Ha dovuto ricordarlo anche il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, con le parole caute che si addicono al suo ruolo e al suo carattere personale: «Sono necessarie indicazioni – ragionevoli e chiare – da parte delle istituzioni di governo» (intervento in occasione della Festa del Lavoro, 1° maggio 2020): il richiamo alla chiarezza che deve contraddistinguere le indicazioni del governo non sembra un topos, o un’osservazione lapalissiana, ma un richiamo a superare una carenza che i testi ufficiali di questi mesi di emergenza sanitaria hanno evidenziato.

Non si tratta di penna rossa o blu

Metto subito le mani avanti: criticare l’inefficacia di gran parte delle comunicazioni ufficiali degli organi dello Stato di questi mesi non è un andare a cercare il pelo nell’uovo, magari per astratta deformazione professionale; e alla denuncia delle deficienze comunicative e linguistiche delle fonti ufficiali non si può opporre qualche dichiarazione di benaltrismo (del tipo «ci sono persone che muoiono, e voi andate a correggere con la penna rossa e blu le scritture governative»). In un momento di emergenza come questo, nel quale si devono imporre ai cittadini comportamenti che contrastano con esigenze primarie della vita umana e sociale, come la mobilità e la possibilità di incontrare parenti e amici, la chiarezza, oltre che la ragionevolezza, delle informazioni dovrebbe essere uno degli ingredienti fondamentali dell’azione di chi governa una situazione così difficile. E invece è stato un disastro, da diversi punti di vista. Un disastro che, fin dalle prime apparizioni, ha fatto emergere appelli a cambiare rotta.

Proclami oscuri

Senza inseguire i diversi commenti che si sono rincorsi nei social network, pensiamo a cosa abbiamo letto nei giornali: dalla denuncia di Gianantonio Stella, nel «Corriere della sera», sulle dimensioni dei decreti degli enti governativi (nello specifico, il «Testo coordinato delle ordinanze di protezione civile» del 24 marzo, costituito da 123.103 parole, tredici volte più di quelle dell’intera Costituzione italiana), alla critica del testo dell’autodichiarazione (in sei successive versioni) imposta, in forma immodificabile, a chi avesse avuto bisogno di uscire soprattutto nel periodo di confinamento generalizzato in casa (ne ha parlato Mariangela Mianiti nel «Manifesto» e io stesso nel «Mattino di Padova», che ha pubblicato anche una replica, non ben focalizzata sul tema centrale in discussione, del Capo della polizia), alla pubblicazione di verbali di sanzioni nei quali la logica sembra essere un ingrediente opzionale (ancora Mariangela Mianiti nel «Manifesto»), fino all’accorato appello di Sabino Cassese, pubblicato dal «Corriere della sera» con l’inequivoco titolo «Coronavirus, il dovere di essere chiari», nel quale l’ex Ministro ed ex Giudice costituzionale confessa di non comprendere «perché i nostri governanti continuino a scrivere proclami così oscuri», concludendo che, anche in un momento di emergenza così inedita, nella quale le incertezze di comportamento possono anche essere comprensibili, chi scrive e chi firma decreti, ordinanze e leggi dovrebbe fare uno sforzo per dare disposizioni chiare e sintetiche (solo così, aggiungo io, si possono indirizzare in modo efficace i comportamenti): «è il “minimo sindacale” che il popolo può aspettarsi dall’”avvocato del popolo”: siate chiari, almeno questo possiamo chiederlo».

Pletora di parole e ambiguità

Ma, niente. Nonostante queste critiche e raccomandazioni, che rimontano al mese di marzo, governanti e alti funzionari non si sono spostati di un millimetro: basti ricordare che nelle mille task force, che sono state create per affrontare qualsiasi problema dell’emergenza, in aggiunta alle strutture già esistenti, non sono stati inseriti, che io sappia, dei linguisti (o, ancor meglio, delle linguiste: ce ne sono molte di valentissime e di esperte nella individuazione delle criticità della scrittura istituzionale). Anzi, la pletora di parole e le ambiguità dei testi governativi hanno fatto scuola anche ai livelli più bassi, nelle ordinanze di presidenti di regione e di sindaci. Del resto, le situazioni di stress come questa non fanno che evidenziare le carenze strutturali di un sistema. E certamente, tra le criticità irrisolte del sistema legislativo e di quello burocratico c’è l’assoluta incapacità di scrivere in maniera adeguata alle esigenze e alle capacità di lettura del proprio uditorio (“il popolo italiano”) e, spesso, un assoluto disinteresse a superare questa incapacità. Al legislatore e al burocrate (soprattutto all’alto burocrate) possiamo rivolgere l’appunto che Gianrico Carofiglio, nel suo romanzo La regola dell'equilibrio (Torino, Einaudi, 2014, p. 96), rivolge ai magistrati, che «con rare eccezioni, sono inconsciamente e tenacemente contrari alla chiarezza e alla sintesi».

