La lingua romanì o romanes (Romani chib) ha avuto origine dalle lingue pracrite dell’India del Nord, i parlari popolari nati dal sanscrito. Gli studi mostrano come nel tempo la base lessicale del romanes si sia arricchita di termini persiani, curdi, armeni, greci, che testimonierebbero, in assenza di fonti di natura storica, il percorso di coloro che possiamo considerare, con approssimazione, gli antenati delle attuali popolazioni rom e sinte (nei documenti basso-medievali occidentali presentati come sedicentes “zingari” o “egiziani”),dalla penisola indiana a quella europea  tra l’VIII e il XII secolo” (Piasere, 2009).

Le vie verso occidente

Le variazioni nel lessico e l’evoluzione morfo-sintattica delle parlate delle diverse comunità rom europee rappresentano l’esito linguistico dei differenti percorsi seguiti dai vari gruppi che dopo una fase di permanenza comune nei territori dell’impero bizantino, si mossero verso occidente seguendo diverse direttrici, che semplificando possono essere ridotte a due.

La prima direttrice: dal bacino danubiano

La prima, forse la più conosciuta, grazie all’opera dei cronachisti basso-medievali e della prima età moderna, è quella seguita dalle compagini che partendo dal bacino danubiano tra gli inizi e la seconda metà del XV secolo attraversarono l’area mitteleuropea, lasciando numerose tracce del proprio passaggio, in particolare nelle città olandesi e tedesche della Lega anseatica, nelle Fiandre e in diversi cantoni della confederazione svizzera, come anche in Borgogna, Savoia e Provenza, in Francia settentrionale, nella Penisola iberica e in Italia, dove nel 1422 la loro presenza viene segnalata in diverse città della penisola (Bologna, Forlì, Lucca). Tali gruppi contavano diverse centinaia di persone, erano guidati da leader che esibivano importanti titoli nobiliari (generalmente quelli di duca o conte), ed erano muniti di salvacondotti imperiali e papali, attestanti il loro status di pellegrini penitenti provenienti dal Piccolo Egitto, costretti ad abiurare la fede cristiana e ad abbandonare la loro patria d’origine dopo l’invasione ottomana (Radenez, 2016).

La seconda direttrice: dalle coste balcaniche

La seconda direttrice è quella marittima e coinvolge i drappelli, che dalle coste balcaniche meridionali tra il XV e la prima metà del XVI secolo, si spostarono verso Ovest seguendo le rotte commerciali mediterranee genovesi e catalane. Tali compagini, partendo in particolare dai porti albanesi e greci raggiunsero le sponde dell’Italia meridionale e della Sicilia per poi, attraverso la Sardegna e la Corsica, approdare in Spagna e in Portogallo e, sempre via mare, in alcuni casi approdarono in Inghilterra e nei Paesi Bassi  (Radenez, 2016).

L’organizzazione interna di tali gruppi variamente denominati appare molto simile a quella dei gruppi continentali. La presenza di diversi cognomi al Sud e al Centro-Nord della penisola che rimandano alla denominazione “zingaro” (Cingarellus, Cingarelli, Cingari, Zingaro, Zingano) pare anticipare almeno al XIII secolo l’arrivo dei precursori delle popolazioni rom e sinte italiane, ma non contraddicono lo schema generale prima proposto, dato che solo a partire dalla seconda metà del '400 abbiamo a che fare con una presenza numericamente significativa.

Per quanto riguarda il territorio italiano, la diversa evoluzione geo-politica delle regioni di primo stanziamento, le modalità di arrivo e insediamento, come anche le differenti strategie economiche dei vari gruppi, hanno determinato, linguisticamente,  una diversa evoluzione delle varietà utilizzate dalle diverse comunità di parlanti, che pure condividono l’appartenenza allo strato, che sulla base dell’evoluzione morfo-sintattica interna (criterio che si sostituisce alla tradizionale classificazione tra dialetti vlach 'valacchi' e non vlach), il linguista Marcel Courtiade ha definito “balcano-carpato-baltico” (Courtiade, 1998).

Il romanes nell'Italia centromeridionale

Nell’Italia meridionale, nelle regioni appartenenti un tempo al Regno di Napoli, che costituirono per diversi secoli un’unità politica omogenea, il romanes parlato dalle comunità rom di antico insediamento, mantiene pur nelle sue varietà dialettali unacerta unitarietà. Determinante appare foneticamente l’influsso dai dialetti italiani centro-meridionali, mentre da un punto di vista morfologico, come è possibile apprendere dagli studi del linguista tedesco August Friedrich Pott, sono presenti diversi elementi che lo avvicinano ad altre varianti conservative del romanes parlate in area balcanica. Dal punto di vista lessicale importante appare l’apporto del greco, che non si limita alla semplice presenza dei termini ellenici presenti nel sostrato comune del romanes, come anche considerevole è l’influenza, dei dialetti italiani locali. Si può riscontrare infine la quasi totale assenza di termini di origine tedesca e slava, che costituisce un elemento distintivo netto del romanes meridionale rispetto ai dialetti sinti dell’Italia settentrionale, mentre non mancano alcuni apporti comuni con il calò iberico (Piasere, 2006).

