Veline, sportivi, attori… Anche in questa campagna elettorale non sono mancate candidature di lustrino, più che di lustro, a segnare una continuità estrema ma sottile con la prima grande campagna elettorale della storia della repubblica italiana, quella del 1948, che cadeva precisamente sessant’anni fa. Sessant’anni fa, papa Pio XII aveva affidato il compito di organizzare una forza capace di intervenire in modo incisivo nel corso della campagna elettorale a Luigi Gedda, presidente dell’Unione Uomini dell’Azione Cattolica. E a Gedda, nel momento in cui passava in rassegna la lista dei possibili candidati in vista dello scontro elettorale con il Fronte Popolare di Togliatti e di Nenni, il pontefice suggeriva che «sarebbe utile includervi Gino Bartali, data la sua immensa popolarità».
Nel 2008 Veltroni lancia il Democratic Day, scorciato in D-day, evocando non solo lo sbarco in Normandia, ma anche, involontariamente, l’avversario Berlusconi, che parlò di D-day a proposito del giorno della spallata contro il Governo, nell’autunno scorso (spallata allora fallita). Il D-day del Partito Democratico è consistito in una chiamata, nelle strade e nelle piazze, alla collaborazione volontaria dei cittadini. Nel ’48 le forze cattoliche sciamano a volontà, nelle strade e nelle piazze, per tutto il Paese, in processioni dietro la statua della Madonna pellegrina, arruolata in campagna elettorale. Nel 2008 Berlusconi mette in campo, anzi, sull’asfalto, i camper della libertà (per rispondere al tour in pullman di Veltroni; si registra anche, in seguito, la partenza del truck "Corre il vento socialista" di Enrico Boselli); nel ’48 la Chiesa interviene coi Frati volanti, che agiscono tra le piazze e fra la gente con madonne piangenti, attacchi personali agli oratori socialcomunisti e minacce di scomunica.
Gli elementi di memoria collettiva sulla campagna del ’48 appena citati, qui liberamente accostati alle trovate propagandistiche di oggi, sono stati ricordati dallo studioso Edoardo Novelli in un saggio uscito due anni fa, che ripercorreva Sessant’anni di comunicazione politica e di scena pubblica in Italia (questo il sottotitolo di La turbopolitica, Bur). Oggi, con una messa a fuoco sulla sola campagna del ’48, Novelli racconta e illustra dettagliatamente, in un saggio che esce per Donzelli, Le elezioni del quarantotto. Storia, strategie e immagini della prima campagna elettorale della repubblica (pp. XIV-194, € 16), che egli giudica anche la «prima campagna elettorale moderna» in Italia.
Ci siamo chiesti e abbiamo chiesto a Edoardo Novelli* se e quali siano le relazioni che corrono tra il linguaggio della propaganda elettorale ai tempi della DC e del Fronte Popolare e quello di sessant’anni dopo.

Che cosa unisce e che cosa divide due campagne elettorali, peraltro tanto lontane nel tempo, come quella del 1948 e l’attuale?

La campagna elettorale del 1948, oltre ad essere la prima della fase repubblicana, può essere considerata la prima campagna elettorale moderna della storia d’Italia. È nel 1948 infatti che vengono fissati modelli, linguaggi, immagini, stereotipi, ai quali le campagne elettorali attingeranno negli anni a venire. Ma soprattutto è nel 1948 che, in conseguenza del nuovo clima creato dalla guerra fredda e dalla divisione del mondo in due blocchi contrapposti che si sta diffondendo a livello mondiale, si impongono i temi comunismo/anticomunismo e proAmerica/antiAmerica, che la fede viene direttamente coinvolta nella campagna elettorale e l’avversario politico diventa un nemico, una minaccia per le sorti del paese. Ebbene, questa è la prima campagna elettorale che, sessant’anni dopo il 1948, riesce in parte a svincolarsi dalla lunga eredità del ’48.

