Negli ultimi quattro mesi il mondo della scuola è stato avvolto da un assordante silenzio. L’ossimoro è d’obbligo: l’istruzione pubblica avrebbe dovuto avere la priorità nelle preoccupazioni e decisioni del Governo, che invece ha preferito tacere e prendere tempo, mentre genitori, operatori scolastici, studenti, erano ansiosi di conoscere le modalità per il riavvio delle lezioni in presenza e sicurezza.

Un esempio lampante è costituito dai ritardi nell’individuare gli spazi scolastici necessari. Soltanto il 9 giugno scorso Anna Ascani, viceministra all’istruzione con delega all’edilizia scolastica, scriveva sulla propria pagina Facebook: “Oggi avvieremo, con il supporto della task force edilizia, una ricognizione sul territorio delle aule esistenti e io incontrerò i rappresentati delle Regioni, a cominciare da Campania e Calabria”. Sorge spontaneo chiedersi perché la ricognizione sia cominciata così tardi. Forse perché prima di decidere si aspettava la discesa della curva epidemica? Pare proprio di si. E infatti il basso indice attuale dei contagi ha consentito al Comitato tecnico scientifico di stabilire per gli allievi un distanziamento fisico minore di quanto era stato preannunciato: soltanto un metro fra le “rime buccali”. E sempre i dati incoraggianti dei contagi hanno indotto la stessa viceministra a dire, in un’intervista pubblicata sul “Sole 24 ore”: “Se la situazione epidemiologica resta questa, alla primaria e alla secondaria di I grado non vedo grandissimi problemi mentre in un 20% di scuole superiori dei centri più popolosi effettivamente c’è qualche criticità”.

Gattopardismo scolastico

“Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi” scriveva Giuseppe Tomasi di Lampedusa. È proprio vero! Dopo quattro terribili mesi che hanno sconvolto le vite di bambini e ragazzi ci saremmo aspettati notevoli cambiamenti per settembre: scuole ampliate, dove possibile, nei mesi in cui le lezioni sono state sospese; costruzione di nuovi edifici prefabbricati; ulteriori locali reperiti nei diversi comuni. A situazioni eccezionali dovrebbero corrispondere scelte coraggiose, soluzioni altrettanto eccezionali trovate da chi sia in grado di pensare “in grande” e di avere uno sguardo “lungo” che veda “oltre”. E invece nell’80% delle scuole tutto resta com’è. Nella percentuale rimanente occorre invece trovare soluzioni edilizie idonee, ma è difficile pensare che ciò possa avvenire in luglio e agosto, tra caldo e ferie.

Perché niente cambia? Perché i circa 2 metri quadrati richiesti per ogni allievo (corrispondenti a un metro lineare di distanziamento interpersonale), rappresentano la stessa misura prevista dalle attuali norme edilizie, che risalgono addirittura al 1975.

Strano ma vero: le aule sono a norma! Anche se la realtà scolastica è fatta di sezioni di scuola dell’infanzia con 29 bambini, classi di scuola primaria con 26 allievi di cui alcuni disabili, classi di scuola secondaria con trenta studenti.

E cosa succederà se la situazione epidemica diventasse più critica, pur senza raggiungere i livelli di marzo scorso, con la necessità di un distanziamento maggiore e di un conseguente sdoppiamento delle classi? Non conosciamo la risposta perché è un’ipotesi non prevista nel Piano Scuola 2020-2021.

I motivi della mancanza di uno “scenario” intermedio tra il tutti a scuola o il tutti a casa sono facilmente intuibili: una “via di mezzo” richiederebbe non solo più spazi ma anche più personale. E il Ministero non ha previsto l’aumento degli organici, con l’assunzione di nuovi docenti e collaboratori scolastici. Soltanto all’ultimo momento, il 26 giugno, dopo uno scontro con le Regioni, il Governo ha stanziato un miliardo aggiuntivo di euro, che potrà servire anche per assumere ulteriore personale per il prossimo anno scolastico. Quanto? Con quali criteri? Non lo sappiamo.

È triste pensare che per avere questi soldi sia servito il ricatto delle Regioni, che altrimenti non avrebbero dato il parere positivo al Piano Scuola.

“Spendere in scuola e in educazione è un investimento per la democrazia” scriveva Tullio De Mauro. Ne siamo pienamente convinti. Ma questa visione di scuola tarda ancora a diventare patrimonio dei nostri decisori politici e a tradursi in impegni concreti da parte loro.

Una certa idea di scuola

Le cosiddette Linee Guida del Ministero contenute nel Piano Scuola dovrebbero tracciare la strada per l’avvio del nuovo anno scolastico. In realtà fanno nascere traiettorie a volte incerte o soltanto tratteggiate, altre volte intricate o avvitate su sé stesse come spirali. Gli aspetti organizzativi sono mescolati a quelli didattici e le questioni essenziali sono soltanto accennate; sorprende ad esempio la disattenzione alla scuola primaria (che fine farà il tempo pieno?) e sorprende altresì il modo con cui si parla di questioni importanti legate all’apprendimento degli studenti. Per questo ultimo aspetto avremmo voluto che le Linee Guida sottolineassero la volontà dello Stato di restituire agli allievi, prima dell’apertura del 14 settembre, un po’ di quel tempo “rubato” loro fino ad ora. Sarebbe stato un modo per compensare, seppure in minima parte considerata l’esiguità dei giorni, quella “didattica per sottrazione” attuata nei loro confronti (vedere l’articolo di Marina Polacco su questo magazine). E invece si assume un’ottica diversa: l’accezione negativa che il concetto di recupero porta con sé riguarda sempre e soltanto lo studente anche se, questa volta, le insufficienze sono state collezionate dalla scuola.

Insaponarsi le mani con Woody Allen

Un’ultima notazione va fatta per le attività da svolgere anche fuori dalla scuola, nei musei, nei teatri, nei parchi, presso le sedi di società sportive… Attività di cui si sottolinea l’importanza. Ci si dimentica però, nelle Linee Guida, che la scuola italiana ha collezionato esperienze molto positive in tal senso già dagli anni ’80. Non è successo dappertutto, è vero. Ma per innovare la didattica occorrono progetti seri e di lungo termine, con una valida formazione iniziale e in servizio.

Non sappiamo ancora se i ragazzi dai sei anni in su dovranno portare la mascherina a settembre ma una certezza però l’abbiamo: dovranno continuare a lavare spesso le mani. Le scuole hanno già avuto i soldi per l’acquisto di sapone e igienizzante ma, perché ogni studente impari a lavare le mani davvero bene, vorremmo suggerire di far loro vedere la scena di un film di Woody Allen di qualche anno fa. Nel film il protagonista spiega e fa vedere che, mentre le mani vengono insaponate, strofinate e ristrofinate, si deve cantare due volte la canzone Tanti auguri a te: è questa la durata giusta del lavaggio. Il titolo del film è Basta che funzioni. Sarà una casualità, ma ci pare che questa espressione si adatti molto bene alla nostra scuola del post Covid-19. Diventerà il suo nuovo motto?

Riferimenti bibliografici

T. De Mauro, In principio c’era la parola?, Il Mulino, Bologna, 2009

Marina Polacco, A distanza siderale. Una didattica per sottrazione: Scuola, Treccani.it (Lingua italiana), 16 giugno 2020

Eugenio Bruno, «Per settembre criticità limitate al 20% delle scuole superiori», Il sole 24 ore, 12 giugno 2020

Immagine: Village school

Crediti immagine: Scuola di Isaak van Ostade / Public domain