Segnaliamo infine come a una variante del romanes meridionale, forse quella napoletana, appartengano le prime testimonianze scritte rilevabili nella nostra penisola nella commedia Signorina Zingaretta di Florido de Silvestris, pubblicata a Viterbo nel 1646, riesumata con una lettura etnostorica e commentata linguisticamente dall’antropologo Leonardo Piasere (Piasere, 2006).

Il dialetto parlato dai rom abruzzesi

Il quadro linguistico delle parlate centro-meridionali appare quindi abbastanza omogeneo. Emerge comunque la peculiarità del dialetto parlato dai rom abruzzesi. Si tratta infatti dell’unico caso relativo ai rom italiani di antico insediamento in cui, come già Soravia metteva in risalto alla fine degli anni ’70 del secolo scorso, risulta presente l’apporto lessicale del tedesco. Tale particolarità più che all’influenza dei dialetti sinti d’area settentrionale, potrebbe attribuirsi a contatti successivi con altri gruppi (Soravia, 1977), come anche all’influsso di una variante parlata da un gruppo sinto poco conosciuto, ishinterosengre, la cui azione gravitava ancora nell’800  attorno all’area toscana, umbra e marchigiana e sulla cui presenza si è soffermato in particolare Sigismondo Caccini (Caccini, 2001).

I dialetti dei sinti del Nord Italia

Molto più articolata si presenta invece la situazione nell’Italia settentrionale, complice la maggior frammentazione politica e il continuo mutamento dei confini geografici degli stati pre-unitari prima dell’unificazione nazionale. In linea di massima per quanto riguarda la struttura morfologica e sintattica i dialetti dei sinti del Nord-Italia si presentano abbastanza omogenei (Soravia, 1977), alcune distinzioni significative riguardano alcuni tratti prosodici: mentre i sinti piemontesi ad esempio continuano conservativamente a mantenere l’accento sull’ultima sillaba nelle parole appartenenti al lessico ereditario di origine indiana, nelle varianti del romanes parlate dai sinti lombardi e veneti si rileva nei medesimi lessemi lo spostamento all’indietro verso la prima sillaba (Scala, 2005). Rilevanti appaiono invece le differenziazioni per quanto concerne il lessico. Nei sinti tedeschi segnalati fin dalla prima età moderna in Italia, ma la cui presenza sembra aumentare significativamente solo dopo la prima metà del XIX secolo, in concomitanza con la nascita del Lombardo-Veneto austroungarico, la percentuale di vocaboli di origine germanica sfiora infatti il 40% (Piasere, 2011).

La varietà parlata da gruppi rom di area slava

A rendere ancora più complessa la stratificazione linguistica nel Nord-Italia, si aggiunge il contributo dei vari gruppi di rom di area slava, classificati da alcuni studiosi come gruppi intermedi (sloveni/harvati/istriani) (Soravia, 2011), parlanti una varietà dello strato denominato “gurbet-cergar”, i cui movimenti vennero innescati  in particolare dagli eventi bellici del primo Novecento, portandoli a gravitare nei territori abitualmente frequentati dai sinti. Sporadica appare invece lapresenza di altri gruppi come i lovara e i kalderash. Numericamente consistente infine, a partire dagli anni ’60 del secolo scorso risulta la presenza di nuclei familiari xoraxané (musulmani) e dassikané (cristiani ortodossi) provenienti dai paesi dell’ex Jugoslavia.

Forse meno di duecentomila in tutto

Non si conosce oggi esattamente il numero delle persone classificabili come rom o sinte, presenti nel nostro paese, c’è chi propone una cifra vicina alle 180.000 persone, per la maggior parte di nazionalità italiana, ma in realtà mancano gli strumenti per operare una stima veramente attendibile.

A questo quadro d’indeterminatezza si unisce la mancanza d’informazioni dettagliate sul numero di parlanti che oggi in Italia abbiano una competenza attiva del romanes. Gli studiosi di settore dipingono un quadro a tinte fosche per quanto concerne lo stato di salute della lingua tra le comunità italiane d’antico insediamento in particolare per quanto riguarda il Sud-Italia. Non abbiamo elementi per valutare se e in che misura la tradizionale agrafia delle comunità rom e sinte abbia avuto incidenza in tale processo d’indebolimento; senz’altro è possibile constatare come tra le lingue alloglotte presenti sul territorio italiano  il romanes sia quella in cui la grafizzazione da parte dei parlanti è avvenuta più tardivamente e in maniera  più sporadica. (Scala, 2015).  Diversi materiali di lavoro sono stati in questi anni prodotti con destinazione specifica per le scuole, ma l’uso del romanes in contesti didattici appare comunque limitato (Matras, 2010).