Prendiamo i leader carismatici dei due principali schieramenti di allora e di oggi, Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti da una parte, Silvio Berlusconi e Walter Veltroni dall’altra. Quali le principali caratteristiche comunicazionali e linguistiche della coppia di scontri?

Per marcare le differenze credo basti un dato: fra le centinaia di manifesti elettorali prodotti nel 1948 non ne ho trovato uno con la faccia di De Gasperi o di Togliatti e la scritta vota Dc o vota Pci. È un semplice ma chiaro segno di quanto allora, a differenza di oggi, si votasse per un’ideologia e per il partito che la rappresentava e di come la personalizzazione della politica fosse ancora lontana. Inoltre, lo strumento privilegiato della campagna elettorale erano i comizi. Non a caso sia Togliatti che De Gasperi erano entrambi, con le rispettive differenze e particolarità, grandi oratori. La parola politica godeva di tempi lunghi, argomentazioni distese, costruzioni articolate, oggi ha fatto propri i ritmi televisivi e la sinteticità della pubblicità.
Per quanto riguarda invece i toni del confronto, quelli di allora erano molto più aspri degli attuali. I due leader, che sino a pochi mesi prima avevano condiviso i banchi del governo, si scambiano dai palchi dei comizi e sulle colonne dei giornali feroci accuse. De Gasperi dice del segretario comunista che è «un agnello dal piede caprino» e lancia la parola d’ordine «vincere costi quel che costi», Togliatti definisce De Gasperi «uomo di non troppa grande cultura» e proprio nell’ultimo comizio in piazza San Giovanni, a Roma, annuncia che si è fatto applicare alle suole due file di chiodi che si ripromette a sua volta di applicargli presto su parti del corpo che non nomina. Oggi invece, come ha ben dimostrato la doppia conferenza stampa del 1° aprile trasmessa su Rai Due, anziché cercarsi i due leader tentano, in maniere diverse, di evitarsi: Berlusconi non intende incontrare Veltroni e quest’ultimo si rifiuta di nominarlo.

Si ha la sensazione che la dipendenza del discorso e della propaganda politica dai luoghi, dai tempi e dai ritmi della televisione sia stata fortemente messa in discussione, nel corso di questa campagna elettorale. Qual è la sua opinione?

La campagna elettorale del 2006 era stata in assoluto la più televisiva, l’attuale in effetti sembra meno dipendente dallo strumento televisivo. Non credo sia il segno di un passaggio d’epoca o dell’inizio del tramonto del medium generalista per eccellenza. Ritengo sia più dovuto a fattori contingenti. Innanzi tutto il fatto che non vi sono più due soli grandi schieramenti contrapposti, come era successo dal 1994 al 2006, rende più difficile la rappresentazione e il racconto televisivo. Inoltre, Berlusconi, essendo dato in vantaggio, non ha avuto interesse a ricorrere allo strumento televisivo in maniera così estrema come aveva fatto due anni fa per recuperare il distacco da Prodi, mentre Veltroni ha preferito una campagna sul territorio anziché in video anche per rimarcare la differenza col passato, che rappresenta una delle chiavi della sua proposta politica.

*Edoardo Novelli è ricercatore presso l’Università degli Studi Roma Tre e giornalista professionista. Sulla storia della propaganda e sul rapporto fra media e sistema politico ha pubblicato tra l’altro: La turbopolitica. Sessant’anni di comunicazione politica e di scena pubblica in Italia: 1945-2005, Bur-Rizzoli, Milano 2006; Dalla tv di partito al partito della tv. Televisione e politica in Italia 1960-1995, La Nuova Italia, Firenze 1995; ha collaborato con «La Stampa», «Il Venerdì di Repubblica», «Il Riformista»; ha realizzato programmi e serie televisive per RaiTre e Rai Educational.

Crediti immagine: copertina del libro Le elezioni del Quarantotto. Storia, strategie e immagini della prima campagna elettorale repubblicana di Edoardo Novelli, Donzelli editore.