Smania di onnicomprensività

In queste parole c’è il centro della questione. Perché il governo fa decreti di ampie dimensioni, che poi devono essere precisati da provvedimenti attuativi, circolari esplicative, faq che lambiscono le cento domande? Per una smania di iperprecisione e di onnicomprensività sul piano dei contenuti (mancanza di sintesi), realizzati utilizzando una lingua lontana dalla lingua comune, anche quando non c’è nessuna necessità espositiva, e ricca di vaghezza e ambiguità (mancanza di chiarezza).

In questi sessanta e passa giorni di emergenza sanitaria ho raccolto, anche grazie alle segnalazioni di “amici” nei social network. un’ampia antologia di testi che documentano quanto ho sintetizzato fin qui (e se ne potrebbe ricavare facilmente un instant book). Non posso che richiamare i casi più significativi. Innanzi tutto, i decreti del presidente del consiglio, con le sue indeterminatezze semantiche (ormai è noto a tutti il complesso tentativo di dare una definizione chiara al termine congiunto usato nel decreto del presidente del Consiglio del 26 aprile; ma non è stato fatto uno sforzo analogo per farci capire chi sono le persone anziane alle quali, nello stesso decreto, si fa «espressa raccomandazione (…) di evitare di uscire dalla propria abitazione o dimora fuori dai casi di stretta necessità»?). Poi, i decreti legge, come il n. 23 dell’8 aprile 2020, che prevede tra l’altro prestiti garantiti dallo Stato per le piccole e medie imprese, con queste semplici precisazioni: «il soggetto richiedente applica all’operazione finanziaria un tasso di interesse, nel caso di garanzia diretta o un premio complessivo di garanzia, nel caso di riassicurazione, che tiene conto della sola copertura dei soli costi di istruttoria e di gestione dell’operazione finanziaria e, comunque, non superiore al tasso di Rendistato con durata residua da 4 anni e 7 mesi a 6 anni e 6 mesi, maggiorato della differenza tra il CDS banche a 5 anni e il CDS ITA a 5 anni, come definiti dall’accordo quadro per l’anticipo finanziario a garanzia pensionistica di cui all’articolo 1, commi da 166 a 178 della legge 11 dicembre 2016, n. 232, maggiorato dello 0,20 per cento».

Autodichiarazione, un bestseller editoriale

La pluriaggiornata autodichiarazione per gli spostamenti dalla propria casa, un «piccolo foglio di carta», come ha minimizzato il capo della polizia, che, se è stato esibito anche solo in una parte dei quasi 9 milioni di controlli effettuati dal 28 marzo al 1° maggio, è certamente il bestseller editoriale dell’anno e che rappresenta la quintessenza della incomunicabilità burocratica (per di più fatta passare per una dichiarazione del cittadino che, circa nel 60% dei casi, non è in realtà in grado non solo di averla scritta, ma neppure di averla compresa con facilità). I verbali delle forze dell’ordine che, anche quando hanno improntato le loro verifiche a una doverosa cortesia nei confronti dei cittadini, hanno tradotto nel modulo, completato in nome del cittadino, la dichiarazione del controllato, di alta scolarizzazione, «sto andando a fare la spesa» in «uscita per approvvigionamenti alimentari» (da fedele emuli, quasi sessant’anni dopo, del brigadiere di Calvino che, invece di dire accendere la stufa e fiaschi di vino, parlava di eseguire l'avviamento dell'impianto termico e di prodotti vinicoli). Altri verbali di polizia, improntati questi a fantasiosa discrezionalità interpretativa o, più probabilmente, a giustificata incapacità a destreggiarsi tra la complessità, la vaghezza e le contraddizioni delle norme, motivano in questo modo una sanzione: «La persona effettuava spostamento senza giustificato motivo più precisamente si spostava in qualità di accompagnatore del padre che per giustificato motivo si recava all’ospedale San Martino accompagnato dal figlio in qualità di conducente che per giustificato motivo trasportava il genitore titolare di contrassegno disabili» (all’inizio ho pensato che fosse un fake, ma poi l’ho visto citato anche nella stampa). Oppure, ed infine, l’INPS che, nel momento in cui non è stata capace di garantire la riservatezza di alcuni dati personali contenuti nel suo data base, ha comunicato nel suo sito «di avere prontamente notificato il data breach al Garante per la protezione dei dati personali» (nella certezza, immagino, che per i suoi utenti data breach sia decisamente più familiare di violazione dei dati personali).

La comunicazione di medici e ricercatori

In questo quadro così sconfortante, mi permetto di glissare sulle conferenze stampa del presidente del Consiglio (che potrebbero aprire il capitolo delle debolezze della comunicazione politica odierna). Voglio, però, dare un ammirato riconoscimento ai medici e ai ricercatori che nelle trasmissioni televisive ma, soprattutto (per restare nel tema istituzionale di questo articolo), nelle conferenze stampa della Protezione civile hanno cercato di trasmettere, con pacatezza e con la massima chiarezza possibile, le conoscenze, spesso ancora parziali e controverse, che si stanno costruendo in ambito scientifico e medico a proposito di questa pandemia, esplosa improvvisa e rapidissima, a causa di un virus finora sconosciuto, in questo inverno 2019-2020.

Immagine: Bandiera del Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana

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