L’irragionevolezza di una separazione

«Sovente ho messo piede sui ponti che uniscono (o dovrebbero unire) la cultura scientifica con quella letteraria scavalcando un crepaccio che mi è sempre sembrato assurdo. C’è chi si torce le mani e lo definisce un abisso, ma non fa nulla per colmarlo; c’è anche chi si adopera per allargarlo, quasi che lo scienziato e il letterato appartenessero a due sottospecie umane diverse, reciprocamente alloglotte, destinate ad ignorarsi e non interfeconde. È una schisi innaturale, non necessaria, nociva […]».

Così scriveva Primo Levi (1985: 14) per sottolineare l’irragionevolezza di una separazione radicata. Radicata malgrado non fosse una novità, nella storia della cultura, l’accostamento fra scienza e lingua, soprattutto se si pensa alla letteratura. Dante, Leopardi, Goethe, Calvino, Sinisgalli… la lista degli autori nei cui scritti il dialogo col sapere scientifico è stato ingente e manifesto potrebbe essere ben più lunga. In particolare, fra i vari aspetti condivisi, è stato colto una sorta di principio comune, di comunanza di sguardo che ha fatto scrivere a Italo Calvino (1962) che «l’atteggiamento scientifico e quello poetico coincidono: entrambi sono atteggiamenti insieme di ricerca e di progettazione, di scoperta e di invenzione». Apertura, dunque, curiosità e creatività come motori primari di entrambi gli ambiti del sapere, contrariamente a quanto a volte inducono a pensare i compendi di regole e le partizioni disciplinari. E va a uno scienziato anche il merito di aver dotato l’italiano (non più il latino: l’italiano) di un lessico e di uno stile adatti a scrivere di scienza: si tratta di Galileo Galilei, la cui grandezza in questo senso è stata colta proprio da Calvino negli anni Sessanta e riconosciuta dagli storici della lingua (lo ha ribadito Maria Luisa Altieri Biagi ancora di recente; vai a questo link).

La poesia del teorema di Pitagora

Pensiamo nello specifico alla matematica: una scienza che emana da sempre, con forza, il fascino potente della sua trasversalità, del suo saper camminare a braccetto, dalla notte dei tempi, con altri ambiti del sapere quali arte, musica, filosofia, letteratura e via dicendo. La matematica vanta inoltre un indiscusso senso del bello, della formulazione elegante e perfetta, che forse non tutti colgono immediatamente (specie coloro che associano alla matematica un certo tipo di ricordi scolastici), ma che ha fatto dire alla poetessa Wisława Szymborska queste parole: «Non ho difficoltà a immaginare un’antologia dei più bei frammenti della poesia mondiale in cui trovasse posto anche il teorema di Pitagora. Lì c’è […] una grazia che non a tutti i poeti è stata concessa».

In effetti, come non compiacersi della bellezza, dell’eleganza, della forza di questo teorema?

«In un triangolo rettangolo, l’area del quadrato costruito sull’ipotenusa è uguale alla somma delle aree dei due quadrati costruiti sui cateti».

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In poche, armoniose parole (potenti come quelle della vera poesia sanno essere) sono racchiuse la densità e la forza di un teorema che trova applicazioni in diversi ambiti della vita reale: nel quadrato, è celata la generalizzazione di una proprietà che vale indipendentemente dal tipo di forma che si considera, purché si tratti di forme regolari o simili tra loro. Il teorema vale in effetti anche se si parla di triangoli equilateri al posto dei quadrati: «In un triangolo rettangolo, l’area del triangolo equilatero costruito sull’ipotenusa è uguale alla somma delle aree dei triangoli equilateri costruiti sui cateti» o se si parla di semicerchi: «L’area del semicerchio costruito sull’ipotenusa di un triangolo rettangolo è uguale alla somma delle aree dei semicerchi costruiti sui cateti» o addirittura di figure tra loro simili, come le stelle rappresentate di seguito.

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Per questo teorema si rintraccia qualcosa di affine a ciò che Primo Levi ha scritto nel Sistema periodico (1975) a proposito della chimica: «il sistema Periodico di Mendeleev […] era una poesia, più alta e più solenne di tutte le poesie digerite in liceo». I didatti della matematica lo sanno bene, ma spesso quest’aspetto sfugge alla maggior parte delle persone che si avvicinano alla matematica, soprattutto sui banchi di scuola.

