L’Italia, storicamente Paese di emigrazione, ha conosciuto a partire dagli anni Settanta ed in maniera più accentuata a partire dagli inizi del XXI secolo movimenti immigratori sempre più consistenti. Questo ha prodotto la necessità di garantire la presenza di nuove risorse, di vario tipo, per la gestione dei movimenti di queste persone, che ovviamente arrivano sulla penisola con un trascorso socio-culturale e personale rilevantissimo. I centri di accoglienza di primo e di secondo livello hanno garantito il più possibile corsi di lingua italiana per tutti gli ospiti, affidando però spesso agli insegnanti gruppi fortemente eterogenei da numerosi punti di vista. È interessante quindi analizzare brevemente alcuni degli aspetti fondamentali che il docente si trova a dover affrontare in queste situazioni, partendo da quelli più generali che, pur calati nel contesto dell’insegnamento dell’italiano come lingua seconda, riguardano la didattica L2 in generale e l’acquisizione linguistica e sono fondamentali per la programmazione e lo svolgimento di un corso.

La tipologia di apprendente

Un primo cenno va fatto al tipo di apprendente che ci si trova di fronte: pur rientrando in quello che viene più genericamente definito come profilo immigrati, si tratta prevalentemente di richiedenti asilo e rifugiati, che hanno spesso dei progetti futuri meno solidi o a più breve termine; alcuni sanno addirittura già di voler rimanere in Italia per un periodo di tempo molto limitato, il che influirà in maniera negativa sulla motivazione, almeno quella estrinseca, all’apprendimento dell’italiano. L’insegnante dovrà quindi cercare di stimolare una maggiore motivazione intrinseca, dato che la motivazione è uno dei fattori fondamentali che incide sull’acquisizione oltre ad altri ben noti quali lingua/e e cultura/e di provenienza (situazione di monolinguismo/plurilinguismo e distanza tipologica tra le lingue), età (infanzia, pre-adolescenza e prima adolescenza sono i periodi di maggiore predisposizione all’apprendimento per ragioni neurobiologiche, ma in questo contesto troviamo prevalentemente apprendenti adulti e giovani adulti), sesso (le classi sono spesso costituite soprattutto da uomini, il che potrebbe rappresentare un problema qualora, ad esempio, la cultura di provenienza degli apprendenti non accettasse la subordinazione alle istruzioni di un’insegnante donna), retroterra culturale (vi sono spesso diversi livelli di partenza di scolarizzazione e di acculturamento all’interno di una classe; la didattica deve essere quindi modulare in modo da poter individualizzare il programma) e bisogni (nella maggior parte dei casi si tratta di persone che devono lavorare, perciò i bisogni sono importantissimi e gli input devono essere immediatamente spendibili a breve e medio termine, anche se questa strumentalità non esclude anche input di altro tipo).

La programmazione

L’arrivo nelle strutture, soprattutto in quelle di seconda accoglienza (ex SPRAR-Servizio centrale del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati; link), può avvenire in fasi diverse del periodo di permanenza del migrante. In uno stesso gruppo, quindi, è molto comune trovare apprendenti che vivono in Italia da diversi anni assieme ad altri che sono giunti invece da pochi mesi, il che implica di solito (anche se non necessariamente) una preconoscenza più approfondita della L2 da parte dei primi rispetto ai secondi. Inoltre, non è raro il caso di apprendenti provenienti da un background di scarsissima o nulla scolarizzazione, e quindi un livello bassissimo di consapevolezza delle strutture linguistiche anche delle lingue già conosciute (lingua madre ed eventualmente altre lingue seconde), usate quasi esclusivamente oralmente. In un contesto del genere più che mai, quindi, è fondamentale basare la propria programmazione sui test di livello da somministrare agli apprendenti prima dell’avvio dei lavori. Ne è un esempio particolarmente pratico ed efficace quello a cura di Borri, Di Lucca, Masiero e Pasqualini, che dedicano parti distinte alle abilità di letto-scrittura e a quelle di produzione orale e ascolto, tra cui vi è non di rado un divario notevole, con un livello generalmente più avanzato nelle seconde piuttosto che nelle prime. Il test è adatto alla verifica delle conoscenze per livelli che vanno dal pre-A1 all’A2 del QCER (Quadro comune europeo di riferimento per la conoscenza delle lingue; link).

