cristofaro Grasso

Crediti immagine: Galata - Museo del mare [Public domain]

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