Bruner, la letteratura e la "congiuntivizzazione" della realtà in ambito matematico

Non facciamo fatica, neppure da adulti, a leggere un romanzo o a sederci al cinema e ad accettare l’improbabile, l’impossibile: è il patto finzionale che la narrativa, come fossero regole di un immenso gioco, stabilisce da sempre con il destinatario. Si tratta, ci ricorda Jerome Bruner (2002), dell’attitudine della letteratura a «congiuntivizzare» l’esperienza, cioè ad ammettere altri mondi possibili, gettando un ponte fra ciò che è e ciò che potrebbe essere. Secondo questo principio, si ampliano le vedute e si impara a osservare il mondo e i comportamenti umani nelle loro sfumature. Anche in ambito matematico avviene qualcosa di analogo, e non è difficile rintracciarlo ad esempio nella geometria, ritenuta da molti la più antica disciplina creata dall’uomo. Nata inizialmente come lettura del mondo che ci circonda, come studio della “misura della terra”, la geometria si è poi distanziata dalla concretezza della realtà per addentrarsi in mondi nuovi, in apparenza impossibili, in grado, appunto, di congiuntivizzare l’esistente. La certezza di un unico mondo possibile, quello dell’evidenza empirica, dell’osservazione della realtà, si è attenuata in matematica con la scoperta delle geometrie “non-Euclidee”: geometrie costruite nel XIX secolo grazie alla creatività, alla fantasia e al coraggio dei matematici Bernard Riemann e Nikolaj Ivanovič Lobachewski. Riemann accetta l’inesistenza di rette passanti per un punto e parallele a una retta data (geometria di Bernard Riemann) e Lobachewski accetta l’esistenza di due rette passanti per un punto e parallele a una retta data (geometria di Nikolaj Ivanovič Lobachewski); accettazioni che rappresentano una vera, coraggiosa “congiuntivizzazione” della realtà. Proprio questa propensione a osservare il reale per poi superarlo ammettendo alternative rappresenta, dunque, un tratto comune al pensiero scientifico e al pensiero umanistico.

La didattica dei due mondi

Malgrado la vicinanza di fondo, la didattica, soprattutto al crescere degli ordini di scolarità, è stata a lungo sorda alle aperture e al dialogo interdisciplinare, e ha proposto i due mondi, “italiano” e “matematica”, come rigidamente separati, incentivando il radicarsi di negativi luoghi comuni. Come scriveva Tullio De Mauro (1980/2019: 55), soprattutto a chi ha fatto studi avanzati «è stato stampato bene nella mente che da una parte stanno la letteratura, le arti, la parola e dall’altra parte i numeri, la matematica e le altre scienze»: come se non fosse condivisa addirittura la genesi di un sistema alfabetico e della modalità di notazione numerica, tratto caratteristico dell’evoluzione stessa dell’animale umano. Oggi l’approccio sta gradualmente cambiando, ma il dialogo tra cultura “umanistica” e cultura “scientifica” (le «due culture» che Charles Percy Snow aveva individuato nel 1959) ha ancora bisogno di essere approfondito e sostenuto, anche con l’intento – per quanto riguarda la matematica − di evitare il pregiudizio precoce e la disaffezione di molti studenti nei confronti della materia; insomma, atteggiamenti irrealistici e difficilmente condivisibili, rientranti nel fatalistico, nel genetico o nell’assurdamente dicotomico del tipo “Non sono proprio portato. Non posso farci niente!”, “È una cosa di famiglia: io non ci capivo nulla e così mio/-a figlio/-a!” o “Riesce bene in italiano, ma in matematica… che è così fredda…”.  Si tratta di motivazioni, a ben guardare, inaccettabili sul piano argomentativo (e più ampiamente razionale), eppure ricorrenti. Il superamento della visione separata dei due mondi prospettati da De Mauro (cioè delle «due culture»), a vantaggio di un unico, grande mondo ben amalgamato, permetterebbe il miglioramento di questi atteggiamenti. Inoltre, favorirebbe l’idea di un apprendimento di tipo globale non solo nei primi ordini di scolarità, ma più a lungo nel percorso di vita.

Lingua e matematica nella didattica

È indubbio – e svariate ricerche lo sostengono – che molte difficoltà nell’apprendimento della matematica non sono unicamente riconducibili alle difficoltà disciplinari, ma sono spesso collegate a difficoltà di comprensione e di produzione linguistica. In particolare, sono stati individuati due macro-ambiti di criticità: la difficoltà nell’acquisizione del linguaggio “speciale” che la matematica richiede, spesso lontano dalla lingua comunemente utilizzata fuori dal contesto scolastico (Bernardi, 2000; D’Amore, 1999, 2000; Ferrari, 2003; Laborde, 1995; Maier, 1993, 1995; Fornara & Sbaragli, 2017; Demartini & Sbaragli, 2019a; Demartini et al., in corso di stampa), e alcuni problemi di comunicazione e di comprensione legati alla mancata padronanza della lingua comune (D’Aprile et al., 2004; Ferrari, 2004). Proprio a partire da questi presupposti acquisisce senso profondo l’incontro fra lingua, nel nostro caso italiana, e matematica.