Una lingua istituzionalmente bistrattata

Sicuramente incide negativamente sul contesto la mancata applicazione per il romanes della legge 482/99, che, tesa alla valorizzazione delle minoranze linguistiche storiche nel nostro paese, esclude il romanes, motivando questa scelta con il mancato radicamento territoriale e il carattere “nomade” delle comunità rom e sinte italiane di antico insediamento. (Toso, 2008). Tale scelta per le comunità rom e sinte, che da più di mezzo secolo vivono stabilmente nella penisola, rende di fatto inapplicabile l’art. 6 della nostra Costituzione: «l’Italia tutela le minoranze linguistiche intese anche come minoranze etniche culturali,sia diffuse in modo minore in tutto il territorio sia insidiate in specifiche realtà territoriali […]».

Chiudiamo con un paradosso, se la discriminazione e il conflitto con le istituzioni hanno rappresentato nel tempo un ostacolo alla tutela linguistica, è un dato di fatto che in alcune regioni come la Sicilia e la Sardegna (un tempo incorporate ai domini asburgici mediterranei della Corona spagnola, dove la legislazione repressiva era più flebile), non solo si possa constatare l’assenza di comunità rom di antico insediamento (in Sardegna numerose famiglie sinte son presenti ma in forme invisibili e linguisticamente mascherate), ma la presenza del romanes sia rilevabile solo residualmente in alcuni gerghi locali quali il baccagghiu dei camminanti siciliani e s’arromaniska dei calderai ambulanti di Isili in Sardegna. Si tratta di un’apparente incongruenza che mostra invece da un lato quanto sia profondo il radicamento delle comunità di cultura romanes nel nostro paese e dall’altro la necessità di nuove e approfondite indagini pluridisciplinari per restituirci la conoscenza di dati di contesto indispensabili per la corretta tutela di una lingua istituzionalmente bistrattata.

Bibliografia di riferimento

Caccini, Sigismondo, Leonardo Piasere, e Michele Barontini,La lingua degli Shinterosengre e altri scritti, Roma, CISU, 2001.

Courtiade, Marcel, «Structuredialectale de la langue rromani», in Interface, 1998, n. 31, pp. 9-14.

Matras,Yaron, Romani dialect classification revisited, “RomIdent working papers”, Paper n.15, 2010 (link)

Piasere, Leonardo,Buoni da ridere, gli zingari: saggi di antropologia storico-letteraria, Roma, CISU, 2006.

Piasere, Leonardo,I rom d'Europa: una storia moderna, Roma, Laterza, 2009.

Piasere, Leonardo,La stirpe di Cus: storie e costruzioni di un'alterità, Roma: CISU, 2011.

Radenez, Julien, «Contribution à l’histoire des Tsiganes en Europe», in Hommes et Migrations, 1314, 2 (2016), pp.151-155.

Scala, Andrea, «La penetrazionedella Romani neigerghiitaliani: un approcciogeo-linguistico» in _Lo spazio linguistico italiano e le lingue esotiche, rapporti e reciprociinflussi,_Attidel XXXIX congresso di studidellasocietà di linguisticaitaliana (Milano 2005), a cura di  EmanueleBanfi e Gabriele Iannaccaro, Roma: Bulzoni, 2006.

Scala, Andrea, «“Se proprio dobbiamoscrivere, almenofacciamolo come glialtriItaliani”. I Sintidell’Italiasettentrionale e la grafizzazionedellaloro lingua», in Elaborazionegrafica delle varità non standard, esperienzespontanee in Italia e all’estero, a cura di  Silvia dal Negro,Federica Guarini, Gabriele Iannaccaro, Bergamo, BergamoUniversityPress,2015.

Soravia, Giulio,Dialetti degli zingari italiani, Pisa,Pacini, 1977.

Soravia, Giulio, Comunità zingare, in Enciclopedia Treccani, 2011(link)

Toso, Fiorenzo, Alcuni episodi dell’applicazione delle norme di tutela delle minoranze linguistiche in Italia, 2008 (link)

La seconda puntata: Il francese e il francoprovenzale (Matteo Rivoira)

La terza puntata: Alto Adige – Südtirol (Sudtirolo) (Marco Caria)

La quarta puntata: Lo sloveno (Franco Finco)

La quinta puntata: L’occitano cisalpino (Matteo Rivoira)

La sesta puntata: Il friulano (Franco Finco)

La settima puntata: I Ladini delle Dolomiti (Marco Forni)

L’ottava puntata: Il sardo (Fiorenzo Toso)

La nona puntata: Il catalano di Alghero (Marco Caria)

La decima puntata: Le isole linguistiche germanofone minori (Marco Caria)

L’undicesima puntata: La minoranza linguistica italo-albanese (arbëreshe) (Monica Genesin e Joachim Matzinger)

La dodicesima puntata: Le isole grecofone in Calabria e in Puglia (Domenica MinnitiGònias)

La tredicesima puntata: Isole linguistiche: la comunità degli Slavi del Molise (Antonietta Marra)

Immagine: Chiesa di San Sebastiano a Isili

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