Analfabetismo e bassa scolarizzazione

Nel caso in cui la somministrazione del test d’ingresso rilevi la presenza di studenti di livello pre-A1 (di recente introduzione nel QCER e la cui definizione è piuttosto articolata e non priva di complessità), bisogna quindi fare alcune valutazioni fondamentali. Innanzitutto, c’è da capire quali abilità rientrino in tale livello: spesso, come si diceva, a competenze di ascolto e produzione orale almeno di livello elementare corrispondono basse o nulle competenze di letto-scrittura. In questo caso, anziché optare per una completa separazione tra studenti già alfabetizzati e non, questi ultimi potrebbero partecipare a incontri con gruppi eterogenei in modo che vengano valorizzate le loro risorse nella pratica della conversazione, fermo restando che necessiteranno di interventi didattici mirati, possibilmente in altra sede, per l’acquisizione delle conoscenze di base che portino all’alfabetizzazione. Tra l’altro, tali interventi saranno agevolati proprio dalla più avanzata conoscenza della lingua a livello orale: ad esempio, mostrando immagini corrispondenti al lessico di base (scuola, libro, tavolo, ecc.), lo studente pronuncerà spontaneamente il termine e farlo esercitare sulla scrittura di quest’ultimo porterà ad una più immediata memorizzazione della corrispondenza tra grafia e fonetica.

Fondamentale, poi, tenere in considerazione il livello di scolarizzazione di partenza non soltanto da un punto di vista strettamente linguistico: anche gli studenti alfabetizzati strutturalmente (che sanno quindi leggere e scrivere) possono rientrare sotto certi aspetti nella categoria degli analfabeti funzionali, ovvero coloro che, tra l’altro, non sono capaci di applicare le proprie conoscenze di letto-scrittura e di calcolo in maniera logica, critica e analitica al contesto sociale circostante (per approfondimenti cfr. il cap. I di Minuz, 2005). L’insegnante dovrà quindi ricalibrare il tiro e non dare per scontate delle conoscenze e delle competenze che si è abituati a ritenere acquisite in apprendenti adulti. Per fare un esempio, i manuali sono di solito ricchi di tabelle e schemi (classico il caso dell’agenda settimanale da compilare quando si insegna a familiarizzare con le routine o quello dell’albero genealogico da completare quando si parla della famiglia), che spesso lo studente non è in grado di interpretare in maniera corretta. Si renderà quindi necessario un lavoro che rinforzi anche le abilità logiche e di ragionamento, in modo da evitare un probabile fallimento degli obiettivi linguistici.

Letture

Didattica dell’italiano L2

Balboni P. E., Le sfide di Babele. Insegnare le lingue nelle società complesse, 4ª ed., Torino, UTET, 2015.

Diadori P. (a cura di), Insegnare italiano a stranieri, Milano, Le Monnier, 2015.

Diadori P., Palermo M., Proncarelli D., Insegnare l’italiano come seconda lingua, Roma, Carocci, 2015.

Didattica dell’italiano ad apprendenti adulti:

Begotti P., L’insegnamento dell’italiano ad adulti stranieri. Risorse per docenti di italiano come L2 e LS, Perugia, Guerra Edizioni, 2006.

Didattica dell’italiano ai richiedenti asilo e rifugiati:

Galli T., La logica del sistema di accoglienza dei richiedenti Protezione internazionale e la sua ricaduta sull’apprendimento dell’italiano. Bollettino ITALS Anno 15, numero 68, - supplemento rivista EL.LE, 2017

Alfabetizzazione

Borri A., Minuz F., Rocca L., Sola S., Italiano L2 in contesti migratori. Sillabo e descrittori dall’alfabetizzazione all’A1, Quaderni della Ricerca, Torino, Loescher, 2014.

Minuz F., Italiano L2 e alfabetizzazione in età adulta, Roma, Carocci, 2005.

Minuz F., Borri A., Rocca L., Progettare percorsi di L2 per adulti stranieri, Torino, Loescher, 2016.

Linee guide del Consiglio d’Europa per l’integrazione linguistica dei migranti (link)

Immagine: Johann Peter Hasenclever

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