Come tutti gli ambiti specialistici del sapere, anche la matematica, nei secoli, si è dotata di un linguaggio settoriale (link) caratterizzato da alcune peculiarità: spiccano l’universalità, la precisione, la concisione, la densità e l’efficacia. Non dimentichiamo, inoltre, un tratto cruciale del linguaggio matematico, e cioè la coesistenza di diversi codici semiologici che generano differenti registri rappresentazionali. Pensiamo semplicemente ai testi su cui abbiamo studiato a scuola: sono testi in cui convivono parole della lingua d’uso quotidiano, termini settoriali, ma anche figure e grafici, ed espressioni simboliche (equazioni, formule, espressioni algebriche ecc.); testi che offrono al lettore una complessa pluralità di stimoli fra cui orientarsi.

A proposito della complessità, per quanto riguarda gli aspetti linguistici e limitandoci al piano lessicale, possiamo osservare un esempio di difficoltà intrinseco alla disciplina: nell’apprendimento, allieve e allievi non si trovano di fronte solo lo scoglio del lessico specialistico monosemico (talvolta ridondante, ma in genere composto di parole come ortocentro o ipotenusa che non si trovano al di fuori dell’ambito tecnico-specialistico di appartenenza), ma anche la complessità prospettata (soprattutto in fase di prima acquisizione) da quelle parole polisemiche che sono sia parole d’uso comune, sia termini tecnici; si pensi a “parole-termini” come angolo, area, contorno, figura, che hanno in geometria un significato preciso e univoco, ma che ne assumono molti, anche traslati, nella lingua del quotidiano (angolo dei giochi, _area di rig_ore, contorno di verdure, brutta figura…) e che possono quindi generare degli “inganni” nell’apprendimento della matematica (Demartini et al., 2018; Demartini & Sbaragli, 2019b). Più in generale, va considerato che ad accentuare le difficoltà incontrate dagli allievi contribuiscono le forme e le modalità di comunicazione che veicolano la disciplina, che non risultano mai neutre o irrilevanti.

La matematica nei libri di testo scolastici

Questa non neutralità emerge con chiarezza dall’esame dei libri scolastici, in cui il contenuto matematico è inevitabilmente filtrato dalle scelte di organizzazione e composizione testuale. Proprio per esaminare più a fondo i testi matematici per la scuola, presso il Dipartimento formazione e apprendimento della Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana è attualmente in corso il progetto Italmatica. Comprendere la matematica a scuola, fra lingua comune e linguaggio specialistico (progetto 176339 del Fondo Nazionale Svizzero per la Ricerca Scientifica). Il progetto consiste principalmente nell’individuazione, nella raccolta e nell’analisi (dal punto di vista linguistico e matematico) di sezioni selezionate di un corpus di libri di testo scolastici di matematica in lingua italiana per la scuola primaria e secondaria di primo grado, al fine di delinearne le caratteristiche e i possibili ostacoli per la comprensione da parte delle allieve e degli allievi. Dopo anni di studi sul tema, si è scelto di partire da qui, dai testi (rispetto ai quali è anche stato proposto un questionario ai docenti), per indagare sinergicamente sia gli aspetti matematici, sia i vari livelli linguistici in gioco nella trasmissione del sapere matematico. L’idea è che, grazie a uno studio specifico svolto da un gruppo di ricerca interdisciplinare, si possano approfondire i nodi critici e si arrivi a prospettare linee guida per proporre manuali che parlino meglio e con più consapevolezza agli apprendenti, agevolando la costruzione del sapere matematico: manuali, cioè, che siano “felici” rispetto al destinatario, richiamando (in senso lato) la nozione di felicità elaborata da John Austin, secondo la quale un atto comunicativo è “felice” quando raggiunge il suo obiettivo. Nella speranza che l’obiettivo di un testo per le scuola possa davvero essere quello di comunicare efficacemente e di far comprendere (e magari amare) la materia che tratta.

Riferimenti bibliografici

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Immagine: Pitagora, dettaglio della Scuola d'Atene (1511) di Raffaello Sanzio

Crediti immagine: Raffaello [Public domain]